Traduzioni Latino De Catilinae Coniuratione Sallustio

Traduzioni Latino De Catilinae Coniuratione Sallustio


Capitolo I
Italiano
Tutti gli uomini che si preoccupano di essere superiori agli altri conviene che si sforzino con grande impegno a non vivere la vita nell’oblio come la pecora, che la natura ha creato prona e schiava del ventre. La nostra forza è posta sia nell’animo e che nel corpo; dell’animo usiamo l’attitudine a comandare, del corpo piuttosto quella ad ubbidire; la prima l’abbiamo in comune con gli dei, la seconda con le bestie. Perciò mi sembra più giusto ricercare la gloria con le risorse dell’intelletto che con le forze fisiche e, poiché la stessa vita della quale godiamo è breve, rendere più duraturo possibile il nostro ricordo. Infatti la gloria delle ricchezze e della bellezza è fragile e passeggera, la virtù rimane eterna e splendente.
Peraltro c’è stata a lungo una grande disputa tra i mortali se la scienza militare trae maggiore beneficio dalla robustezza fisica o dalle doti intellettive. Infatti prima di cominciare una cosa occorre riflettere e, quando si è riflettuto, è necessario farla subito. Così l’uno e l’altro fattore di per sé deboli hanno bisogno dell’aiuto reciproco.

Latino
Omnis homines qui sese student praestare ceteris animalibus summa ope niti decet ne vitam silentio transeant veluti pecora, quae natura prona atque ventri oboedentia finxit. Sed nostra omnis vis in animo et corpore sita est; animi imperio, corporis servitio magis utimur; alterum nobis cum dis, alterum cum beluis commune est. Quo mihi rectius videtur ingeni quam virium opibus gloriam quaerere et, quoniam vita ipsa qua fruimur brevis est, memoriam nostri quam maxume longam efficere. Nam divitiarum et formae gloria fluxa atque fragilis est, virtus clara aeternaque habetur.
Sed diu magnum inter mortalis certamen fuit vine corporis an virtute animi res militaris magis procederet. Nam et prius quam incipias consulto et, ubi consulueris, mature facto opus est. Ita utrumque per se indigens alterum alterius auxilio eget.

Capitolo II

Italiano
Dunque in origine i re – infatti sulla terra fu questa la prima denominazione del potere – alcuni, a seconda dell’inclinazione, esercitavano l’ingegno, altri il corpo; tuttavia allora la vita degli uomini trascorreva senza cupidigia; ognuno era contento di ciò che aveva. Ma in seguito, da quando Ciro in Asia e, in Grecia, gli Spartani e gli Ateniesi iniziarono a sottomettere città e nazioni, a considerare motivo di guerra la bramosia di dominare, ad individuare la gloria nella vastità del comando, allora solo attraverso pericoli e difficoltà si prese coscienza che in guerra conta più l’ingegno. Se la forza d’animo dei re e dei comandanti valesse così in pace come in guerra, le vicende umane avrebbero più equilibrio e regolarità, né assisteresti al mutamento e al mescolamento di ogni cosa. Infatti è facile mantenere il potere con i mezzi con cui lo si è conquistato. Ma quando la svogliatezza subentra all’efficienza, la libidine e la superbia alla temperanza e all’equità, allora la fortuna muta assieme ai costumi. Così il potere passa sempre dal meno valoroso al migliore.
L’agricoltura, la navigazione e l’edilizia sono tutte attività che sono agli ordini dell’ingegno. Ma molti mortali, devoti al ventre e al sonno, trascorrono la vita senza istruzione né educazione, come dei pellegrini. Per questi, contro ciò che detta la natura, il corpo era per il piacere, mentre l’animo era un peso. La vita e la morte di questi conta per me allo stesso modo, poiché si tace a proposito di entrambe. Invece, mi sembra che viva veramente e che usufruisca dell’ingegno colui che cerca di distinguersi con una nobile impresa o con un nobile intento.

Latino
Igitur initio reges – nam in terris nomen imperi id primum fuit – divorsi, pars ingenium, alii corpus exercebant; etiam tum vita hominum cupiditate agitabatur, sua cuique satis placebant. Postea vero quam in Asia Cyrus, in Graecia Lacedaemonii et Athenienses coepere urbis atque nationes subigere, lubidinem dominandi causam belli habere, maxumam gloriam in maxumo imperio putare, tum demum periculo atque negotiis compertum est in bello plurumum ingenium posse. Quod si regum atque imperatorum animi virtus in pace ita ut in bello valeret, aequabilius atque constantius sese res humanae haberent, neque aliud alio ferri neque mutari ac misceri omnia cerneres. Nam imperium facile is artibus retinetur quibus initio partum est. Verum ubi pro labore desidia, pro continentia et aequitate lubido atque superbia invasere, fortuna simul cum moribus immutatur. Ita imperium semper ad optumum quemque a minus bono transfertur.
Quae homines arant, navigant, aedificant, virtuti omnia parent. Sed multi mortales, dediti ventri atque somno, indocti incultique vitam sicuti peregrinantes transiere. Quibus profecto contra natura corpus voluptati, anima oneri fuit. Eorum ego vitam mortemque iuxta aestumo, quoniam de utraque siletur. Verumenimvero is demum mihi vivere atque frui anima videtur, qui aliquo negotio intentus praeclari facinoris aut artis bonae famam quaerit.

Capitolo III

Italiano
Peraltro nel vasto campo delle occupazioni umane la natura mostra a chi una strada a chi un’altra. E’ nobile operare nell’interesse dello Stato, ma non è senza pregio anche scriverne in modo adeguato; è possibile diventare famosi sia in pace che in guerra; e coloro che fecero e scrissero i fatti di altri, in molti sono lodati. Anche se la fama non segue in ugual modo chi scrive le opere e chi le fa, mi sembra tuttavia particolarmente arduo scrivere le imprese: in primo luogo poiché bisogna con le parole essere all’altezza dei fatti, poi poiché i più credono che le cose che hai condannato come misfatti sono state dette con malevolenza e con invidia; qualora poi rievochi il gran valore e la gloria di uomini eccezionali, ciascuno con pazienza accetta quelle cose alla sua portata, e ritiene invece falso come se fosse inventato ciò che è al di sopra delle sue capacità. Peraltro io, giovanissimo, come molti mi lasciai trascinare alla politica dalla passione, e lì incontrai molte delusioni. Infatti vigevano la sfrontatezza, l’avidità e la corruzione al posto del rispetto, della virtù e del disinteresse. E sebbene il mio animo, non abituato a pratiche disoneste, si rifiutasse, la mia inesperta età si lasciava corrompere dall’ambizione; e sebbene rimanessi lontano dai cattivi costumi degli altri, la stessa sete di potere mi esponeva non meno di essi alla maldicenza e all’invidia.

