VITA ANTONIO VIVALDI

VITA ANTONIO VIVALDI

ANTONIO VIVALDI BIOGRAFIA


Antonio Lucio Vivaldi (Venezia, 4 marzo 1678 – Vienna, 28 luglio 1741) è stato un compositore e violinista italiano.

Fu uno dei violinisti più virtuosi del suo tempo, sicuramente il più ammirato, e uno dei più grandi compositori di musica barocca. Considerato unanimemente il più importante, influente e originale compositore della penisola italiana della sua epoca, Vivaldi contribuì significativamente allo sviluppo del concerto, soprattutto solistico, genere iniziato da Giuseppe Torelli, e della tecnica del violino e dell’orchestrazione. Non trascurò inoltre l’opera lirica. Vastissima la sua opera compositiva che comprende inoltre numerosi concerti, sonate e brani di musica sacra.

Le sue opere influenzarono numerosi compositori del suo tempo, soprattutto tedeschi, tra cui Bach, Pisendel e Heinichen.

Come avvenne per molti compositori del barocco, dopo la sua morte il suo nome e la sua musica caddero nell’oblio. Fu grazie alla ricerca di alcuni musicologi del XX secolo, come Arnold Schering, Marc Pincherle, Alberto Gentili e Alfredo Casella, che Vivaldi uscì dalla dimenticanza.

Le sue composizioni più note sono i quattro concerti per violino conosciuti come Le quattro stagioni, celebre esempio di musica a soggetto.

Biografia
La vita di Vivaldi è scarsamente documentata poiché nessun biografo si è occupato di ricostruire la sua vita prima del XX secolo. Numerose lacune ed inesattezze falsano ancora la sua biografia; alcuni periodi della sua vita rimangono completamente oscuri, come i molti viaggi supposti o realmente intrapresi in Italia e in Europa. Si è fatto riferimento dunque alle rare testimonianze dirette dell’epoca, in particolare quelle di Charles de Brosses, di Carlo Goldoni, dell’architetto tedesco Johann Friedrich Armand von Uffenbach che incontrarono il compositore. Altre notizie biografiche provengono da alcuni manoscritti e dai documenti di altra natura ritrovati in diversi archivi in Italia e all’estero[2]. Per dare due esempi concreti: è soltanto nel 1938 che si è potuta determinare con esattezza la data della sua morte, sull’atto ritrovato a Vienna e nel 1963, quella della sua nascita identificando il suo atto di battesimo (prima, l’anno di nascita 1678 era soltanto una stima dedotta dalle tappe conosciute della sua carriera ecclesiastica).

L’infanzia
Chiesa di San Giovanni Battista in Bragora. Qui fu battezzato Antonio Vivaldi.Primogenito della famiglia, Antonio Vivaldi nacque venerdì 4 marzo 1678 a Venezia. In quel giorno vi fu un grosso terremoto proprio nel Veneto. Gli fu impartito un battesimo provvisorio a casa, poiché era in gravi condizioni di salute, da parte di Margherita Veronese, la sua levatrice e balia; tali problemi di salute Vivaldi li porterà avanti per tutta la vita, probabilmente correlati a ciò che lui stesso definirà strettezza di petto, forse asma bronchiale; sarà ufficialmente battezzato il 6 maggio, due mesi dopo, nella chiesa di San Giovanni in Bragora non lontano dall’abitazione dei Vivaldi, alla Ca’ Salomon nel sestiere Castello, uno dei sei quartieri veneziani.

Il padre era Giovanni Battista Vivaldi (1655-1736), un figlio di un sarto bresciano che si era trasferito nel 1666 a Venezia e qui aveva intrapreso l’attività di barbiere e poi di violinista; sua madre era Camilla Calicchio, figlia di un sarto di Pomarico che esercitava da qualche anno a Venezia. Si sposarono nel 1676 ed ebbero altri otto figli compresi due morti in tenera età. Questi furono: Margarita Gabriella (1680-?), Cecilia Maria (1683-?), Bonaventura Tommaso (1685-?), Zanetta Anna (1687-1762), Francesco Gaetano (1690-1752), Iseppo Santo (1692-1696), Gerolama Michela (1694-1696), infine Iseppo Gaetano (1697-?)[3]. Nessuno di essi intraprese la carriera musicale.

Francesco Guardi: Piazza San Marco a Venezia (circa 1776) – Vienna, Kunsthistorisches Museum. La chiesa di San Geminiano del Palladio, oggi scomparsa, era situata su Piazza San Marco, di fronte la basilica.Il padre aveva probabilmente più passione per la musica che per il lavoro di barbiere, poiché accettò nel 1685 l’ingaggio come violinista della basilica di San Marco, che allora era solo la Cappella privata del Doge e non sede vescovile e dove si celebrava in occasioni particolari. All’epoca i musicisti della Basilica avevano notevole prestigio e sempre nel 1685 fu assunto come Maestro il famoso Giovanni Legrenzi. Fu insieme a quest’ultimo, e al suo collega Antonio Lotti, che Giovanni Battista Vivaldi fondò il Sovvegno dei musicisti di S. Cecilia, una confraternita di musicisti veneziani. Al suo impegno alla Cappella del Doge, il padre di Antonio Vivaldi aggiunse a partire dal 1689 quello di violinista al teatro San Giovanni Grisostomo e all’Ospedale dei Mendicanti.

