Ugo Foscolo Vita e Opere

Ugo Foscolo Vita e Opere


La vita

Nasce a (Zante 1778 – Turnham Green, Londra 1827), poeta italiano nato nell’isola greca di Zante, l’antica Zacinto, allora possedimento veneziano. Si trasferì a Venezia nel 1792; qui conobbe alcuni dei letterati più famosi dell’epoca (Ippolito Pindemonte, Melchiorre Cesarotti), scrisse poesie, si interessò di politica e condusse una vita sentimentale molto vivace. La sua vocazione rivoluzionaria è evidente nel dramma Tieste (1797), che gli diede una certa notorietà e nell’ode A Bonaparte liberatore. Dopo il trattato di Campoformio, con il quale Napoleone cedette Venezia all’Austria, profondamente deluso, lasciò la città e si ritirò a Milano. Fu proprio la caduta delle speranze in un rinnovamento politico da parte di Napoleone a ispirargli Le ultime lettere di Jacopo Ortis (la prima edizione completa è del 1802, quella definitiva del 1817), il primo grande romanzo italiano. Si tratta di un romanzo epistolare: il protagonista Lorenzo Alderani pubblica le lettere che l’amico Jacopo, morto suicida giovane, gli aveva inviato: lo scopo è non lasciare cadere nel nulla un esempio di grandezza tragica ed eroica. Il gesto di Jacopo si spiega sia con la delusione politica provata per la perdita di Venezia (“Il sacrificio della patria nostra è consumato” è il celebre inizio del libro), sia con la disperazione per il fatto che la donna amata, Teresa, sposi per convenienza familiare un altro uomo, Odoardo. Soprattutto per questo motivo sentimentale l’Ortis mostra alcune analogie con un altro celebre romanzo epistolare dell’epoca, I dolori del giovane Werther (1774) di Goethe. Il romanzo ebbe un grande successo soprattutto in epoca risorgimentale, presso i giovani patrioti italiani.

A Milano Foscolo frequentò scrittori come Giuseppe Parini e Vincenzo Monti, ritenuto allora il maggiore poeta in Italia. Partecipò come luogotenente della Guardia nazionale di Bologna alle battaglie della Trebbia e di Novi; a Cento venne ferito a una gamba. La sua vita continuò a essere movimentata: gli spostamenti anche all’estero furono frequenti, gli amori appassionati (Isabella Roncioni, Antonietta Fagnani Arese) si succedevano. Nel frattempo Foscolo continuava a scrivere: nel 1803 pubblicò il meglio della sua produzione poetica, dodici sonetti (fra i quali Alla sera e A Zacinto) e due odi (All’amica risanata, composta per la Fagnani Arese), in seguito meritatamente famosi.

Se le odi corrispondono in modo abbastanza evidente al gusto neoclassico, i sonetti raggiungono un’eleganza stilizzata non semplicemente riducibile alla componente classicistica che pur li caratterizza in modo evidente. Il capolavoro poetico di Foscolo è però il carme Dei sepolcri (1807). Si tratta di una lunga poesia di 295 versi sciolti dedicata al tema della morte e della commemorazione degli scomparsi, inteso come fatto di civiltà ma è anche un inno ai grandi valori dell’uomo (la libertà, l’amore per la patria, il culto per l’arte e soprattutto per la poesia, il rispetto del passato, il primato del genio scientifico) cantato attraverso numerosissime figure antiche e moderne (da Omero a Vittorio Alfieri, da Dante a Machiavelli, da Isaac Newton a Horatio Nelson) e tramite la difesa della sepoltura come monumento che racchiude in sé passato e futuro. L’argomento era legato a un fatto occasionale: con l’editto di Saint-Cloud, infatti, per ragioni di igiene, ma anche in base a motivazioni ideologiche, Napoleone aveva imposto la sepoltura dei cadaveri fuori dalle mura della città, sotto lapidi che non permettessero l’identificazione dei defunti. Un fatto che diede avvio a parecchie discussioni: con i Sepolcri Foscolo rispondeva a Pindemonte, che aveva una visione più tradizionalmete religiosa della morte.