Latino
Sed in magna copia rerum aliud alii natura iter ostendit. Pulchrum est bene facere rei publicae, etiam bene dicere haud absurdum est; vel pace vel bello clarum fieri licet; et qui fecere, et qui facta aliorum scripsere, multi laudantur. Ac mihi quidem, tametsi haudquaquam par gloria sequitur scriptorem et auctorem rerum, tamen in primis arduum videtur res gestas scribere: primum, quod facta dictis exaequanda sunt; dehinc, quia plerique, quae delicta reprehenderis, malevolentia et invidia dicta putant; ubi de magna virtute atque gloria bonorum memores, quae sibi quisque facilia factu putat, aequo animo accipit, supra ea veluti ficta pro falsis ducit. Sed ego adulescentulus initio, sicuti plerique, studio ad rem publicam latus sum, ibique mihi multa advorsa fuere. Nam pro pudore, pro abstinentia, pro virtute, audacia, largitio, avaritia vigebant. Quae tametsi animus aspernabatur, insolens malarum artium, tamen inter tanta vitia imbecilla aetas ambitione corrupta tenebatur; ac me, cum ab relicuorum malis moribus dissentirem, nihilo minus honoris cupido eadem quae ceteros fama atque invidia vexabat.

Capitolo IV

Italiano
Allora, quando il mio animo poté riaversi dopo molte traversie e rischi e decisi di mantenermi lontano dalla politica per il resto della mia vita, non pensai di sprecare il mio prezioso tempo in un’apatica pigrizia, né in verità di trascorrere la vita intento a coltivare la terra o a cacciare, occupazioni da servi; ma ritornato allo stesso disegno e all’inclinazione dalla quale la cattiva ambizione mi aveva distolto, stabilii di scrivere le gesta del popolo in maniera monografica, secondo che ciascun avvenimento sembrava degno di essere ricordato; tanto più che avevo l’animo libero dalle aspirazioni, dalla paura e dalle fazioni del senato. Dunque tratterò in breve la congiura di Catilina con la maggiore veridicità possibile; infatti ritengo questo misfatto particolarmente memorabile per la sua singolarità e per il pericolo corso dallo Stato. Prima che io dia inizio alla narrazione occorre però spiegare alcune cose sui costumi di quest’uomo.

Latino
Igitur, ubi animus ex multis miseriis atque periculis requievit et mihi reliquam aetatem a re publica procul habendam decrevi, non fuit consilium socordia atque desidia bonum otium conterere, neque vero agrum colundo aut venando, servilibus officiis, intentum aetatem agere; sed a quo incepto studioque me ambitio mala detinuerat eodem regressus, statui res gestas populi Romani carptim, ut quaeque memoria digna videbantur, perscribere; eo magis quod mihi a spe, metu, partibus rei publicae animus liber erat. Igitur de Catilinae coniuratione quam verissume potero paucis absolvam; nam id facinus in primis ego memorabile existumo sceleris atque periculi novitate. De cuius hominis moribus pauca prius explananda sunt quam initium narrandi faciam.

Capitolo V

Italiano
Lucio Catilina, di nobile stirpe, fu uomo di grande forza ed animo, ma di indole cattiva e malvagia. Fin dall’adolescenza gli furono gradite le guerre interne, le stragi, le rapine e le discordie civili, e in queste situazioni trascorse la sua gioventù. Aveva un fisico resistente alla fame, al freddo, alle veglie al di sopra di quanto chiunque possa credere. Aveva un animo audace, subdolo, mutevole, era simulatore e dissimulatore di qualsiasi cosa; desideroso delle cose d’altri, prodigo delle sue; ardente nei desideri; abbastanza eloquente, ma poco accorto. Il desolato animo desiderava sempre cose immoderate, incredibili, esagerate. Dopo la dominazione di L. Silla lo aveva invaso il fortissimo desiderio di impadronirsi dello Stato, e non si curava affatto dei mezzi con cui raggiungere il suo scopo, pur di ottenere il potere. L’animo feroce era ogni giorno tormentato sempre più dalle ristrettezze e dal rimorso dei delitti, che erano resi più gravi da entrambi i comportamenti che sopra ho ricordato. Inoltre lo incitavano i costumi corrotti della città, che la lussuria e l’avarizia, mali pessimi ma diversi fra loro, affliggevano.
Poiché l’occasione mi ricorda i costumi di Roma, lo stesso argomento sembra esortarmi a ritornare indietro e ad esporre con poche parole le istituzioni dei nostri avi in pace e in guerra, in quale modo abbiano costituito lo Stato, quanto grande l’abbiano lasciato e quanto a poco a poco sia diventato, da bellissimo e ottimo, pessimo e viziosissimo.

Latino
Lucius Catilina, nobili genere natus, fuit magna vi et animi corporis, sed ingenio malo pravoque. Huic ab adulescentia bella intestina, caedes, rapinae, discordia civilis grata fuere, ibique iuventutem suam exercuit. Corpus patiens inediae, algoris, vigiliae, supra quam cuiquam credibile est. Animus audax, subdolus, varius, cuius rei lubet simulator ac dissimulator; alieni adpetens, sui profusus; ardens in cupiditatibus; satis eloquentiae, sapientiae parum. Vastus animus immoderata, incredibilia, nimis alta semper cupiebat. Hunc post dominationem L. Sullae lubido maxuma invaserat rei publicae capiundae, neque id quibus modis adsequeretur, dum sibi regnum pararet, quicquam pensi habebat. Agitabatur magis magisque in dies animus ferox inopia rei familiaris et conscientia scelerum, quae utraque is artibus auxerat quas supra memoravi. Incitabant praeterea corrupti civitatis mores, quos pessuma ac divorsa inter se mala, luxuria atque avaritia, vexabant.
Res ipsa hortari videtur, quoniam de moribus civitatis tempus admonuit, supra repetere ac paucis instituta maiorum domi militiaeque, quomodo rem publicam habuerint quantamque reliquerint, ut, paulatim immutata, ex pulcherruma <atque optima> pessuma ac flagitiosissuma facta sit, disserere.

