Vita e opere di Tomaaso Campanella

Vita e opere di Tomaaso Campanella

Quando nacque a Stilo in Calabria nel 1568, nessuno poteva presagire che Giovan Domenico Campanella, figlio di un povero « scarparo » illetterato, era destinato a diventare il maggiore filosofo del primo Seicento e sarebbe morto alla corte francese, colmato di onori da Richelieu e Luigi XIII, nel 1639. Questo percorso sorprendente, ma anche abbastanza significativo, coincise con un periodo che avrebbe determinato la conformazione dell’Italia almeno fino all’Ottocento, e questo su tutti i piani : religioso e culturale, con l’affermazione della Controriforma, politico, con il predominio spagnolo ormai incontestato, ed economico, con la stagnazione, poi il decremento sia della produzione agricola (che rimane il fondamento dell’economia in tutta la penisola), per causa della rifeudalizzazione del suolo e della mancanza di nuove tecniche di coltivazione, sia degli scambi commerciali, già provati dall’avvento del traffico atlantico e dell’espansione turca nel Mediterraneo orientale, e ora pregiudicati dal deterioramento delle vie di comunicazione e da una specie di “proliferazione” di tasse e dazi.

Se a partire dalla fine del Cinquecento « il lavoro è colpito da un fiscalismo divoratore », ciò non impedisce a una classe di proprietari terrieri esente di quelle medesime tasse di farsi costruire fastuose ville di campagna che, invece di stimolare la produzione (come fu il caso delle ville del primo Rinascimento), « sottragono col loro fasto linfe vitali alle campagne circostanti, [e] contribuiscono […] all’ulteriore disgregazione di un paesaggio agragrio degradato, immiserito, inselvatichito ». Da dove le diatribe contro il parassitismo sociale che si ritrovano in scrittori così diversi come Galileo e Pallavicino, ma che si fa particolarmente vigoroso in Campanella : « Ma noi non così, perché in Napoli son da trecento milia anime, e non faticano cinquanta milia; e questi patiscono fatica assai e si struggono; e l’oziosi si perdono anche per l’ozio, avarizia, lascivia ed usura, e molta gente guastano, tenendoli in servitù e povertà, o fandoli partecipi di lor vizi, talché manca il servizio publico, e non si può il campo, la milizia e l’arti fare, se non male e con stento » (CS p. 1089). Da dove anche l’esaltazione del lavoro, solo capace di nobilitare l’uomo (« Onde si ridono di noi che gli artefici appellamo ignobili, e diciamo nobili quelli, che null’arte imparano e stanno oziosi e tengono in ozio e lascivia tanti servitori con roina della republica », CS p. 1080), che ha i suoi confronti in Bruno e Francesco Bacone : « never be idle » sono anche le ultime parole del Anatomy of Melancholy (1621) di Roger Burton, altro coetaneo.

L’avventura intellettuale del Campanella incomincia quando, quattordicenne, egli scappa dalla casa familiare per entrare nell’ordine domenicano ; pronuncierà i voti l’anno dopo, prendendo il nome di fra’ Tommaso. A determinare questa fuga, più che una vera vocazione religiosa, è stato senza dubbio la volontà di sottrarsi ad un ambiente soffoccante d’ignoranza e di povertà e di trovare i stimoli che richiamava un’intelligenza che egli aveva viva e acuta. Ma dalla sua origine più o meno contadinesca, il Campanella conserverà sempre una ripugnanza per ogni sistema di pensiero che non è radicato nel senso concreto delle cose, e perciò la fredda astrattezza dell’aristotelismo tomistico lo lascia insoddisfatto. Tanto maggiore è il suo entusiasmo alla lettura del De rerum natura di Bernardino Telesio, il cui pampsichismo lascierà un’impronta profonda sul suo pensiero. Ma questo entusiasmo, che subito si sfoga nell’apologia pro-Telesio Philosophia sensibus demonstrata (1589), non poteva non destare la diffidenza dei suoi superiori, e un tribunale dell’Ordine, imponendogli di abiurare il telesianesimo, vuole relegarlo in Calabria : è il momento della seconda fuga, che lo porta a Roma poi a Padova (dove frequenta l’università) ; è anche l’inizio delle sue noie con la giustizia ecclesiastica. Dopo alcuni soggiorni nelle carceri dell’Inquisizione romana, torna finalmente nella Calabria natìa nel 1598.