Antonio Vivaldi imparò a suonare il violino dal padre e precocemente dimostrò il suo grande talento. Fu presto ammesso a frequentare i musicisti della Cappella del Doge e forse qui, ma non è certo, ebbe lezioni anche dal Maestro di Cappella Giovanni Legrenzi; si ritiene comunque che gli influssi di questo maestro siano stati scarsi se si pensa che egli morì nel 1690 quando Vivaldi aveva appena 12 anni. Non vi sono dubbi comunque che Vivaldi abbia tratto grande giovamento dal frequentare già in età molto giovane l’ambiente musicale della cappella di San Marco, dove gradualmente egli sostituì suo padre, violinista dotato di discreta notorietà. Benché poco conosciuto, il ruolo che ha svolto Giovanni Battista Vivaldi nella vita e nello sviluppo della carriera del figlio sembra di un’importanza notevole e prolungata nel tempo poiché egli morì solamente cinque anni prima di suo figlio.

All’età di dieci anni era stato indirizzato verso la vita ecclesiastica frequentando la scuola della sua parrocchia. Da questo momento in poi non abbiamo più notizie del giovane Antonio fino al 18 settembre 1693, quando raggiunse l’età minima per avere la tonsura per mano del Patriarca di Venezia Cardinal Badoaro. Iniziò quindi a studiare teologia nella chiesa di San Geminiano e nella chiesa di San Giovanni in Oleo; in questo periodo viveva con la sua famiglia nella parrocchia di San Martino.

Non abbandonò la musica anzi l’abilità con cui suonava il violino fece sì che già nel 1696 lo troviamo come violinista soprannumerario durante le funzioni natalizie presso la cappella della basilica di San Marco; questa fu la sua prima apparizione in pubblico come violinista. Contemporaneamente faceva parte del gruppo Arte dei sonadori. Il 4 aprile 1699 ebbe gli ordini minori del suddiaconato nella chiesa di San Giovanni in Oleo, e il 18 settembre 1700 il diaconato. Il 23 marzo 1703 fu ordinato sacerdote e fu subito soprannominato il prete rosso per il colore della sua capigliatura; continuò a vivere con la sua famiglia ed a lavorare strettamente con il padre. Nel 1704 ottenne una dispensa per motivi di salute dalla celebrazione della Santa Messa; soffriva infatti di quella forma d’asma della quale aveva presentato i sintomi sin dalla nascita.

L’attività presso l’Ospedale della Pietà
Gabriele Bella: La cantata delle putte delli Ospitali (1720 circa) – Venezia, Palazzo Querini StampaliaBenché giovane la sua fama iniziava a diffondersi e nel settembre 1703 fu ingaggiato come maestro di violino dalle autorità del Pio Ospedale della Pietà, dove iniziò la sua attività il 1° dicembre 1703 con uno stipendio di 60 ducati annuali; qui rimase sino al 1740. Fondato nel 1346 era il più prestigioso dei quattro istituti religiosi veneziani dove, a somiglianza degli ospedali napoletani, trovano assistenza per lo più gratuita orfani, figli illegittimi, bambini di famiglie molto povere, bambini malati. I ragazzi imparavano un mestiere e lasciavano l’istituto all’età di 15 anni, mentre le ragazze ricevevano un’educazione musicale; quelle dotate di maggior talento rimanevano e diventavano membri dell’ospedale. Vi era una gerarchia fatta dalle differenti capacità tra le ragazze musicanti, dalle inferiori figlie di coro, alle più esperte dette privilegiate di coro, fino alle maestre di coro che insegnavano.

Poco tempo dopo la sua nomina di maestro, le orfanelle dell’istituto iniziarono ad ottenere fama anche oltre i confini italiani; Vivaldi scrisse per loro numerosi concerti, cantate e lavori sacri. Il cronista-musicofilo Charles de Brosses certificherà ammirato:

« La musica eccezionale è quella degli Ospedali dove le “putte” cantano come gli angeli e suonano il violino, l’organo, l’oboe, il violoncello, il fagotto; insomma non c’è strumento che le spaventi. »

Nell’agosto del 1704 il suo stipendio fu portato a 100 ducati, in quanto aggiunse anche la posizione di insegnante di viola all’inglese e nel 1705 ricevette l’incarico della composizione e dell’esecuzione dei concerti, con un salario aumentato a 150 ducati annui – somma assai modesta, alla quale si aggiungeva la remunerazione delle messe quotidiane dette per la Pietà o per le ricche famiglie patrizie.