Capitolo VI

Italiano
Come ho appreso, all’inizio i Troiani fondarono e abitarono la città di Roma, i quali, guidati dal comandante Enea, avevano vagato senza sedi fisse. Insieme a questi gli Aborigeni, una popolazione agreste, senza leggi, senza governo, libera ed indipendente. Dopo essersi riuniti entro la stessa cerchia di mura, è incredibile a ricordarsi con quanta facilità si siano fusi insieme, pur essendo di stirpe diversa, dissimili nella lingua, pur vivendo chi secondo un costume chi secondo un altro: <così in breve tempo una massa eterogenea e sbandata aveva creato attraverso la concordia una comunità civile>.
Ma quando il loro Stato, cresciuto nel numero di cittadini, in civiltà, in territorio, sembrava abbastanza prospero e abbastanza potente, così come vanno molte cose degli uomini, dal benessere nacque l’invidia. Allora i re e i popoli vicini li provocavano con una guerra, degli alleati pochi portavano loro aiuto; infatti gli altri, presi da paura, si mantenevano lontani dai pericoli. Ma i Romani, vigili in pace e in guerra, si affrettavano, si preparavano, si esortavano l’un l’altro, andavano incontro ai nemici, difendevano con le armi la libertà, la patria e i parenti. In seguito, quando avevano allontanato i pericoli con la virtù, portavano aiuti agli alleati e ottenevano amicizie più compiendo favori che non ricervendone. Avevano un governo regolato da leggi, a cui davano il nome di regno. Uomini scelti, il corpo fiaccato dagli anni, la mente vigorosa per la saggezza, provvedevano allo Stato; ed essi, o per l’età o per l’analogia della funzione, erano chiamati padri. Poi, quando il governo dei re, che era stato istituito con lo scopo di custodire la libertà e di accrescere lo Stato, degenerò in un arrogante dispotismo, cambiato regime si diede il potere a due capi ogni anno; in questo modo ritenvano minime le possibilità che l’animo umano diventasse arrogante per abuso di potere.

Latino
Urbem Romam, sicuti ego accepi, condidere atque habuere initio Troiani qui, Aenea duce profugi, sedibus incertis vagabantur, cumque is Aborigines, genus hominum agreste, sine legibus, sine imperio, liberum atque solutum. Hi postquam in una moenia convenere, dispari genere, dissimili lingua, alius alio more viventes, incredibile memoratu est quam facile coaluerint: <ita brevi multitudo diversa atque vaga concordia civitas facta erat>.
Sed postquam res eorum civibus, moribus, agris aucta satis prospera satisque pollens videbatur, sicuti pleraque mortalium habentur, invidia ex opulentia orta est. Igitur reges populique finitumi bello temptare, pauci ex amicis auxilio esse; nam ceteri, metu perculsi, a periculis aberant. At Romani, domi militiaeque intenti festinare, parare, alius alium hortari, hostibus obviam ire, libertatem, patriam parentesque armis tegere. Post, ubi pericula virtute propulerant, sociis atque amicis auxilia portabant, magisque dandis quam accipiundis beneficiis amicitias parabant. Imperium legitumum, nomen imperi regium habebant. Delecti, quibus corpus annis infirmum, ingenium sapientia validum erat, rei publicae consultabant; ei vel aetate vel curae similitudine patres appellabantur. Post, ubi regium imperium, quod initio conservandae libertatis atque augendae rei publicae fuerat, in superbiam dominationemque se convortit, inmutato more annua imperia binosque imperatores sibi fecere; eo modo minime posse putabant per licentiam insolescere animum humanum.

Capitolo VII

Italiano
In quel momento ognuno iniziò ad innalzare le proprie aspirazioni e a mettere maggiormente in evidenza l’ingegno. Infatti i re sospettano più dei valorosi che degli incapaci, e sempre la virtù altrui mette loro paura. Peraltro è incredibile ripensare a quanto la città crebbe in breve tempo, conquistata la libertà; il desiderio di gloria era penetrato nel cuore di tutti. Immediatamente i giovani, non appena erano capaci di sopportare le fatiche della guerra, imparavano negli accampamenti, con la fatica e la pratica, il mestiere delle armi, e trovavano piacere più nei cavalli da battaglia e nelle nobili armi più che che in prostitute e banchetti. Dunque per uomini di tal genere non c’era lavoro che fosse straordinario, nessun luogo che fosse accidentato o impervio, nessun nemico armato che impaurisse; il valore superava ogni ostacolo. Ma la massima gara fra gli stessi era per la gloria; ciascuno desiderava colpire il nemico, scalare le mura, essere notato mentre compiva tale impresa; essi ritenevano la buona fama una ricchezza e un grande segno di nobiltà. Desiderosi di lodi, erano prodighi di denaro; volevano un’ingente gloria e una condizione decorosa. Potrei raccontare, se questa cosa non ci portasse troppo lontano, in quali luoghi con una piccola schiera il popolo Romano ha sconfitto enormi truppe di nemici ed ha preso combattendo città munite di difese naturali.

Latino
Sed ea tempestate coepere se quisque extollere magisque ingenium in promtu habere. Nam regibus boni quam mali suspectiores sunt, semperque eis aliena virtus formidulosa est. Sed civitas incredibile memoratu est adepta libertate quantum brevi creverit; tanta cupido gloriae incesserat. Iam primum iuventus, simul ac belli patiens erat, in castris per laborem usu militiam discebat, magisque in decoris armis et militaribus equis quam in scortis atque conviviis lubidinem habebant. Igitur talibus viris non labor insolitus, non locus ullus asper aut arduus erat, non armatus hostis formidulosus; virtus omnia domuerat. Sed gloriae maxumum certamen inter ipsos erat; se quisque hostem ferire, murum ascendere, conspici dum tale facinus faceret, properabat; eas divitias, eam bonam famam magnamque nobilitatem putabant. Laudis avidi, pecuniae liberales erant; gloriam ingentem, divitias honestas volebant. Memorare possum quibus in locis maxumas hostium copias populus Romanus parva manu fuderit, quas urbis natura munitas pugnando ceperit, ni ea res longius nos ab incepto traheret.