La carriera poetica di Foscolo si concluse con un’opera incompiuta, Le Grazie, un canto dedicato alla bellezza degli antichi miti e dei loro protagonisti, tramite per celebrare la grandezza della poesia. Si tratta di tre inni dedicati ad Antonio Canova, massimo scultore neoclassico. La produzione letteraria di Foscolo comprende però anche opere di altro genere, a partire dalla traduzione molto importante di un testo destinato a fare epoca, il Viaggio sentimentale di Laurence Sterne (1813), accompagnato da un autoritratto ironico intitolato Notizia intorno a Didimo Chierico. Si tratta di una figura disegnata come l’opposto di Jacopo Ortis: se Jacopo è passionale, emotivo, incapace di tenersi a freno, al contrario Didimo è misurato, calmo, ironico e riflessivo.Nel 1808 Foscolo aveva ottenuto la cattedra di eloquenza a Pavia (la prolusione Dell’origine e dell’ufficio della letteratura è del 1809), soppressa poco tempo dopo. Nonostante ciò, la sua attività di critico letterario fu di grande importanza: studiò Dante, Boccaccio e la poesia narrativa, ma anche i contemporanei.Quando gli austriaci tornarono a Milano, nel 1814, rifiutando le offerte politicamente interessate che gli vennero fatte, Foscolo partì in esilio volontario per la Svizzera (1815) e quindi per l’Inghilterra (1816). Qui visse in condizioni economiche spesso precarie, nonostante gli aiuti della figlia naturale Floriana che viveva con lui. Morì vicino a Londra, ma nel 1871 le sue ceneri furono trasportate a Firenze, in Santa Croce.

Fra Romanticismo e Classicismo

Due sono gli elementi che spiccano nella sua personalità: il primo è un immediato abbandono agli impulsi del sentimento e delle passioni, che agitarono ininterrottamente la sua vita; il secondo, in contrasto col primo, è l’esigenza di un ordine, di una disciplina, di un’armonia interiore. Nell’abbandono agli impulsi del sentimento e delle passioni si avverte il segno della nuova sensibilità del romanticismo; nell’esigenza dell’equilibrio e dell’armonia interiore si avverte l’influenza del classicismo.

Il Foscolo si divertiva a trovare l’etimologia del suo cognome e lo divideva in due parti: la prima parte che in greco vuol dire “luce” e la seconda parte che vuol dire “bile, collera, sdegno” (quasi a indicare la vittoria della luce sulle tenebre dello sdegno e delle passioni). Interpretando così il suo cognome, egli non faceva che esprimere l’esigenza di disciplinare le passioni, di vincere insomma la disperazione di Jacopo Ortis con il sereno distacco di Dìdimo Chierico. Tuttavia soltanto nella poesia egli riuscì a rappresentare l’armonia interiore, alla quale aspirava; nella vita pratica, da autentico romantico, si lasciò sempre trasportare dalle passioni.

Le dottrine materialistiche del 700 (Illuminismo, Neoclassicismo)

Il Foscolo, nella sua concezione del mondo e della vita, segue le dottrine materialistiche e meccanicistiche dell’illuminismo, secondo le quali il mondo è fatto di materia sottoposta ad un processo incessante di trasformazioni da leggi meccaniche, senza un fine ideale. Anche l’uomo è soggetto alla stessa legge di dissolvimento della materia, perché anch’egli è solo e tutto materia, perciò, compiuto il suo ciclo biologico, la materia di cui è fatto, si disgrega ed egli si annulla completamente come individuo.

Per i filosofi del ‘700 una tale concezione materialistica della realtà e dell’uomo era un motivo di serenità, perché liberava l’animo dalle superstizioni, dalla paura della morte e dalle credenze paurose dell’aldilà, e lo induceva a vivere più serenamente, secondo natura e ragione.

Il pessimismo (Romantico)

Ma il Foscolo, pur riconoscendo la validità razionale di una tale dottrina, invece di trovarvi un motivo di serenità e di ottimismo, riscopre un motivo di pessimismo e di disperazione. La visione materialistica e meccanicistica della realtà lo porta a considerare l’uomo come prigioniero della materia, il quale, compiuto il suo ciclo vitale, piomba con la morte per nulla eterno, come un qualsiasi animale e una qualsiasi pianta, dopo una lunga catena di sofferenze senza senso.

La ragione quindi, esaltata dagli illuministi come fugatrice di tenebre ed indagatrice di verità, per il Foscolo non è affatto uno strumento di liberazione e di felicità, ma un dono malefico della natura, che da una parte ci ha dato l’istinto tenace della conservazione per farci ubbidire alle sue leggi, dall’altra ci ha forniti di ragione, per farci conoscere tutte le nostre calamità, ignorando sempre il modo di ristorarle. E’ meglio dunque non nascere, e, una volta nati, è meglio troncare la vita col suicidio.

E’ questo il momento più acuto del pessimismo foscoliano, rappresentato idealmente dal suicidio di Jacopo Ortis, un suicidio che è insieme una liberazione e una protesta: una liberazione dal dolore, e una protesta contro la natura, che ha destinato l’uomo all’infelicità (atteggiamento titanico, di ribellione).