Nelle sue Confessioni, Jean-Jacques Rousseau offre un’altra testimonianza della qualità di queste ragazze orchestrali, che ebbe modo di apprezzare di persona[4] durante il suo soggiorno a Venezia[5] [6]

Francesco Guardi: Concerto di dame al Casino dei Filarmonici (1782) – Monaco di Baviera, Alte Pinakothek.Disporre a piacimento di queste strumentiste e cantanti esperte, senza preoccupazioni di numero, tempi o costi, era un vantaggio considerevole per un compositore che poteva così dar libero corso alla sua creatività e sperimentare ogni tipo di combinazione dell’organico strumentale. Ora, in quest’epoca, il giovane maestro di violino aveva certamente cominciato la sua carriera di compositore ed a farsi notare per le sue prime opere diffuse in manoscritto, e la sua nascente rinomanza poteva giustificare la scelta di affidargli questo posto importante.

La direzione musicale della Pietà era affidata dal 1701 a Francesco Gasparini, « maestro di coro ». Costui, musicista di talento ed estremamente fecondo, dedicò tuttavia una parte preponderante della sua attività ad allestire opere al Teatro Sant’Angelo[7]. Di conseguenza, egli scaricò su Vivaldi un numero crescente di compiti, permettendo a quest’ultimo di diventare, di fatto, il principale animatore musicale dell’ospedale.

Il suo rapporto con il consiglio direttivo dell’Ospedale, a giudicare dai pochi documenti rimasti, sembra essere stato altalenante. Ogni anno i vertici dell’istituto veneziano si riunivano per votare se tenere oppure no un insegnante. Anche se Vivaldi fu raramente sottoposto al voto, nel 1709 perse il suo posto per 7 voti contro 6 a favore. Però dopo aver esercitato la libera professione di musicista per oltre un anno fu riassunto nel 1711 alla Pietà, sempre a seguito di un votazione del consiglio dell’istituto. Questo probabilmente perché la direzione aveva ben compreso la sua importanza all’interno della scuola. Nel 1713 divenne il responsabile per l’attività musicale dell’istituto e nel 1716 maestro de’ concerti. A giudicare dalla lacunosità degli atti, comunque, studiosi come Michael Talbot e Micky White dubitano che Vivaldi avesse rotto formalmente ogni impegno con la Pietà durante gli anni di (apparente) vacanza dall’insegnamento. Con molta probabilità Vivaldi continuò a rifornire la Pietà di concerti e composizioni varie durante tutta la sua vita, anche in forma privata.

L’Ospedale della Pietà sulla Riva Degli Schiavoni (1686) – Venezia, collezione privataÈ durante questi anni che Vivaldi scrisse gran parte della sua musica, comprese molte opere e anche numerosi concerti. Nel 1705 venne pubblicata la sua prima raccolta, l’Opus 1, una collezione di dodici sonate a tre dedicata al nobile veneto Annibale Gambara, composte ancora in uno stile neocorelliano. Nel 1709 apparve una seconda raccolta di 12 sonate per violino e basso continuo (Opus 2), ma raggiunse un successo a livello internazionale con la sua prima collezione di 12 concerti per uno, due e quattro violini con archi, L’estro armonico (Opus 3), la quale fu data alle stampe ad Amsterdam nel 1711, grazie alla famosa mano dell’editore Estienne Roger, all’avanguardia con le nuove tecniche di stampa rispetto agli editori veneziani Sala e Bortoli[8] . La sua uscita fu pubblicizzata con un annuncio sul The Post Man di Londra. Questi concerti ebbero uno strepitoso successo in tutta Europa e furono seguiti nel 1714 da La stravaganza (Opus 4), una raccolta di concerti per solo violino e archi.

Nel febbraio del 1711 Vivaldi e suo padre si recarono a Brescia, dove diede il suo Stabat Mater RV 621, commissionato dalla Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri. Nel 1718 Vivaldi iniziò a spostarsi con molta facilità ma sembra non aver mai rotto i legami con la Pietà. Dalle registrazioni degli atti è possibile constatare che tra il 1723 e il 1729 fu pagato per comporre almeno 140 concerti.