Capitolo VIII

Italiano
Certamente la fortuna è padrona di ogni situazione; essa rende famose o lascia cadere nell’oscurità tutte le cose secondo il capriccio piuttosto che secondo vero merito. Le gesta degli Ateniesi, a mio parere, furono davvero nobili e magnifiche, nondimeno alquanto inferiori alla loro fama. Ma poiché là fiorirono scrittori di grande ingegno, le azioni degli Ateniesi sono celebrate in tutto il mondo come se fossero le più grandi. Così il valore di coloro che compirono le grandi imprese è considerato tanto grande quanto le illustri menti furono in grado di esaltarlo con le loro parole. Al contrario per il popolo Romano non ci fu mai tale risorsa, poiché tutti gli uomini più dotati d’ingegno erano i più impegnati nella politica attiva; nessuno esercitava la mente tralasciando il corpo; tutti gli uomini migliori preferivano agire piuttosto che parlare e che le loro nobili imprese fossero lodate da altri piuttosto che narrare quelle altrui.

Latino
Sed profecto fortuna in omni re dominatur; ea res cunctas ex lubidine magis quam ex vero celebrat obscuratque. Atheniensium res gestae, sicuti ego aestumo, satis amplae magnificaeque fuere, verum aliquanto minores tamen quam fama feruntur. Sed quia provenere ibi scriptorum magna ingenia, per terrarum orbem Atheniensium facta pro maxumis celebrantur. Ita eorum qui fecere virtus tanta habetur, quantum eam verbis potuere extollere praeclara ingenia. At populo Romano numquam ea copia fuit, quia prudentissumus quisque maxume negotiosus erat; ingenium nemo sine corpore exercebat; optumus quisque facere quam dicere, sua ab aliis bene facta laudari quam ipse aliorum narrare malebat.

Capitolo IX

Italiano
Dunque in pace ed in guerra erano rispettati i buoni costumi; la concordia era grandissima, non esisteva l’avidità. Il diritto e la morale valevano presso di essi non tanto per le leggi quanto per naturale inclinazione. Sfogavano i litigi, le discordie, i rancori con i nemici, i cittadini gareggiavano fra loro in virtù. Nei sacrifici agli dei non erano magnifici, nella vita privata erano invece parsimoniosi e fedeli fra amici. Curavano se stessi e lo Stato con queste due doti, l’audacia in tempo di guerra e l’equità in tempo di pace. Di queste cose ho prove molto convincenti, poiché in guerra si presero provvedimenti verso chi aveva combattuto il nemico contro gli ordini e chi si era prolungato nel combattere dopo il segnale di ritirata, più spesso che contro chi aveva osato abbandonare le insegne o chi si era ritirato dalla propria posizione perché respinto; in tempo di pace, invece, esercitavano il potere più con il concedere benefici che con l’incutere timore, e preferivano perdonare invece che punire.

Latino
Igitur domi militiaeque boni mores colebantur; concordia maxuma, minima avaritia. Ius bonumque apud eos non legibus magis quam natura valebat. Iurgia, discordias, simultates cum hostibus exerecebant, cives cum civibus de virtute certabant. In suppliciis deorum magnifici, domi parci, in amicos fideles erant. Duabus his artibus, audacia in bello, ubi pax evenerat aequitate, seque remque publicam curabant. Quarum rerum ego maxuma documenta haec habeo, quod in bello saepius vindicatum est in eos qui contra imperium in hostem pugnaverant quique tardius revocati proelio excesserant, quam qui signa relinquere aut pulsi loco cedere ausi erant; in pace vero quod beneficiis magis quam metu imperium agitabant, et accepta iniuria ignoscere quam persequi malebant.

Capitolo X

Italiano
Ma quando lo Stato crebbe con il lavoro e la giustizia, furono sottomessi in guerra grandi re, tribù barbare e vennero assogettati con la forza grandi popoli, Cartagine, emula dell’Impero Romano, fu distrutta dalle fondamenta ed erano aperti tutti i mari e le terre, la sorte cominciò ad infierire e a sconvolgere tutto. Per coloro che avevano sopportato facilmente le fatiche, i pericoli, le situazioni incerte e difficili, la tranquillità e la ricchezza, cose desiderabili in altre circostanze, furono solo di peso e sventura. Quindi crebbe prima il desiderio di denaro, poi quello di potere; tali passioni furono quasi l’origine di tutti i mali. L’avarizia prevalse infatti sulla virtù, sulla probità e sulle altre buone norme, al posto delle quali introdusse la superbia, la crudeltà, il non rispetto degli dei e il considerare ogni cosa in vendita. L’ambizione spinse molti a diventare bugiardi, ad avere chiusa nel cuore qualche cosa e mostrarne un’altra, a stimare amicizie e inimicizie non in base a meriti reali ma per il vantaggio che se ne poteva ricavare, a sembrare onesti piuttosto che esserlo. Questi mali all’inizio crebbero a poco a poco, nel frattempo vennero anche puniti; ma in seguito, quando il contagio dilagò come una pestilenza, la città si trasformò, il governo diventò, da giustissimo e ottimo, intollerabile e crudele.

Latino
Sed ubi labore atque iustitia res publica crevit, reges magni bello domiti, nationes ferae et populi ingentes vi subacti, Carthago, aemula imperi Romani, ab stirpe interiit, cuncta maria terraeque patebant, saevire fortuna ac miscere omnia coepit. Qui labores, pericula, dubias atque asperas res facile toleraverant, eis otium, divitiae, optanda alias, oneri miseriaeque fuere. Igitur primo pecuniae, deinde imperi cupido crevit; ea quasi materies omnium malorum fuere. Namque avaritia fidem, probitatem ceterasque artis bonas subvortit; pro his superbiam, crudelitatem, deos neglegere, omnia venalia habere edocuit. Ambitio multos mortalis falsos fieri subegit, aliud clausum in pectore, aliud in lingua promptum habere, amicitias inimicitiasque non ex re, sed ex commodo aestumare, magisque voltum quam ingenium bonum habere. Haec primo paulatim crescere, interdum vindicari; post, ubi contagio quasi pestilentia invasit, civitas inmutata, imperium ex iustissumo atque optumo crudele intolerandumque factum.