La rivolta delle illusioni (Romanticismo)

Tuttavia il Foscolo non soccombe al pessimismo e alla disperazione, ma reagisce vigorosamente, creandosi una nuova fede in valori universali, che danno un fine ed un significato alla vita dell’uomo. Questi valori universali sono la bellezza, l’amore, la libertà, la patria, la virtù, l’eroismo, la poesia, l’arte, la gloria, tutti sentimenti che i filosofi materialisti e scettici chiamano “illusioni”, cioè idee vane, inconsistenti, ma che sono verità validissime per il poeta, che le considera necessarie a se e agli altri, perché hanno l’ufficio di legare l’uomo alla vita e di dare uno scopo all’esistenza, sono i miti, le idee-forza, che promuovono il progresso, la civiltà dei popoli e dell’umanità.

Tra le “illusioni “ quella più grande per il Foscolo è la gloria, l’ansia tutta romantica di vincere l’oscurità e la morte, di lasciare il segno del nostro passaggio sulla terra nell’eredità degli affetti che lasciamo agli altri, nella fama delle azioni magnanime ed eroiche. Egli che ha perduto la fede cristiana nell’immortalità dell’anima, vede nella illusione della gloria il mezzo di sopravvivenza ideale dopo la morte. Così all’immortalità trascendente della religione tradizionale, egli sostituisce l’immortalità immanente nelle azioni degli uomini, nella storia che le raccogli e le tramanda, nella poesia che le celebra e le addita come esempio e stimolo a compiere altre imprese magnanime ed eroiche.

Non è immortale, secondo il Foscolo, l’anima dell’uomo, ma sono immortali le azioni che egli nobilmente e generosamente compie. Il ricordo di lui vive perenne nel cuore dei parenti e degli amici e, se ha onorato la patria, la scienza e l’arte, vive nel cuore della nazione e dell’umanità.

Tenendo presente la sua fede nelle “illusioni”, ci spieghiamo molto delle vicende biografiche del Foscolo, che riscattano le sue umane miserie e debolezze. Anzitutto ci spieghiamo i suoi innumerevoli amori, che erano altrettanti modi di vivere intensamente, di realizzarsi nella sua impetuosa individualità; ci spieghiamo poi il suo attivismo politico, militare, giornalistico, la sua attività di insegnante a Pavia; l’impegno di poeta civile, la scelta coraggiosa dell’esilio, per fierezza e coerenza di carattere.

I limiti delle “illusioni” foscoliane

Tuttavia la fede nelle illusioni non valse a dare a Foscolo una serenità stabile, perché, non essendo essa ancorata ad una realtà metafisica, come la fede cristiana, ma a dei sentimenti del tutto umani e terreni, era soggetta agli entusiasmi e agli scoraggiamenti del momento.

Le illusioni insomma non furono mai per il Foscolo una realtà assoluta, ma spesso erano accompagnate, come la luce dall’ombra, dalla consapevolezza dei limiti della natura umana e dalla minaccia sempre incombente della morte e del nulla eterno.

Questo sentimento della vita con le sue armonie e le sue bellezze, congiunto con l’idea del dolore e della morte, conferisce alla poesia foscoliana un tono di malinconia. Ma si tratta di malinconia non querula ed inerte, che porta all’apatia e all’ignavia, ma virile ed agonistica, una sorte di pessimismo della ragione e di ottimismo della volontà operosa e costruttiva.

Le sue più importanti opere sono: “Le ultime lettere di Jacopo Ortis”, “Le odi”, “I sonetti”, “I sepolcri”, “Le grazie”.

I sonetti

A Zacinto

Il sonetto svolge due motivi strettamente congiunti: la rievocazione nostalgica della patria lontana ed il presentimento della illacrimata sepoltura. Il primo motivo si estende per quasi tutto il sonetto (vv. 1-11).

Il poeta ha il presentimento di non rivedere più Zacinto, dove visse la fanciullezza. Il ricordo della patria lontana richiama alla mente del poeta la bellezza del suo mare, il mito di venere nata dalla spuma del mare, la poesia di Omero che celebrò la bellezza di Zacinto e narrò le peregrinazioni di Ulisse, l’eroe perseguitato dal destino, che finalmente approdò e baciò la sua Itaca petrosa, un lembo di terra rocciosa, arida, povera, ma cara al suo cuore perché la sua patria.

Il secondo motivo è lo sviluppo logico del primo e occupa gli ultimi tre versi del sonetto.

