VITA DI DANTE ALIGHIERI

VITA DI DANTE ALIGHIERI

VITA DI DANTE ALIGHIERI


Nasce a Firenze nel 1265. Il padre, che svolgeva una piccola attività di cambiatore e prestatore di denari, vantava ascendenti nobili. Lo stesso Dante, nel Paradiso, fa risalire le sue origini a Cacciaguida, un trisavolo vissuto nel XII Sec., che morì combattendo i musulmani durante la IIa crociata. La famiglia quindi era della piccola nobiltà (le rendite erano derivate anche dal possesso di alcuni terreni e case). Questo permise a Dante di non svolgere alcuna attività lavorativa e di dedicarsi liberamente agli studi e ai divertimenti propri delle persone del suo ceto.

La sua prima formazione intellettuale consistette in studi di grammatica e logica. Studiò retorica con Brunetto Latini e ancora giovanissimo si dedicò alla poesia divenendo amico dei poeti Guido Cavalcanti e Lapo Gianni. Le sue Rime furono soprattutto dedicate ad esaltare -secondo la maniera del Dolce Stilnovo- una donna: Beatrice (forse Bice di Folco Portinari), morta nel 1290. Dedicata completamente a lei è anche la Vita Nuova (1293), dopodiché Dante s’orienta verso gli studi filosofici e teologici.

Nel 1295 si iscrive all’Arte dei medici e degli speziali: condizione necessaria, questa, per accedere alle cariche pubbliche, voluta dagli imprenditori e dalla borghesia bancaria e mercantile delle Arti maggiori (“popolo grasso”) che si erano coalizzati col ceto più modesto dei lavoranti e degli artigiani (“popolo minuto”) per escludere dal potere i nobili (“magnati”), cioè i grandi proprietari terrieri, che rappresentavano l’antica classe dirigente, non iscritta ad alcuna Arte o Corporazione.

Dante, sul piano politico, si schiera con i guelfi (filo-papalini) di parte “bianca”, che, capeggiati dalla famiglia dei Cerchi, rivendicavano una certa autonomia dalla politica papale di Bonifacio VIII, che voleva limitare alquanto la grande indipendenza di quasi tutte le città toscane. Acceso partigiano dei Bianchi era Guido Cavalcanti. I Bianchi, cioè i settori più democratici del popolo “grasso” e “minuto”, erano in contrasto con i guelfi di parte “nera”, capeggiati dai Donati: essi rappresentavano i magnati uniti con la borghesia più benestante. Come tali, essi erano ostili all’espansione dei ceti popolari e, siccome erano politicamente più deboli, rispetto ai Bianchi, cercavano l’appoggio del papato.

Dopo aver fatto parte del Consiglio dei Cento, che aveva funzioni amministrative, Dante viene eletto priore nel 1300. I Priori erano i rappresentanti politici delle Arti più antiche e costituivano una delle magistrature più importanti del Comune di Firenze. Mentre Dante era in carica, la situazione politica di Firenze era caratterizzata da scontri durissimi, anche armati, tra le due fazioni, tanto che, ad un certo punto, i Priori decisero di esiliarne i capi e gli elementi più intolleranti. Dante dovrà acconsentire, con amarezza, al bando dell’amico Cavalcanti.

Intrighi e discordie però continuarono. Bonifacio VIII voleva a tutti i costi che i Neri trionfassero a Firenze. L’occasione si presenta proprio mentre Dante era in missione diplomatica presso la curia pontificia. A Firenze, sotto l’apparenza di paciere, fa il suo ingresso Carlo di Valois, fratello di Filippo il Bello, re di Francia. Le sue reali intenzioni erano quelle di eseguire i disegni del papa e, infatti, dopo aver preso possesso della città con un colpo di stato, impone il governo dei Neri ed esilia tutti i leader dei Bianchi.

Dante apprende a Siena, sulla via del ritorno, che il podestà di Firenze aveva emesso contro di lui una sentenza che prevedeva due anni di confino, l’esclusione a vita dagli uffici pubblici e una pena pecuniaria sotto l’accusa (falsa) di peculato (sottrazione illecita di denaro pubblico). Dante non accettò la condanna, non si presentò a pagare né volle giustificarsi. E così con una seconda sentenza lo si condanna al rogo nel caso in cui entri nel territorio di Firenze. In un primo tempo Dante si unisce, per tentare di rovesciare il governo dei Neri, ad altri esiliati Bianchi e ad alcuni superstiti ghibellini, ma, sconfitto sul piano militare, decide poi di separarsi dai suoi alleati, affrontando definitivamente l’esperienza dell’esilio.

In questa seconda parte della sua vita egli scriverà le sue opere più significative: De vulgari eloquentia, Convivio, De Monarchia, Commedia. Fra il 1304 e il 1308 è ospite presso varie corti d’Italia: Verona, Treviso, Padova…, svolgendo incarichi di vario genere. Nel 1310 spera che con la discesa in Italia di Arrigo VII di Lussemburgo, imperatore del Sacro romano impero, il papato possa subire una sconfitta, ma l’improvvisa morte dell’imperatore nel 1313 vanifica ogni progetto.

Nel 1315 il governo di Firenze offre a Dante un’amnistia a condizione che si dichiari colpevole: al suo netto rifiuto, Firenze risponde rinnovando, a lui e ai suoi figli, la condanna a morte. Morirà a Ravenna nel 1321.

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