Capitolo XI

Italiano
Peraltro all’inizio più l’ambizione che l’avarizia travagliava gli animi degli uomini, vizio che, tuttavia, era abbastanza vicino alla virtù. Difatti sia l’uomo valente sia l’inetto aspirano in ugual modo alla gloria, all’onore e al potere; ma mentre il primo si sforza di raggiungerli per la retta via, il secondo, poiché non possiede buone qualità, lo fa con gli inganni e le menzogne. L’avarizia implica la ricerca frenetica del denaro, che nessun saggio ha desiderato; essa, come se fosse intrisa di veleni mortali, indebolisce il corpo e l’animo virile; è sempre infinita, insaziabile e non diminuisce né per l’abbondanza né per la carestia. Peraltro, dopo che L. Silla, impadronitosi con le armi dello Stato, fece seguire eventi seguire eventi tragici a dei buoni inizi, tutti si davano alle rapine e agli stupri, chi desiderava una casa, chi dei campi, i vincitori non avevano né misura né moderazione e compivano fra i cittadini turpi e crudeli scelleratezze. A ciò si aggiuingeva il fatto che Silla, per ottenere l’appoggio delle truppe che aveva condotto in Asia, le aveva tenute nel lusso e trattate con eccessiva condiscendenza, contro il costume degli avi. I luoghi ameni e voluttuosi avevano indebolito facilmente i fieri animi dei soldati in ozio. Lì per la prima volta l’esercito del popolo Romano si abituò a condurre una vita licenziosa, a gozzovigliare, a mettere gli occhi su statue, quadri, vasi cesellati, a rubarli da case private e da luoghi pubblici, a spogliare i templi, a violare ogni cosa sacra e profana. Dunque quei soldati, dopo che ebbero conseguito la vittoria, non lasciarono nulla ai vinti. Di certo la prosperità mette alla prova gli animi dei saggi; figuriamoci se quei soldati potevano moderarsi nella vittoria.

Latino
Sed primo magis ambitio quam avaritia animos hominum exercebat, quod tamen vitium propius virtutem erat. Nam gloriam, honorem, imperium bonus et ignavos aeque sibi exoptant; sed ille vera via nititur, huic quia bonae artes desunt, dolis atque fallaciis contendit. Avaritia pecuniae studium habet, quam nemo sapiens concupivit; ea, quasi venenis malis imbuta, corpus animumque virilem effeminat; semper infinita, insatiabilis est, neque copia neque inopia minuitur. Sed, postquam L. Sulla, armis recepta re publica, bonis initiis malos eventus habuit, rapere omnes, trahere, domum alius, alius agros cupere, neque modum neque modestiam victores habere, foeda crudeliaque in civis facinora facere. Huc accedebat quod L. Sulla exercitum quem in Asia ductaverat, quo sibi fidum faceret, contra morem maiorum luxuriose nimisque liberaliter habuerat. Loca amoena, voluptuaria facile in otio ferocis militum animos molliverant. Ibi primum insuevit exercitus populi Romani amare, potare, signa, tabulas pictas, vasa caelata mirari, ea privatim et publice rapere, delubra spoliare, sacra profanaque omnia polluere. Igitur ei milites, postquam victoriam adepti sunt, nihil relicui victis fecere. Quippe secundae res sapientium animos fatigant; ne illi corruptis moribus victoriae temperarent.

Capitolo XII

Italiano
Dopo che la ricchezza cominciò ad essere un merito e procurò gloria, potere, potenza, la virtù iniziò a svigorirsi, la povertà cominciò ad essere considerata una vergogna, l’integrità ad essere ritenuta posseduta per malanimo. Allora, in conseguenza alle ricchezze, la lussuria e l’avarizia unita alla superbia invasero la gioventù; essi rapivano, consumavano, consideravano di poco conto le proprie cose e desideravano quelle d’altri, disprezzavano il pudore, la castità, senza distinguere fra cose umane e divine, non avevano nessuno scrupolo né ritegno. Varrebbe la pena, dopo avere visto case e ville costruite alla maniera di città, visitare i tempi degli dei che hanno edificato i nostri avi, religiosissimi mortali. In verità essi decoravano i tempi degli dei per fede e le loro case per la gloria; e non toglievano nulla ai vinti, tranne la possibilità di nuocere. Mentre, al contrario, oggi questi, uomini oltremodo vili, con estrema scelleratezza portano via agli alleati tutto ciò che i vincitori un tempo avevano lasciato loro: come se l’esercizio del potere fosse solo commettere degli atti ingiuriosi.

Latino
Postquam divitiae honori esse coepere et eas gloria, imperium, potentia sequebatur, hebescere virtus, paupertas probro haberi, innocentia pro malivolentia duci coepit: Igitur ex divitiis iuventutem luxuria atque avaritia cum superbia invasere; rapere, consumere, sua parvi pendere, aliena cupere, pudorem, pudicitiam, divina atque humana promiscua, nihil pensi neque moderati habere. Operae pretium est, cum domos atque villas cognoveris in urbium modum exaedificatas, visere templa deorum quae nostri maiores, religiosissumi mortales, fecere. Verum illi delubra deorum pietate, domos suas gloria decorabant; neque victis quicquam praeter iniuriae licentiam eripiebant. At hi contra, ignavissumi homines, per summum scelus omnia ea sociis adimere, quae fortissumi viri victores reliquerant: proinde quasi iniuriam facere, id demum esset imperio uti.