Impresario d’opera al Sant’Angelo
Perché Vivaldi smise di celebrare messa?
Relativamente all’abbandono dell’attività sacerdotale di Vivaldi, già da diverso tempo si sono diffusi pettegolezzi e leggende. In particolare in relazione all’aneddoto raccontato dal conte Grégoire Orloff: “Una volta che Vivaldi diceva la Messa, gli viene in mente un tema di fuga. Lascia allora l’altare sul quale officiava, e corre in sacrestia per scrivere il suo tema; poi torna a finire la Messa. Viene denunciato all’Inquisizione, che però fortunatamente lo giudica come un musicista, cioè come un pazzo, e si limita a proibirgli di dire mai più Messa.”. Tuttavia i veri motivi di questo ritiro sono spiegati dallo stesso Vivaldi in una lettera, datata 16 novembre 1737, scritta a Guido Bentivoglio d’Aragona: “Sono venticinque anni ch’io non dico messa né mai più la dirò, non per divieto o comando, come si può informare Sua Eminenza, ma per mia elezione, e ciò stante un male che io patisco a nativitate, pel quale io sto oppresso. Appena ordinato sacerdote, un anno o poco più ho detto messa, e poi l’ho lasciata avendo dovuto tre volte partir dall’altare senza terminarla a causa dello stesso mio male. Ecco la ragione per la quale non celebro messa.”.
Nella Venezia del primo XVIII secolo l’opera era l’intrattenimento musicale più popolare e più redditizio per i compositori. C’erano parecchi teatri in concorrenza fra loro. Vivaldi iniziò la sua carriera operistica in sottotono: il suo primo lavoro teatrale, Ottone in villa (RV 729), fu rappresentato al Teatro delle Grazie di Vicenza nel maggio del 1713. L’anno seguente Vivaldi divenne sia impresario che direttore delle musiche al Teatro Sant’Angelo di Venezia, dove allestì la sua seconda opera, l’Orlando finto pazzo (RV 727). Tuttavia il dramma sembra non aver avuto il successo sperato e per “salvare” la stagione Vivaldi presentò l’ Orlando di Giovanni Alberto Ristori, già dato l’anno precedente, con ulteriori ritocchi e aggiunte di propria mano. Nel 1715 mise in scena un pasticcio, il Nerone fatto Cesare (RV 724, perduto), con le musiche di vari compositori e 11 arie dello stesso Vivaldi. Il lavoro ebbe successo e per la stagione seguente Vivaldi pianificò di rappresentare un’opera completamente scritta di suo pugno. Arsilda, regina di Ponto (RV 700). Però il censore di stato bloccò la messa in scena dello spettacolo; la causa della censura fu l’oggetto della trama: Arsilda, il personaggio principale, s’innamora di un’altra donna, Lisea, la quale finge di essere un uomo. Vivaldi riuscì comunque ad allestire il dramma l’anno successivo mentre il Teatro San Moisè gli commissionava un’altra opera, La costanza trionfante degli amori e degl’odii (RV 706).

Nello stesso periodo, la Pietà gli commissionò diversi lavori liturgici. I più importanti furono due oratorî: il primo, Moyses Deus Pharaonis (RV 643), risulta sfortunatamente perduto e il secondo, Juditha triumphans (RV 644), composto nel nel 1716, è uno dei lavori sacri più noti del Prete Rosso. Fu commissionato per celebrare la vittoria della Repubblica di Venezia contro i Turchi e la riconquista dell’isola di Corfù. Tutte le undici parti, sia maschili che femminili, furono interpretate dalle ragazze della Pietà e molte arie comprendevano parti per strumenti solisti come flauti dolci, oboi, clarinetti, viola d’amore, mandolini, che servivano per mettere in evidenza il talento delle ragazze anche in strumenti particolarmente rari e di non facile reperibilità per l’epoca.

Il teatro alla moda di Benedetto MarcelloIn quanto rappresentante più in vista del moderno stile operistico, Vivaldi fu uno dei bersagli del pamphlet satirico Il teatro alla moda, pubblicato anonimo nel 1720 ma notoriamente scritto dal musicista e letterato Benedetto Marcello[9]. Benedetto Marcello, patrizio e magistrato veneziano, nonché musicista stimato da molti suoi contemporanei (incluso Johann Sebastian Bach), era sostenitore di una visione aristocratica ed elitaria della musica, ed era poco incline ad apprezzare gli aspetti più “popolari” della produzione operistica della sua epoca. L’unico riferimento esplicito a Vivaldi nel Teatro alla moda, peraltro, è nascosto nel frontespizio, dove una serie di anagrammi celano i nomi di personaggi ben noti all’epoca: fra questi, “ALDIVIVA” si riferisce chiaramente a Vivaldi. Nello stesso frontespizio è rappresentato un gruppo di personaggi su una peata, e la figuretta alata che indossa un cappello da prete e suona il violino potrebbe essere una caricatura di Vivaldi. Per il resto, l’opera si propone di criticare e ridicolizzare aspetti del teatro musicale[10] che erano estremamente diffusi all’epoca (come attestato, ad esempio, dalle Memorie di Carlo Goldoni) e non sono specificamente riconducibili all’attività di Vivaldi.

Gli anni della maturità
James Caldwall: Antonio VivaldiNel 1717 o 1718 fu offerto a Vivaldi il prestigioso incarico di maestro di cappella da camera alla corte del principe Filippo di Assia-Darmstadt, governatore di Mantova e noto appassionato di musica. Si recò là, dove vi rimase per circa tre anni: in questo periodo, e precisamente nella stagione 1720-1, ci rimangono testimonianze di almeno tre opere tra le quali Tito Manlio (RV 738 – vedi Opere) e varie cantate e serenate. Successivamente Vivaldi fu a Milano, dove presentò nel 1721 il suo dramma pastorale La Silvia (RV 734) e nel 1722 l’oratorio L’adorazione delli tre re magi al bambino Gesù (RV 645, perduto). Sempre nel 1722 il compositore veneziano si recò a Roma, dove era stato invitato da papa Benedetto XIII a suonare per lui. Nel 1725 tornò a Venezia, dove nello stesso anno produsse quattro lavori teatrali.