Stabilito di nuovo a Stilo, si fa allora l’istigatore di una rivolta antispagnola che mira all’instaurazione di una società basata sulla comunione dei beni e delle donne, e sulla religione naturale, appoggiandosi sulle profezie di Gioacchino da Fiore – altro frate calabrese – corroborate dalle sue proprie osservazioni astrologiche, che prevedevano l’avvento dell’Età dello Spirito per il 1600. Denunciato da due congiurati, riesce a fuggire ma è tosto ripreso e mandato al Castel Nuovo di Napoli, in attesa del suo processo. Messo in segreta e torturato, grazie ad un immenso sforzo della volontà egli riesce però a farsi dichiarare pazzo e così scappa alla pena di morte, che è commutata nel carcere perpetuo. È dunque in carcere che la parte più importante della sua opera verrà alla luce, e in primo luogo alcuni scritti politici : la Monarchia di Spagna (1600), gli Aforismi politici (1601) e questa Città del Sole che tratterrà qui più particolarmente la nostra attenzione. Questo « dialogo poetico », la cui stesura è da collocarsi « certo non dopo il 1602 », va considerato come un’opera di transizione, nella quale si esprime un Campanella che già non è più il deista telesiano, né il cospiratore antispagnolo, ma non è ancora il pensatore maturo che avvertiamo nel Quod reminiscetur (principiato probabilmente nel 1606, ma terminato solo dodici anni più tardi), nella Metaphysica (1609-1623) e nella Theologia (1613-1624), impegnato nell’edificare un corpo di dottrina sistematico che, pur assimilando le principali convinzioni dell’età giovanile, si sforza di orientarle in un senso più ortodosso, e, per quanto riguarda le idee politiche, più pragmatico. È nell’Atheismus triumphatus (1605-7) che viene per la prima volta affermata senza ambiguità l’idea cardine della maturità, cioè che il cristianesimo di confessione romana è la sola religione positiva (religio addita) che esprimi perfettamente la religione naturale (religio indita) ; non solo ne è l’espressione perfetta, ma anche il compimento e il superamento, tramite la rivelazione : il cristianesimo è quindi la religione assoluta, destinata ad imporsi universalmente.

Gli anni della detenzione sono contrassegnati da un continuo alternarsi di periodi di inasprimento e di addolcimento del suo regime carcerario, ma verso la fine egli gode di una sempre più grande libertà. La detenzione non gli impedisce comunque di intervenire nel primo processo contro Galileo con la coraggiosa Apologia pro Galilaeo (1616). Liberato finalmente nel 1626, il nostro frate sa conquistarsi il favore del papa Urbano VIII, ma ha sempre nemici potenti e accaniti.

Negli anni successivi alla sua scarcerazione si delinea a poco a poco un cambiamento nell’orientamento del suo pensiero politico: se prima le conquiste e i successi mondani della Spagna gli parevano designare questa nazione come lo strumento scelto dalla divina Providenza per realizzare la teocrazia mondiale che egli prevedeva (o vagheggiava), adesso i suoi interessi vanno orientandosi verso quella monarchia francese che fa prova di tanto vigore nella ripressione antiugonotta. Non c’è dunque da meravigliarsi se è verso la Francia che egli fugge quando presente che il favore papale non è più in grado di evitargli nuovi guai con le autorità spagnole. A Parigi è onorevolmente ricevuto da Richelieu, Luigi XIII gli assegna una pensione e la Sorbona approva alcune sue opere. Così il sogno politico campanelliano, che risale al Della Monarchia dei cristiani del 1593, potrà cristallizzarsi finalmente, nella Ecloga in portentosam Delphini nativitatem, sulla figura « portentosa » in effetti del futuro Luigi XIV, il re Sole.

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