Capitolo XIII

Italiano
Infatti a che scopo dovrei raccontare cose che non saranno credibili per nessuno, se non per chi le ha viste, che monti sono stati spianati e tratti di mare colmati da privati cittadini? Mi sembra che sia stato un oggetto di trastullo della ricchezza; infatti si affrettavano a sperperare quelle ricchezze che sarebbe stato possibile godere dignitosamente in modi vergognosi. Si era diffusa una non minore passione per la licenza sessuale, per la gozzoviglia e per ogni altro vizio: gli uomini si comportavano da donne e le donne si prostituivano; ricercavano per mare e per terra, per mangiarli, tutti i cibi rari, dormivano prima di avere sonno, non aspettavano né la fame o la sete, né il freddo e la stanchezza, ma preferivano tutto ciò con raffinata mollezza. Questi comportamenti spingevano i giovani ad azioni delittuose, quando le ricchezze familiari erano venute meno. L’animo impregnato di vizi non sapeva facilmente rinunciare ai piaceri; (anzi) era tanto più sfrenatamente dedito a cercare denaro e a sperperarlo.

Latino
Nam quid ea memorem quae, nisi eis qui videre, nemini credibilia sunt, a privatis conpluribus subvorvos montis, maria constrata esse? Quibus mihi videntur ludibrio fuisse divitiae; quippe quas honestae habere licebat abuti per turpitudinem properabant. Sed lubido stupri, ganeae ceterique cultus non minor incesserat: viri muliebra pati, mulieres pudicitiam in propatulo habere; vescendi causa terra marique omnia exquirere, dormire prius quam somni cupido esset, non famem aut sitim, neque frigus neque lassitudem opperiri, sed ea omnia luxu antecapere. Haec iuventutem, ubi familiares opes defecerant, ad facinora incendebant. Animus inbutus malis artibus haud facile lubidinibus carebat; eo profusius omnibus modis quaestui atque sumptui deditus erat.

Capitolo XIV

Italiano
In una tanto grande e tanto corrotta città, Catilina, cosa che era molto facile a farsi, aveva attorno a sé, come guardie del corpo, masse di tutti gli scellerati viziosi e crimali. Infatti fra questi era amico intimo e compagno di Catilina chiunque spudorato, adultero, gozzovigliatore aveva dilapidato l’eredità paterna con il gioco, la gola e il sesso, e chiunque aveva contratto enormi debiti per riscattare un’infamia o un delitto, e inoltre da ogni dove tutti i parricidi, i sacrileghi, i condannati dai giudici o i timorosi del giudizio per le cose fatte, e i sicari che prosperano sul sangue civile, e, infine, tutte quelle coscienze scosse dal crimine o dalla povertà. E se qualcuno ancora privo di colpe era caduto nella sua amicizia, attraverso i contatti quotidiani e le lusinghe diventava facilmente uguale agli altri. Ma soprattutto desiderava ardentemente la compagnia dei giovani; i loro animi deboli ed incostanti erano facilmente attirati (nella trappola). Infatti, a seconda di come, per l’età, ardeva la passione di ognuno, ad alcuni procurava donne, ad altri comprava cani e cavalli, insomma, non badava né a spese né alla sua dignità, purché li facesse sottomessi e felici. So che ci sono stati alcuni che hanno pensato che la gioventù che frequentava la casa di Catilina avesse poco rispetto del pudore; ma questa diceria scaturiva da altri fatti piuttosto che da prove certe che qualcuno avesse appurato.

Latino
In tanta tamque corrupta civitate Catilina, id quod factu facillimum erat, omnium flagitiorum atque facinorum circum se tamquam stipatorum catervas habebat. Nam quicumque inpudicus, adulter, ganeo, manu, ventre, pene, bona patria laceraverat, quique alienum aes grande conflaverat quo flagitium aut facinus redimeret, praeterea omnes undique parricidae, sacrilegi, convicti iudiciis aut pro factis iudicium timentes, ad hoc quos manus atque lingua periurio aut sanguine civili alebat, postremo omnes quos flagitium, egestas, conscius animus exagitabat, ei Catilinae proxumi familiaresque erant. Quod si quis etiam a culpa vacuus in amicitiam eius inciderat, cottidiano usu atque illeceberis facile par similisque ceteris efficiebatur. Sed maxume adulescentium familiaritates adpetebat; eorum animi molles etiam et fluxi dolis haud difficulter capiebantur. Nam ut cuiusque studium ex aetate flagrabat, aliis scorta praebere, aliis canes atque equos mercari, postremo neque sumptui neque modestiae suae parcere dum illos obnoxios fidosque sibi faceret. Scio fuisse nonnullos qui ita existumarent iuventutem, quae domum Catilinae frequentabat, parum honeste pudicitiam habuisse; sed ex aliis rebus magis quam quod cuiquam id compertum foret haec fama valebat.

Capitolo XV

Italiano
Fin da giovane Catilina aveva avuto numerose e sacrileghe relazioni sessuali, con una fanciulla nobile, con una sacerdotessa di Vesta e altre dello stesso tipo, contrarie alle leggi umane e divine. Infine, innamoratosi di Aurelia Orestilla, di cui mai nessun uomo onesto lodò nulla ad eccezione della bellezza, poiché lei esitava a sposarlo in quanto temeva il figliastro in età ormai adulta, si ritiene per certo che l’abbia fatto uccidere avendo così la casa vuota per le nozze scellerate. E questo fatto mi sembra sia stato certamente la causa principale dell’affrettare l’attuazione della congiura. Ed infatti il suo animo dissoluto, nemico degli dei e degli uomini, non poteva avere pace né nella veglia né nel sonno; così la consapevolezza delle proprie colpe devastava la sua mente sconvolta. Pertanto era pallido, aveva uno sguardo cupo, un’andatura ora veloce ora lenta; insomma, i segni della follia erano contenuti (perfino) nel volto.

Latino
Iam primum adulescens Catilina multa nefanda stupra fecerat, cum virgine nobili, cum sacerdote Vestae, alia huiuscemodi contra ius fasque. Postremo captus amore Aureliae Orestillae, cuius praeter formam nihil umquam bonus laudavit, quod ea nubere illi dubitabat, timens privignum adulta aetate, pro certo creditur necato filio vacuam domum scelestis nuptiis fecisse. Quae quidem res mihi in primis videtur causa fuisse facinus maturandi. Namque animus impurus, dis hominibusque infestus, neque vigiliis neque quietibus sedari poterat; ita conscientia mentem excitam vastabat. Igitur colos ei exsanguis, foedi oculi, citus modo, modo tardus incessus; prorsus in facie voltuque vecordia inerat.