Questo è anche il periodo in cui egli scrisse Le quattro stagioni, quattro concerti per violino che rappresentano le scene della natura in musica; probabilmente l’idea di comporre questi concerti gli venne mentre stava nelle campagne attorno Mantova e furono una rivoluzione nella concezione musicale: in essi Vivaldi rappresenta lo scorrere dei ruscelli, il canto degli uccelli (di diverse specie, ognuno specificatamente caratterizzato), il latrato dei cani, il ronzio delle zanzare, il pianto dei pastori, la tempesta, i danzatori ubriachi, le notti silenziose, le feste di caccia (sia dal punto di vista del cacciatore che della preda), il paesaggio ghiacciato, i bambini che slittano sul ghiaccio e il bruciare dei fuochi. Ogni concerto è associato a un sonetto scritto dallo stesso Vivaldi, che descrive la scena raffigurata in musica. Furono pubblicati come i primi quattro concerti di una raccolta da dodici, Il cimento dell’armonia e dell’inventione Opus 8, pubblicata ad Amsterdam da Michel-Charles Le Cène nel 1725.

Durante il suo periodo a Mantova Vivaldi conobbe un’aspirante giovane cantante, Anna Girò (Anna Maddalena Teseire), la quale diventò sua studente, protetta e, successivamente, prima donna sino la fine della sua vita. Nonostante le voci che sostengono il contrario, non c’è nessuna prova sull’esistenza di una possibile relazione sentimentale tra Vivaldi e la Girò e che quindi i loro rapporti erano professionali e di semplice amicizia.

Gli ultimi anni e la morte
Pier Leone Ghezzi: Antonio Vivaldi (1723) – Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica VaticanaAll’apice della sua carriera, Vivaldi ricevette numerose commissioni dalle famiglie nobiliari e reali d’Europa. La cantata nuziale La Gloria, Imeneo (RV 687) fu scritta per il matrimonio di Luigi XV. L’Opus 9, La cetra, fu dedicata all’Imperatore Carlo VI. Vivaldi ebbe occasione d’incontrare l’Imperatore in persona nel 1728, quando egli si recò a Trieste per supervisionare la costruzione di un nuovo porto. Carlo ammirò così tanto la musica del Prete Rosso che egli stesso disse di aver parlato più con il compositore in questa occasione che con i suoi ministri in due anni. Gli conferì il titolo di cavaliere, una medaglia d’oro e un invito a venire a Vienna. Dal canto suo Vivaldi diede all’imperatore una copia del manoscritto de La cetra. Tuttavia questa raccolta di concerti è quasi completamente differente da quella pubblicata con lo stesso titolo come Opus 9; questo probabilmente fu dovuto a un ritardo di stampa e quindi Vivaldi fu costretto a riunire una collezione improvvisata di concerti.

Nel 1730, accompagnato da suo padre, viaggiò a Vienna e a Praga, dove la sua opera Farnace (RV 711) fu rappresentata. Alcune tarde opere segnarono la collaborazione con due dei maggiori librettisti italiani dell’epoca: L’olimpiade e Catone in Utica furono scritte su libretto di Pietro Metastasio, il maggior rappresentante del movimento dell’Arcadia e poeta cesareo alla corte di Vienna, mentre il libretto della Griselda fu adattato dal giovane Carlo Goldoni da un precedente libretto di Apostolo Zeno.

Carlo VI d’AsburgoLa vita di Vivaldi, come quelle di molti compositori del suo tempo, finì con non poche difficoltà finanziarie. Le sue composizioni non venivano più particolarmente stimate a Venezia; i veloci cambiamenti dei gusti musicali lo posero fuori moda e Vivaldi, in risposta a tutto questo, scelse di vendere un considerevole numero dei suoi manoscritti a prezzi insignificanti per finanziare una sua migrazione a Vienna. Le ragioni della partenza di Vivaldi da Venezia non sono chiare, ma sembra che fosse intenzionato nell’incontrare Carlo VI, il quale già aveva apprezzato le sue composizioni (Vivaldi dedicò La cetra a Carlo nel 1727), e occupare la posizione di compositore di corte presso la Corte Imperiale. Inoltre a rafforzare la sua decisione di trasferirsi per Vienna, e di lasciare quindi per sempre l’Italia, fu il verificarsi di uno spiacevole episodio: alla vigilia dell’inizio di una stagione d’opera a Ferrara, che a quel tempo faceva parte dello Stato della Chiesa, il cardinale di Ferrara ricevette tante e tanto assidue lettere dai nemici di Vivaldi, che decise di proibire per pubblica immoralità la stagione. Questo oltre ai danni economici fu considerato da Vivaldi un affronto tale che decise di chiudere con l’Italia. È alquanto probabile che Vivaldi andò a Vienna per mettere in scena alcune sue opere al Kärntnertortheater. Tuttavia, poco dopo il suo arrivo a Vienna, nell’ottobre del 1740, Carlo morì. Ne seguì una guerra di proporzioni europee, la Guerra di successione austriaca che costrinse la figlia, la futura regina e imperatrice Maria Teresa d’Austria, a fuggire in Ungheria. Questo tragico colpo di sfortuna, oltre ad aver portato all’immediata chiusura di tutti i teatri viennesi sino all’anno successivo, lasciò il compositore senza protezione reale e fonte di reddito. Sfumato il suo piano, Vivaldi decise, forse perché troppo malato e troppo povero, di non tornare a Venezia e di rimanere a Vienna. Per tirare avanti dovette quindi svendere altri suoi manoscritti e infine tra la notte del 27 e il 28 luglio 1741 morì d’ infezione intestinale (o forse a causa di asma bronchiale, forma della quale aveva sempre sofferto) nell’appartamento affittato presso la vedova Maria Agate Wahlerin. La casa, situata strategicamente vicino al Kärntnertortheater, era conosciuta anche come Satlerisch Haus; fu distrutta nel XIX secolo.

