verismo italiano

verismo italiano

FONTE:http://spazioinwind.libero.it/letteraturait/realismo/verit.htm

Anche in Italia la tendenza realistica generò una corrente letteraria che interessò anche la poesia, ma soprattutto, col nome di “verismo”, la narrativa ed il teatro.

Il primo autore verista fu Luigi Capuana, che fu anche il teorico del movimento, il quale, richiamandosi al naturalismo francese, faceva proprio il principio dell’ “impersonalità dell’arte”, la tendenza a fotografare la realtà e rappresentare il documento umano oggettivamente. E’ però da chiarire subito che nelle loro opere i veristi italiani furono assai meno “oggettivi” di quanto si proponessero e non seppero mai sottrarsi completamente alla tentazione di partecipare cordialmente alle vicende dei propri personaggi. Inoltre essi, a differenza dei francesi, rivolsero la propria attenzione alla misera condizione degli “umili” dei piccoli ed arretrati paesi del Meridione d’Italia, anche se il centro di maggior diffusione del verismo fu, come sempre, il capoluogo lombardo.

Gli autori veristi trovarono una tiepida accoglienza negli ambienti dell’intellettualità borghese del loro tempo, nonostante l’esplicita adesione al movimento di Giovanni Verga, uno scrittore rinomato e che aveva in passato assecondato con libri di successo il gusto borghese ancora legato al sentimentalismo del tardo romanticismo: solo più tardi la critica ufficiale scoprirà la validità della loro opera e lo stesso Verga ebbe il riconoscimento che gli si doveva per l’opera sua verista – grazie all’intelligenza di Luigi Russo – verso la fine della vita.

Per meglio illustrare la poetica del verismo italiano, giova rifarsi alla prefazione del Verga alla novella “L’amante di Gramigna” (della raccolta “Vita di campi”):

«Caro Farina, eccoti non un racconto, ma l’abbozzo di un racconto. Esso almeno avrà il merito di essere brevissimo, e di essere storico – un documento umano, come dicono oggi – interessante forse per te, e per tutti coloro che studiano nel gran libro del cuore. Io te lo ripeterò così come l’ho raccolto pei viottoli dei campi, press’a poco colle medesime parole semplici e pittoresche della narrazione popolare, e tu veramente preferirai di trovarti faccia a faccia col fatto nudo e schietto, senza stare a cercarlo fra le linee del libro, attraverso la lente dello scrittore. Il semplice fatto umano farà pensare sempre; avrà sempre l’efficacia dell’essere stato, delle lagrime vere, delle febbri e delle sensazioni che sono passate per la carne; il misterioso processo per cui le passioni si annodano, si intrecciano, maturano, si svolgono nel loro cammino sotterraneo, nei loro andirivieni che spesso sembrano contraddittori, costituirà per lungo tempo ancora la potente attrattiva di quel fenomeno psicologico che forma l’argomento di un racconto, e che l’analisi moderna si studia di seguire con scrupolo scientifico. Di questo che ti narro oggi, ti dirò soltanto il punto di partenza e quello d’arrivo, e per te basterà, – e un giorno forse basterà per tutti.

Noi rifacciamo il processo artistico al quale dobbiamo tanti monumenti gloriosi, con metodo diverso, più minuzioso e più intimo. Sacrifichiamo volentieri l’effetto della catastrofe, allo sviluppo logico, necessario delle passioni e dei fatti verso la catastrofe resa meno impreveduta, meno drammatica forse, ma non meno fatale. Siamo più modesti, se non più umili; ma la dimostrazione di cotesto legame oscuro tra cause ed effetti non sarà certo meno utile all’arte dell’avvenire. Si arriverà mai a tal perfezionamento nello studio delle passioni, che diverrà inutile il proseguire in cotesto studio dell’uomo interiore? La scienza del cuore umano, che sarà il frutto della nuova arte, svilupperà talmente e così generalmente tutte le virtù dell’immaginazione, che nell’avvenire i soli romanzi che si scriveranno saranno i fatti diversi?

Quando nel romanzo l’affinità e la coesione di ogni sua parte sarà così completa, che il processo della creazione rimarrà un mistero, come lo svolgersi delle passioni umane, e l’armonia delle sue forme sarà così perfetta, la sincerità della sua realtà così evidente, il suo modo e la sua ragione di essere così necessarie, che la mano dell’artista rimarrà assolutamente invisibile, allora avrà l’impronta dell’avvenimento reale, l’opera d’arte sembrerà essersi fatta da sé, aver maturato ed esser sorta spontanea come un fatto naturale, senza serbare alcun punto di contatto col suo autore, alcuna macchia del peccato d’origine.» 

La nuova arte deve partire dal “documento umano”, seguire lo “sviluppo logico delle passioni” senza indulgere all’ “effetto” artificiosamente drammatico, narrare il “fatto” con le stesse parole “semplici e pittoresche della narrazione popolare”: creare, insomma, un’opera che sembri “essersi fatta da sé”. E’ questa la poetica verista cui il Verga aderì a partire dal 1875, anno della pubblicazione di “Nedda”. Ma, come abbiamo già detto, né lui né gli altri autori italiani veristi seppero rinunziare alle esigenze del proprio cuore e parteciparono con intima e sofferta solidarietà ai drammi dei loro personaggi.

Fra i maggiori scrittori del verismo italiano – oltre al Verga, del quale tratteremo a parte – ricordiamo il già citato Luigi Capuana, autore siciliano di romanzi (fra cui il suo capolavoro “Il marchese di Roccaverdina”), novelle (“Profili di donne”, “Le appassionate”, “Le paesane”, “Le nuove paesane”, ecc.), libri per l’infanzia (“C’era una volta”, “Scurpiddu”, “Cardello”, ecc.) e numerosi saggi critici (“Il teatro italiano contemporaneo”, “Studi di letteratura italiana contemporanea”, “Gli ismi contemporanei”, ecc.); Matilde Serao, greca di origine ma napoletana di adozione, che scrisse numerose novelle e romanzi (“Piccole anime”, “

Terno secco”, “Il ventre di Napoli”, ecc.) descrivendo il mondo minuto e pittoresco dei vicoli napoletani; i toscani Mario Pratesi (“Il mondo di Dolcetta: scene della vita toscana del 1859”) e Renato Fucini (“Le veglie di Neri”, “All’aria aperta”, “Nella campagna toscana”, “Foglie al vento”); la scrittrice sarda Grazia Deledda, Premio Nobel per la letteratura nel 1926 (“Il vecchio della montagna”, “Elias Portolu”, “Cenere”, “Canne al vento”, ecc.).

Come si vede da queste sommarie indicazioni, i veristi italiani furono legati ai problemi ed ai costumi delle regioni in cui vissero.

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