ULTIMO CANTO DI SAFFO PARAFRASI

ULTIMO CANTO DI SAFFO PARAFRASI

-DI GIACOMO LEOPARDI-


1ª strofa.
Oh placida notte e trasparente raggio
della tramontante luna; e tu stella di venere
che annunci il giorno fra la silenziosa selva
da sopra la rupe; voi foste  ai miei occhi
dilettose e care sembianze,
fino a quando non vissi le furie dell’amore
e il mio spietato destino; il dolce spettacolo
della natura non rallegra gli animi infelici.
Una felicità inconsueta ravviva  noi (animi infelici),
quando l’onda dei venti turbina nell’aria limpida,
e quando il tuono, tuonando sopra di noi,
squarcia l’aria tenebrosa del cielo.
A noi piace stare tra le nebbie e ci piace
andare per le colline e per le profonde valli,
a noi piace vedere la disordinata fuga delle greggi impaurite,
a noi piace sentire il fragore e il movimento dell’onda
di  un fiume in piena presso la pericolosa sponda.


 
2ª strofa.
Il tuo manto è bello, o divino cielo,
e tu, o terra rugiadosa, sei bella.
Ahi gli Dei e la sorte crudele non fecero
partecipare in alcun modo alla povera
Saffo di così  tanta infinita bellezza.
Io, addetta ai tuoi supremi regni,
come una vile e fastidiosa ospite, e
come un’amante disprezzata, o natura,
rivolgo invano e supplichevole
il mio cuore e i miei occhi
alle tue belle e graziate forme.
Il soleggiato luogo e il mattutino albore
non mi sorride; né il canto dei colorati uccelli
né il mormorio dei faggi mi sorride;
né un luogo mi sorride dove il chiaro rivo
fa scorrere le sue limpide acque e
sottrae, mostrando sdegno,
le sue serpeggianti acque
al mio malfermo piede che
nella fuga urta le profumate rive.


3ª strofa.
Quale colpa, quale misfatto gravissimo
mi rese rea prima della mia nascita
a causa dei quali il Padre del cielo e
il volto della fortuna mi furono ostili?
In che cosa peccai bambina,
quando la vita è priva di misfatti,
cosi ché poi privata della giovinezza e
del fiore della vita, cioè dell’amore (U. Dotti)
tanto che il  filo oscuro della mia vita
scorresse (più lento o più rapido?)
nel fuso dell’implacabile Parca?
(Risponde il Leopardi per bocca della Saffo).
La tua bocca fa domande inspiegabili;
una legge misteriosa muove i predestinati eventi;
tutto ciò che accade nell’universo è misterioso,
tranne il nostro dolore.
Noi uomini siamo una specie
disprezzata e nascemmo per dolerci
e la ragione del nostro dolore
è posta  sulle ginocchia degli Dei.
Oh desideri, oh speranze,
della mia più verde gioventù!
Giove  ha dato dominio duraturo
sulle genti alle forme, alle belle forme;
e la virtù non appare nelle grandi imprese,
né nella dotta poesia né nel canto,
se posta in un corpo disadorno.


 
4ª strofa.
(Ritorna a parlare Saffo per se stessa).
Morirò. E dopo che  il mio corpo indegno
rimarrà a terra, la mia anima nuda
fuggirà verso Dite, dio degli inferi,
e correggerà il tremendo e crudele errore
del cieco dispensatore dei casi.
E tu, Faone, a cui  un lungo amore e
una lunga fedeltà e una inutile passione
mai appagata mi tenne legata,
vivi felice se mai un uomo mortale
è vissuto felice sulla terra.
Giove non mi ha bagnata con il suo
prezioso liquore conservato nella piccola ampolla,
cosi ché le illusioni e i sogni
della mia fanciullezza perirono.
Ogni giorno più lieto della nostra età
per primo fugge. La malattia, la vecchiaia
ed infine la gelida morte subentra.
Ecco, adesso, solo il Tartaro mi resta,
fra i tanti sognati onori e i lusinghevoli sogni
della giovinezza ora troncati dalla realtà e, qui,
dalla morte imminente; e la tenaria Proserpina
e la buia notte e la silenziosa riva già
posseggono il mio alto e raro ingegno.

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