Il 28 luglio fu sepolto in una fossa comune al Spettaler Gottesacker di Vienna (la supposizione secondo la quale il giovane Franz Joseph Haydn aveva cantato nel coro durante la sepoltura di Vivaldi è stata provata come falsa). Il luogo della sepoltura di Vivaldi sta a fianco della Karlskirche di Vienna. nell’area di un istituto tecnico. La casa dove visse durante il breve periodo viennese fu demolita e al suo posto vi è attualmente l’Hotel Sacher. Targhe in sua memoria sono posizionate in ambedue i posti, come anche sono presenti una “Vivaldi star” nella Musikmeile viennese e un monumento nella Rooseveltsplatz. Ugualmente sfortunata, anche la sua musica cadde nell’oscurità, dove rimase fin quasi alla metà del XX secolo.

La musica di Vivaldi
Un violinista apprezzato e un compositore criticato
Nonostante tutti i meriti che gli si attribuiscono relativamente allo sviluppo del concerto, Vivaldi fu lodato dai contemporanei più come un violinista che come compositore. Esemplare fu l’idea che il celebre Carlo Goldoni ebbe sul Prete Rosso, dopo che egli mise in musica il libretto La Griselda di Apostolo Zeno revisionato dallo stesso Goldoni, considerandolo un eccellente suonatore di violino e un mediocre compositore[11]. Johann Friedrich Armand von Uffenbach, che durante il carnevale del 1715 soggiornava a Venezia, assistette ad un’esecuzione di Vivaldi e mostrò molto più interesse per la sua tecnica di violinista che per la sua bravura compositiva. Dunque egli riportò: … Mi ha veramente strabiliato per come è in grado di suonare il violino; egli saliva con le dita fino a un pelo dal ponticello, tanto da non lasciare quasi più spazio per larco… . William Hayes, che trovò generalizzate le opinioni che Avison aveva nei confronti del Prete Rosso, sostenne che Vivaldi aveva una grandiosa padronanza del suo strumento (violino), ma anche una vena compositiva debole che non gli permetteva di produrre buone parti.
Innovando dal profondo la musica dell’epoca, Vivaldi diede più evidenza alla struttura formale e ritmica del concerto, cercando ripetutamente contrasti armonici e inventando temi e melodie inconsuete. Il suo talento consisteva nel comporre una musica non accademica, chiara ed espressiva, tale da poter essere apprezzata dal grande pubblico e non solo da una minoranza di specialisti. Vivaldi fu favorevolmente oggetto d’interesse della critica tedesca sua contemporanea. Tra i tedeschi si ricordano in particolare, Johann Adam Hiller, Ernst Ludwig Gerber e il flautista e compositore Johann Joachim Quantz. Costui riferì di aver ascoltato alcuni concerti (probabilmente de L’estro armonico) del Prete Rosso a Pirna nel 1714 e lui stesso li definì un nuovo genere di pezzi musicali dai magnifici ritornelli (questo fu uno dei maggiori riconoscimenti a Vivaldi da parte di personalità coeve). La sua musica ebbe infatti un notevole influsso sullo stile di diversi compositori sia austriaci che tedeschi. Tra questi il più noto fu il celebre Johann Sebastian Bach, il quale fu grandemente influenzato dalla forma del concerto vivaldiano: egli interiorizzò a tal punto alcuni concerti vivaldiani da volerli trascrivere per clavicembalo solista o per uno o più clavicembali e orchestra, tra questi il famoso Concerto per quattro violini, archi e clavicembalo op. 3 n. 10 (RV 580). Fino a poco tempo fa si credeva che fosse stato Vivaldi a trascrivere per violino alcune opere di Bach. Solo recentemente è stato dimostrato che il trascrittore fu invece Bach il quale, a dire il vero, non si limitò alla pura trascrizione, ma arricchì sistematicamente la trama vivaldiana dal punto di vista contrappuntistico.