Il ricordo di Ulisse fa ripiegare il poeta su se stesso e gli fa avvertire l’analogia del proprio destino con quello dell’eroe greco: anch’egli infatti si sente perseguitato da una sorte avversa e crudele, ma poi ha il presentimento delle diversità della sua conclusione . L’Ulisse omerico riuscì finalmente un giorno a rivedere la patria, l’Ulisse moderno, il Foscolo stesso, ha il presentimento della morte in terra straniera, in assoluta solitudine, non confortata dal pianto dei congiunti e degli amici.

In morte del fratello Giovanni

E’ un sonetto scritto in memoria del fratello Giovanni Dionigi, che si era ucciso a Venezia l’8 dicembre 1801, con una pugnalata al cuore, sotto gli occhi della madre, per un’accusa di furto. Era sottotenente di artiglieria e del genio e, avendo perduto al gioco, aveva ottenuto un prestito da un funzionario, il quale aveva preso il denaro dalla cassa del reggimento ma, non avendone ottenuto la restituzione, lo avevano denunciato come ladro. Di qui il suicidio “per sfuggire d’infamia”, come scrisse Foscolo.

I biografi narrano che, alla notizia del suicidio del fratello, il poeta giudicò aspramente il suo gesto. Più tardi però, nel 1802, probabilmente nel primo anniversario, idealizzo il suicidio di questo sonetto, che svolge il motivo romantico della morte, invocata e desiderata, perché è il solo porto di quiete e di pace.

Giovanni Dionigi ci appare così il “fratello ideale” di Jacopo Ortis, perseguitato anch’egli dalla sorte, che solo dopo la morte raggiunge la pace, quella pace a cui anela profondamente il Foscolo stesso. Pertanto, una vicenda particolare viene elevata a significato universale, a simbolo della condizione tragica dell’uomo, contro la quale unico rimedio è la pace eterna della morte.

Ma accanto al motivo della morte, vista come liberazione e pace, ci sono altri motivi non meno importanti: l’esilio, nel fuggire di gente in gente; la pietà per la giovinezza tragicamente stroncata del fratello e per il dolore della madre; il sentimento della tomba, intesa come nodo di affetto tra i familiari e l’estinto; l’ulissismo romantico, la coscienza cioè di essere vittima di un destino ugualmente avverso; gli affanni di una vita agitata, in contrasto con i sogni di amore, di eroismo, di virtù, gloria che animarono i primi anni giovanili.

Dei sonetti “maggiori” questo è pertanto il più ricco dei motivi. Contiene infatti tutti, o quasi tutti, i motivi essenziali della poesia del Foscolo (mentre il sonetto A Zacinto sviluppa il motivo dell’esilio e dell’illacrimata sepoltura, e Alla sera propone un riflessione del poeta sulla sera, vista come simbolo della pace e della morte). Il Foscolo stesso dovette giudicare perfetto ed esemplare questo sonetto, perché lo riportò, solo fra tutti gli altri, nel Saggio sulla storia del sonetto italiano.

Il sonetto si può dividere in tre parti. Nella prima parte (vv. 1-4), il poeta promette al fratello che, se un giorno finirà il suo peregrinare di esule di terra in terra, verrà anche lui a piangere sulla sua tomba. Per ora, dice il poeta nella seconda parte (vv. 5-12), soltanto la madre piange sulla tomba del fratello morto e parla a lui  dell’altro figlio lontano (il poeta stesso), che invano spera di andare a vivere con lei, perché si sente perseguitato dallo stesso destino avverso e sente la stessa pena di vivere che ebbe il fratello, e lo stesso desiderio di quella pace che si gode soltanto nel grembo della morte.

Fallite le dolci speranze della giovinezza (la libertà della patria, l’amore, l’eroismo, la virtù, la gloria, ecc.), non rimane al poeta che la speranza della pace eterna della morte. “Questo di tanta speme oggi mi resta”.

Il sonetto, iniziato con il tema dell’esilio (un dì, s’io non andrò sempre fuggendo | di gente in gente), si conclude con il presentimento della morte in terra straniera.

Il poeta infatti, nella terza parte, costituita dall’ultima coppia di versi, rivolge alle genti straniere la preghiera di restituire le sue ossa, dopo la morte, alla madre, perché la sua tomba possa avere almeno il conforto del pianto dell’amore materno.

Nel sonetto ci sono molte reminiscenze letterarie, tratte da Catullo, Vergilio, Petrarca. Tuttavia esse perdono ogni peso di erudizione, perché sono assolutamente assorbite e fuse con il sentimento sincero del poeta. Anzi mentre esse nei testi originari hanno un tono elegiaco, nel componimento del Foscolo vibrano di un tono drammatico, tipicamente foscoliano.