Capitolo XVI

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I giovani che, come abbiamo detto sopra, aveva adescato li educava in molti modi a (compiere) malavagi misfatti. Fra questi quelli di fornire testimoni e firmatari falsi; di tenere in poca considerazione la fedeltà, la fortuna, i pericoli, poi, quando aveva compromesso il loro senso dell’onore e la loro reputazione, ordinava altre cose più gravi. Se non si presentava sul momento un motivo per compiere delitti, accerchiava gli innocenti come i colpevoli e li trucidava; si preoccupava che nell’ozio non s’intorpidissero la mano o la mente, preferiva essere senza motivo malvagio e crudele. Sicuro di questi amici e alleati e, allo stesso tempo, per l’indebitamento ingente in ogni luogo, e poiché parecchi veterani di Silla, dopo aver fatto un uso troppo dispendioso dei loro beni, rimpiangevano le rapine ed il tempo della vittoria e speravano di rifarsi in una guerra civile, Catilina concepì il piano di impadronirsi dello Stato. In Italia non c’era nessun esercito; Pompeo portava guerra in terre lontanissime; egli stesso aveva grande speranza di ottenere il consolato; il senato non era per nulla preoccupato; tutte le cose erano tranquille e sicure; tutto ciò era appunto favorevole a Catilina.

Latino
Sed iuventutem quam, ut supra diximus, inlexerat, multis modis mala facinora edocebat. Ex illis testis signatoresque falsos commodare; fidem, fortunas, pericula vilia habere, post, ubi eorum famam atque pudorem adtriverat, maiora alia imperabat. Si causa peccandi in praesens minus suppetebat, nihilo minus insontis sicuti circumvenire, iugulare; scilicet ne per otium torpescerent manus aut animus, gratuito potius malus atque crudelis erat. His amicis sociisque confisus Catilina, simul quod aes alienum per omnis terras ingens erat, et quod plerique Sullani milites, largius suo usi, rapinarum et victoriae veteris memores, civile bellum expotabant, opprimundae rei publicae consilium cepit. In Italia nullus exercitus; Cn. Pompeius in extremis terris bellum gerebat; ipsi consulatem petenti magna spes; senatus nihil sane intentus; tutae tranquillaeque res omnes; sed ea prorsus opportuna Catilinae.

Capitolo XVII

Italiano
Dunque, all’incirca alle calende di giugno, sotto il consolato di L. Cesare e di C. Figulo, innanzitutto chiamò i suoi ad uno ad uno, alcuni li esortava, altri li sondava; li informò dei suoi mezzi, dei grandi guadagni di una congiura e che lo Stato era impreparato. Non appena conobbe in modo sufficiente ciò che voleva sapere, convoca dal primo all’ultimo tutti i più audaci e tutti coloro che si trovavano nelle più gravi strettezze economiche. Dell’ordine senatorio si presentarono là P. Lentulo Sura, P. Autronio, L. Cassio Longino, C. Cetego, P. e S. Silla, figli di Servio, L. Vargunteio, Q. Annio, M. Porcio Leca, L. Bestia, Q. Curio; inoltre dell’ordine equestre M. Fulvio Nobiliore, L. Statilio, P. Gabinio Capito, C. Cornelio; a questi si aggiunsero molti provenienti da colonie e municipii, dove facevano parte delle classi nobili. Vi erano inoltre parecchi nobili che partecipavano in modo più nascosto a tale congiura, i quali erano mossi più dalla speranza di potere che dalla povertà o da qualche altro bisogno urgente. D’altronde la maggior parte dei giovani, ma soprattutto dei nobili, appoggiava i propositi di Catilina; nonostante essi avessero la possibilità di vivere splendidamente nell’otio tra i piaceri, preferivano le cose incerte a quelle certe, la guerra alla pace. Allo stesso modo vi fu chi, a quel tempo, credette che M. Licinio Crasso fosse a conoscenza di questa cospirazione; poiché era invidioso di Gneo Pompeo, che allora comandava un grande esercito, desiderava che si formasse una forza da opporre al suo potere, da qualsiasi parte essa venisse, essendo sicuro allo stesso tempo che, se la congiura avesse avuto successo, egli ne sarebbe diventato facilmente il capo.

Latino
Igitur circiter Kalendas Iunias L. Caesare et C. Figulo consulibus primo singulos appellare, hortari alios, alios temptare; opes suas, inparatum rem publicam, magna praemia coniurationis docere. Ubi satis explorata sunt, quae voluit, in unum omnis convocat, quibus maxuma necessitudo et plurumum audacia inerat. Eo convenere senatorii ordinis P. Lentulus Sura, P. Autronius, L. Cassius Longinus, C. Cethegus, P. et Ser. Sullae Ser. filii, L. Vargunteius, Q. Annius, M. Porcius Laeca, L. Bestia, Q. Curius; praeterea ex equestri ordine M. Fulvius Nobilior, L. Statilius, P. Gabinius Capito, C. Cornelius; ad hoc multi ex coloniis et municipiis domi nobiles. Erant praeterea complures paulo occultius consili huiusce participes nobiles, quos magis dominationis spes hortabatur quam inopia aut alia necessitudo. Ceterum iuventus pleraque, sed maxume nobilium, Catilinae inceptis favebat; quibus in otio vel magnifice vel molliter vivere copia erat, incerta pro certis, bellum quam pacem malebant. Fuere item ea tempestate, qui crederent M. Licinium Crassum non ignarum eius consili fuisse; quia Cn. Pompeius, invisus ipsi, magnum exercitum ductabat, cuiusvis opes voluisse contra illius potentiam crescere, simul confisum, si coniuratio valuisset, facile apud illos principem se fore.