Fu apprezzato anche dall’ambiente musicale francese, nel quale spiccano l’organista Michel Corrette e Pierre Gaviniès. La sua notorietà in Francia continuò per un certo periodo anche dopo la morte: si ricorda infatti che Jean-Jacques Rousseau nel 1775 fece un riarrangiamento per flauto della Primavera.

Johann Sebastian Bach. Il modello di Vivaldi è stato determinante per l’evoluzione del suo stile.Fu invece attaccato duramente dagli inglesi, ad esempio Charles Avison sosteneva che la sua musica era adatta a far divertire i fanciulli. Nonostante questo in vita la sua musica strumentale ebbe successo in tutto Europa e fu oggetto di numerose ristampe sia francesi che inglesi.

In Italia, nonostante avesse fortemente influenzato e rinnovato la musica strumentale dell’epoca, fu praticamente ignorato dagli studiosi coevi e i suoi lavori teatrali dopo la sua morte caddero nell’oblio più totale, questo a causa della moda in voga nell’Italia del Settecento, ove si esigevano sempre nuovi autori e nuove musiche.

Vivaldi è considerato uno dei maestri della scuola barocca italiana, basata sui forti contrasti sonori e sulle armonie semplici e suggestive.

Praticamente dimenticato durante le stagioni del Classicismo e del Romanticismo, incontrò il gusto dei musicisti del primo Novecento. Dopo la riscoperta della sua opera nel secondo dopoguerra (grazie anche alla nascita di enti come l’Istituto Italiano Antonio Vivaldi, dediti allo studio e alla diffusione della musica vivaldiana) Vivaldi è oggigiorno uno dei compositori più amanti e ascoltati del Barocco, anche se non tutti i musicisti del XX secolo mostrarono tuttavia lo stesso entusiasmo: Igor Stravinskij disse provocatoriamente che «Vivaldi avrebbe scritto per cinquecento volte lo stesso concerto».

Catalogo delle opere 
Anonimo: Ritratto di Antonio Vivaldi (1700 circa) – Bologna, Museo Bibliografico MusicaleIl catalogo delle opere di Vivaldi è particolarmente vasto e complesso. La grande fama di cui godette in tutta Europa portò alla dispersione dei suoi manoscritti fino agli angoli più remoti del vecchio continente. Non è quindi raro che, in seguito al riordino delle collezioni di manoscritti di una biblioteca si rintraccino composizioni inedite delle quali si era persa notizia da secoli, come accaduto recentemente a Dresda.
Altro elemento di confusione è l’esistenza di diversi cataloghi delle sue opere, del tutto discordanti fra loro per ciò che riguarda la numerazione e la cronologia delle opere, fra i quali, solo di recente il Catalogo Ryom (contraddistinto dalla sigla RV) sembra aver raggiunto lo status di riferimento universale. Non è tuttavia raro imbattersi tuttora in pubblicazioni musicali che fanno riferimento ad una catalogazione diversa.
Il “corpus” delle composizione vivaldiano consta in circa 600 fra concerti e sonate, quasi 300 dei quali per uno o più violini, 30 circa per violoncello, 39 per fagotto, 25 per flauto, 25 per oboe etc. fino a toccare strumenti come il liuto, il mandolino ed altri strumenti molto raramente utilizzati in funzione concertistica, all’epoca.
Alle composizioni strumentali, si affianca una notevole produzione di musica sacra, che consta di poco meno di un centinaio di composizioni; notevole anche la produzione di musica vocale, comprendente oltre cento cantate ed arie.
Infine la sua attività di operista è stata recentemente riscoperta. Essa si compone di circa 45 titoli, di molti dei quali, purtroppo, si è perduta la parte musicale.

Renaissance vivaldiana: il fondo Foà-Giordano
La Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino possiede la più importante collezione di partiture autografe di Vivaldi. La storia della sua acquisizione è così straordinaria da sembrare un romanzo.

Quando, nell’autunno 1926, il direttore del Collegio Salesiano San Carlo di Borgo San Martino (Casale Monferrato), don Federico Emanuel, intraprese alcuni lavori di manutenzione ebbe l’idea, per raccogliere i fondi necessari, di mettere in vendita gli antichi manoscritti musicali che possedeva la biblioteca del Collegio. Al fine di conoscere il prezzo da proporre agli antiquari, sottopose gli spartiti al musicologo e direttore della Biblioteca Nazionale di Torino, Luigi Torri (1863-1932), che affidò questo lavoro ad Alberto Gentili (1873-1954), professore di storia della musica dell’università.

I grossi volumi della collezione contenevano quattordici opere di Antonio Vivaldi, musicista allora poco conosciuto al grande pubblico; c’erano anche opere di altri compositori, in particolare di Alessandro Stradella. Interessati a non voler disperdere una raccolta così eccezionale, gli esperti cercarono una soluzione per farla acquisire dalla Biblioteca di Torino, che non disponeva del bilancio necessario.

