VITTORIO ALFIERI LA TRAGEDIA DELL’INDICIBILITA LA MIRRA

VITTORIO ALFIERI LA TRAGEDIA DELL’INDICIBILITA LA MIRRA

LA MIRRA


Se nel Saul la figura del tiranno si plasma nella materia oscura di una psicologia complessa, non meno felice risulta la
mano di Alfieri nel penetrare gli abissi misteriosi della psiche umana in Mirra: un affondare nell’inconfessabile, che
si traduce in indicibili tremori, in un silenzio tragico e impietrito.
Conosciamo con precisione le vicende compositive della Mirra: Alfieri la idea nell’ottobre del 1784, la stende in prosa
nell’autunno del 1785, la versifica tra l’agosto e il settembre del 1786.
La triste storia di Mirra deriva al poeta dalla lettura delle Metamorfosi di Ovidio (X, 30 e sgg.), ma rispetto alla sua fonte
latina Alfieri muta notevolmente la vicenda, in primo luogo trasforma il tabù dell’incesto (che secondo il racconto
mitologico è consumato e dà luogo al concepimento di Adone) in un dramma tutto interiore: si rappresenta una violenta
lotta della protagonista contro se stessa. Ella, poi, incapace di dominare la passione, sceglie il suicidio come forma
estrema di purificazione. La tragedia dunque non vede in campo due antagonisti, ma matura all’interno dell’animo di
un’adolescente: si svolge nell’attesa di un dramma incombente, alla presenza oscura di qualcosa di terribile cui soltanto si
allude, un “non detto” che resta nell’aria; persino al lettore la ragione della sofferenza di Mirra è svelata solo alla fine.
Rinunciando ai consueti temi politici, Alfieri penetra nelle profondità della psiche, misurandosi con il più forte dei tabù,
l’incesto. La protagonista vive con sgomento la propria passione e, incapace di dominare il groviglio inesplicabile delle
proprie tensioni, decide alla fine del dramma di confessarla: ma ammettere il desiderio incestuoso per il padre equivale a
scegliere la morte, unico atto liberatorio di fronte a un senso di colpa e di contaminazione che impediscono ogni
reintegrazione nel consorzio umano.
Con Mirra, così come con Saul, Alfieri costruisce un’opera di grande modernità, in cui il linguaggio tragico si fa allusione
sottile, una comunicazione del misterioso e dell’indicibile, cui collaborano parole, silenziosi trasalimenti, gesti, il gioco
sottile degli sguardi, le allusioni, gli scatti della protagonista che si scontrano con lo stupore doloroso dei genitori, incapaci
di penetrare nell’abisso di un desiderio infelice, dentro il brivido represso di una trasgressione inconfessabile.