TRE COSE SOLAMENTE M’ENNO IN GRADO

TRE COSE SOLAMENTE M’ENNO IN GRADO

DI CECCO ANGIOLIERI


«Tre cose solamente m’ènno in grado»
(Sonetti, 87)

È una sorta di sonetto “programmatico”, in cui l’autore elenca le cose che gli procurano piacere nella vita e che identifica con i divertimenti materiali, ovvero il piacere sessuale, il vino e il gioco d’azzardo (il modello è il “plazer” provenzale, anche se a un livello più basso e vicino piuttosto ai “carmina potatoria” della letteratura mediolatina). Non manca come in altri testi la polemica contro il padre avaro, che lo tiene a stecchetto e non gli fornisce denaro a sufficienza per i suoi stravizi, al quale augura perciò la morte.


Tre cose solamente m’ènno in grado,
le quali posso non ben ben fornire,
cioè la donna, la taverna e ’l dado:
queste mi fanno ’l cuor lieto sentire.

Ma sì·mme le convene usar di rado,
ché la mie borsa mi mett’ al mentire;
e quando mi sovien, tutto mi sbrado,
ch’i’ perdo per moneta ’l mie disire.

E dico: «Dato li sia d’una lancia!»,
ciò a mi’ padre, che·mmi tien sì magro,
che tornare’ senza logro di Francia.

Ché fora a tôrli un dinar[o] più agro,
la man di Pasqua che·ssi dà la mancia,
che far pigliar la gru ad un bozzagro.


Solamente tre cose mi sono gradite, anche se non me le posso permettere come vorrei, cioè la donna, la taverna [il vino] e il gioco d’azzardo; queste mi allietano il cuore.

Ma sono costretto a goderne raramente, poiché la mia borsa mi smentisce [essendo vuota]; e quando ci penso mi metto a sbraitare, poiché per la mancanza di denaro non posso compiere i miei desideri.

E dico: “Che sia colpito con una lancia!”; questo a mio padre, che mi tiene così a stecchetto che tornerei [a piedi] dalla Francia senza logorìo [senza dimagrire ulteriormente].

Infatti la mattina di festa, quando si dà la mancia [ai bambini], sarebbe più difficile scucirgli un quattrino [a mio padre] che far acchiappare la gru a una poiana.


Interpretazione complessiva

Il sonetto ha schema della rima ABAB, ABAB, CDC, DCD e presenta alcune forme di lessico popolare: mie per “mia”, “mio” (vv. 6, 8), mi sbrado (v. 7, “inveisco”, “sbraito”), bozzagro (v. 14, “poiana”). Il componimento ha struttura simmetrica, poiché nelle quartine c’è l’elenco delle cose che danno piacere a Cecco e i motivi per cui deve rinunciarvi (vv. 1-4 e 5-8, con il cambiamento di tono segnalato da Ma… al v. 5), mentre nelle terzine c’è l’attacco contro il padre che non gli fornisce denaro, cui augura la morte (vv. 9-11) e con il paragone finale che spiega in modo iperbolico la sua taccagneria (vv. 12-14).

Il modello di Cecco è in un certo senso il plazer provenzale, ovvero l’elenco di cose piacevoli per dilettare il lettore, anche se qui il tono è molto più basso e i piaceri citati appartengono alla sfera triviale, non certo alla nobile vita cavalleresca come in Folgóre da S. Gimignano Altro riferimento letterario è quello dei carmina potatoria, le poesie della letteratura mediolatina in cui si inneggiava in modo simile alla taverna, al vino e al gioco d’azzardo (cfr. il testo In taberna quando sumus).

Il senso del v. 11 probabilmente è che Cecco è così magro che potrebbe tornare a piedi dalla Francia senza dimagrire ulteriormente, anche se alcuni interpretano logro nel significato di “logoro”, ovvero il richiamo usato per i falconi da caccia (Cecco tornerebbe dalla Francia senza bisogno di richiamo, pur di ricevere dei soldi).

Nei vv. 12-14 si dice che il padre di Cecco è così avaro che non darebbe un soldo al figlio neppure il mattino del giorno di festa (“Pasqua” è da intendersi come riferimento generico a qualunque festività religiosa), come avveniva tradizionalmente, al punto che sarebbe più facile far sì che una poiana, rapace molto lento, catturi una veloce e agile gru.