Una soluzione finì per essere trovata da Alberto Gentili: riuscì a persuadere un ricco agente di cambio, Roberto Foà, ad acquisire la raccolta e di farne dono alla biblioteca in memoria del suo giovane figlio Mauro, morto prematuramente alcuni mesi prima e il cui fondo doveva perpetuarne il nome. Tuttavia, avendo esaminato i manoscritti vivaldiani, Gentili scoprì che questi facevano parte di una raccolta più importante di cui si mise in testa di scoprire la parte mancante. Le opere cedute dai salesiani erano un lascito del marchese Marcello Durazzo (1842-1922): grazie all’aiuto di esperti di genealogia, s’identificò nel 1930 il proprietario degli altri volumi della collezione iniziale, figlio del fratello dell’altro proprietario, Flavio Ignazio (1849-1925), che abitava a Genova. Occorse tutta la pazienza e l’abilità del marchese genovese Faustino Curlo (1867-1935) per ottenere dal detentore che questa seconda raccolta fosse ceduta per ricostituire definitivamente l’insieme iniziale.

Poiché anche in questo caso la Biblioteca di Torino non disponeva dei fondi per l’acquisto, Alberto Gentili trovò un altro mecenate, l’industriale Filippo Giordano che accettò di comprare la raccolta e di farne dono alla Biblioteca di Torino in ricordo del figlio Renzo, morto da poco all’età di 4 anni. I due fondi così riuniti rimasero comunque distinti, sotto il nome rispettivamente di Raccolta Mauro Foà e Raccolta Renzo Giordano; i 27 volumi di manoscritti vivaldiani (quasi tutti autografi) comprendono 80 cantate, 42 opere sacre, 20 opere, 307 brani strumentali e l’oratorio Juditha triumphans.

Dalle ricerche eseguite risultò che l’intera collezione era appartenuta al conte Giacomo Durazzo, ambasciatore d’Austria a Venezia dal 1764 al 1784, ed era stata trasmessa per successione nell’illustre famiglia genovese.

I musicologi non poterono sfruttare rapidamente questa scoperta eccezionale poiché Alberto Gentili, al quale i diritti di studio e di pubblicazione erano stati espressamente riservati, era ebreo e come tale fu bloccato a causa delle leggi razziali del fascismo italiano. Fu solamente dopo la seconda guerra mondiale che lo studio e la pubblicazione poterono essere condotti al loro termine.

Reputazione postuma
Vivaldi rimase sconosciuto per i suoi concerti pubblicati e largamente ignorato sino a dopo la rinascita dell’interesse per la musica di Bach, iniziata grazie a Felix Mendelssohn-Bartholdy. Perfino il suo lavoro più noto, Le quattro stagioni, non fu noto nella sua edizione originale. Agli inizi del XX secolo il concerto in stile vivaldiano composto da Fritz Kreisler[12], il quale fu fatto passare dallo stesso autore come un lavoro originale del Prete Rosso, aiutò al risorgere delle fortune di Vivaldi. Questo spinse lo studioso francese Marc Pincherle ad iniziare un lavoro accademico sull’opera del compositore veneziano. La scoperta di numerosi manoscritti di Vivaldi e la loro acquisizione da parte della Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino portò a un rinnovato interesse per Vivaldi. La rinascita dei lavori non pubblicati di Vivaldi nel XX secolo si ebbe grazie soprattutto all’impegno di Alfredo Casella, che nel 1939 organizzò l’ormai storica Settimana di Vivaldi, nella quale vennero riscoperti il Gloria RV 589 e L’olimpiade (RV 725). Dalla Seconda guerra mondiale le composizioni di Vivaldi furono oggetto di un successo universale e con l’avvento dell’esecuzioni filologiche incrementò ulteriormente la sua fama. Nel 1947 l’uomo d’affari veneziano Antonio Fanna fondò l’Istituto Italiano Antonio Vivaldi, con il compositore Gian Francesco Malipiero come direttore artistico, con l’intento di promuovere la musica di Vivaldi la pubblicazione di nuove edizioni dei suoi lavori. La musica di Vivaldi, insieme a quella di Mozart, Čajkovskij e Corelli, è stata inclusa nelle teorie di Alfred Tomatis sugli effetti della musica sul comportamento umano e viene utilizzata nella terapia musicale.

Vivaldi al cinema
In ambito cinematografico, come personaggio Vivaldi appare nel film Piccoli delitti veneziani del 1989 diretto da Étienne Périer, film incentrato su un episodio della vita di Carlo Goldoni. Un altro film – Vivaldi, un prince à Venise – completato nel 2005 da una coproduzione italo-francese, sotto la direzione di Jean-Louis Guillermou e con la partecipazione come interpreti di Stefano Dionisi, nei panni di Antonio Vivaldi e di Michel Serrault, nel ruolo del vescovo di Venezia; questa è la prima pellicola sulla vita di Vivaldi. Un ulteriore film ispirato sulla biografia del celebre compositore è in preparazione, con il titolo provvisorio Vivaldi, prodotto da Boris Damast e con Joseph Fiennes nelle vesti del musicista; il cast vede inoltre la partecipazione di Malcolm McDowell, Jacqueline Bisset e Gérard Depardieu.


ANTONIO VIVALDI BIOGRAFIA


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