Elementi classici più importanti: struttura lineare, limpidità espressiva, compostezza del sentimento, tono pacato e misurato.

Gli elementi romantici coincidono con i motivi stessi del sonetto: il peregrinare del poeta di gente in gente, l’ulissismo, il senso drammatico della vita, il contrasto tra la realtà e le illusioni della giovinezza, il desiderio della morte sentita come porto di quiete.

Alla sera

Ritroviamo qui la caratteristica dei sonetti maggiori del Foscolo: la tendenza ad universalizzare i propri sentimenti, a trasformare cioè un’esperienza personale in un tema di meditazione sul comune destino di dolore degli uomini.

Il poeta, rivolgendosi alla sera, dice, nelle due quartine, che essa, con l’atmosfera di silenzio e di pace che diffonde intorno, gli è sempre cara in ogni stagione, perché gli suggerisce il pensiero della pace eterna della morte e l’idea del nulla eterno, in cui si dissolvono le passioni e gli affanni della vita umana. Dalla pace della sera e dalla meditazione sul nulla eterno deriva (nelle due terzine) all’animo del poeta un senso di ristoro e di pace. Egli sente infatti placarsi e assopirsi momentaneamente il tumulto dei sentimenti e delle passioni, nel quale trascorre la vita. Mentre guardo la tua pace  – egli conclude – (dorme quello spirito guerrier ch’entro mi rugge).

Il sonetto è d’intonazione romantica. Perché svolge il motivo della meditazione sul destino umano, il motivo della morte sentita come porto di quiete, il motivo dell’animazione romantica della natura, alla quale vengono attribuiti i sentimenti umani della letizia (liete sono le nubi estive, sereni i venti) o del dolore (inquiete sono le tenebre).

Classica è, invece al di là dell’uso i termini latini (imago, aere, torme, cure), la linearità della struttura, la pacatezza dell’espressione, il dominio dei sentimenti.

Alla Musa

E’ l’ultimo dei sonetti maggiori del Foscolo, composto, come gli altri, tra il 1802 e il 1803. In essi ritroviamo la materia incandescente e caotica dell’Ortis, ma essa è già controllata e disciplinata dallo sforzo del poeta di ristabilire in se il dominio dei sentimenti e delle passioni, favorito dall’incipiente virile accettazione della realtà, del destino di dolore e di morte a cui soggiacciono tutti gli uomini. Ciò spiega, da una parte, la tendenza a fare delle proprie esperienze un argomento di meditazione universale, dall’altra, la pacatezza del linguaggio e dello stile, che perdono la tensione e l’enfasi dei primi sonetti, ed acquistano un tono più intimo ed accorato.

In questo sonetto il Foscolo si lamenta che la Musa, che negli anni giovanili gli era stata largamente prodiga d’ispirazione, ora, nell’età matura (nientemeno, a 25 anni), lo ha abbandonato e gli fa giungere appena un’eco fioca del suo spirito, comunque insufficiente a placare il dolore che lo travaglia. La Musa, a cui è diretto il sonetto, è chiamata “aonia”, perché in Grecia era particolarmente venerata nell’Aonia (o Beozia).

Nelle quartine, il poeta si lamenta che la Musa, un tempo generosa dispensatrice d’ispirazione, ora lo ha abbandonato, lasciandogli appena “una favilla”, una piccolissima parte, della sua ispirazione (prima parte).

Eppure tu, o aonia Musa, una volta sulle mie labbra versavi un’abbondanza vivificatrice (alma) d’ispirazione, quando passava il primo tempo della giovinezza, e intanto ad esso seguiva il tempo attuale (cioè l’età matura), che fra pianti e dolori discende verso la silenziosa riva del Lete, verso il silenzio della morte. Ora imploro il tuo aiuto, sebbene io non sia ascoltato come una volta; ahimè! Della tua ispirazione in me è rimasta solo una minima parte (una favilla).

Nelle terzine (seconda parte), il poeta confessa l’insufficienza di quel poco d’ispirazione a sfogare il dolore che fatalmente alberga in lui.

Anche tu fuggisti – egli dice –insieme con le Ore, o dea! Anche tu mi lasci con i miei tristi ricordi (membranze) e con l’oscuro timore del futuro: perciò mi accorgo, e Amore me lo conferma, che le poesie rare e troppo elaborate che compongo non valgono ad alleviare il dolore che fatalmente deve travagliarmi per tutta la vita. Tutti gli studiosi giudicano inopportuno e stonato l’inciso e mel ridice Amore.

Solo tre anni dopo alla Musa Foscolo ritroverà la sua vena poetica. E nasceranno i Sepolcri.