Capitolo XVIII

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Ma già prima di allora poche persone, tra le quali Catilina, avevano cospirato contro lo Stato. Esporrò questo argomento nel modo più veritiero possibile. Sotto il consolato di L. Tullo e di M. Lepido, i consoli designati P. Autronio e P. Silla, denunciati per dei brogli elettorali, vennero condannati. Poco tempo dopo a Catilina, accusato di concussione, venne vietato di candidarsi al consolato, visto che non poteva presentare la candidatura entro i termini legali. A quel tempo vi era Gneo Pisone, giovane nobile, di grandissima audacia, indigente e intrigante, che il bisogno e i cattivi costumi spingevano a sovvertire lo Stato. Con lui Catilina e Autronio, comunicatogli il loro piano all’incirca alle none di Dicembre, si preparavano ad assassinare in Campidoglio i consoli L. Cotta e L. Torquato alle calende di Gennaio, e, impossessatisi dei fasci, ad inviare Pisone con un esercito ad occupare le due Spagne. Venutosi a sapere del piano, essi allora rinviarono il proposito di strage alle none di febbraio. Ora, però, non tramavano soltanto l’omicidio dei consoli ma anche di molti senatori. E se Catilina non avesse dato troppo presto il segnale ai complici davanti alla Curia, in quel giorno si sarebbe compiuto il peggior delitto mai avvenuto dalla fondazione di Roma. Visto che gli armati si erano radunati non ancora numerosi, il piano fallì.

Latino
Sed antea item coniuravere pauci contra rem publicam, in quibus Catilina fuit. De qua, quam verissume potero, dicam. L. Tullo et M. Lepido consulibus P. Autronius et P. Sulla designati consules legibus ambitus interrogati poenas dederant. Post paulo Catilina pecuniarum repetundarum reus prohibitus erat consulatum petere, quod intra legitumos dies profiteri nequiverat. Erat eodem tempore Cn. Piso, adulescens nobilis, summae audaciae, egens, factiosus, quem ad perturbandam rem publicam inopia atque mali mores stimulabant. Cum hoc Catilina et Autronius circiter Nonas Decembris consilio communicato parabant in Capitolio Kalendis Ianuariis L. Cottam et L. Torquatum consules interficere, ipsi fascibus correptis Pisonem cum exercitu ad obtinendas duas Hispanias mittere. Ea re cognita rursus in Nonas Februarias consilium caedis transtulerant. Iam tum non consulibus modo, sed plerisque senatoribus perniciem machinabantur. Quod ni Catilina maturasset pro curia signum sociis dare, eo die post conditam urbem Romam pessumum facinus patratum foret. Quia nondum frequentes armati convenerant, ea res consilium diremit.

Capitolo XIX

Italiano
In seguito Pisone, questore, venne inviato nella Spagna Citeriore come propretore con l’appoggio di Crasso, visto che aveva saputo che egli era un nemico giurato di Gneo Pompeo. Né d’altronde il senato gli aveva affidato malvolentieri la provincia, dal momento che voleva allontanare quell’uomo ignobile dallo Stato; allo stesso tempo, molta brava gente credeva di avere in lui una difesa, visto che già allora il potere di Pompeo era spaventoso. Ma Pisone venne ucciso nella provincia nel corso del viaggio dai cavalieri spagnoli che comandava nel suo esercito. Vi è chi dice che i barbari non potevano sopportare i suoi ordini ingiusti, la sua superbia e la sua crudeltà; altri affermano al contrario che quei cavalieri, clienti fedeli e di vecchia data di Pompeo, avevano aggredito Pisone per un suo ordine; mai, inoltre, gli Spagnoli avevano compiuto un tale misfatto, nonostante in precedenza avessero sopportato molti regimi crudeli. Noi lasceremo l’argomento in sospeso. A proposito della prima congiura è stato detto abbastanza.

Latino
Postea Piso in citeriorem Hispaniam quaestor pro praetore missus est adnitente Crasso, quod eum infestum inimicum Cn. Pompeio cognoverat. Neque tamen senatus provinciam invitus dederat; quippe foedum hominem a republica procul esse volebat, simul quia boni conplures praesidium in eo putabant et iam tum potentia Pompei formidulosa erat. Sed is Piso in provincia ab equitibus Hispanis, quos in exercitu ductabat, iter faciens occisus est. Sunt, qui ita dicant: imperia eius iniusta, superba, crudelia barbaros nequivisse pati; alii autem: equites illos, Cn. Pompei veteres fidosque clientis, voluntate eius Pisonem aggressos; numquam Hispanos praeterea tale facinus fecisse, sed imperia saeve multa antea perpessos. Nos eam rem in medio relinquemus. De superiore coniuratione satis dictum.

Capiolo XX

Italiano
Catilina, quando vide radunati quelli di cui ho parlato poco fa, nonostante i numerosi e lunghi incontri che aveva avuto con ognuno di essi, credendo tuttavia che fosse opportuno rivolgere un appello e un’esortazione a tutti insieme, si ritrasse in un luogo appartato della sua casa, e ivi, allontanato ogni altro testimone, tenne un discorso di questa fatta:
“Se io non avessi bene sperimentato il valore e la lealtà vostra, l’occasione favorevole si sarebbe presentata invano; una grande speranza, il potere assoluto sarebbero invano nelle nostre mani, né io con spiriti vigliacchi e leggeri andrei a caccia dell’incerto in luogo del certo. Ma poiché, in molte e gravi circostanze, vi conobbi forti e a me fidi, perciò il mio animo ha osato intraprendere la più grande e la più nobile delle imprese, anche perché ho capito che avete beni e mali in comune con me: infatti volere e disvolere le medesime cose, questa insomma è ferma amicizia.
“Tutto quello che ho progettato, lo avete già sentito separatamente. Ma l’animo mi s’infiamma ogni giorno di più, quando penso a quale sarà la condizione della nostra vita, se non saremo noi stessi a rivendicare la nostra libertà. Infatti, dopo che la repubblica è caduta nel pieno potere di pochi potenti, è a loro che re e tetrarchi pagano i loro tributi, popoli e nazioni pagano l’imposta; tutti noi altri, valorosi, prodi, nobili e non nobili, siamo stati volgo, senza credito, senza autorità, asserviti a padroni nei confronti dei quali, se lo Stato valesse, avremmo nutrito timore. Così tutto il credito, la potenza, l’onore, le ricchezze, sono presso di loro o dove essi desiderano; a noi hanno lasciato le ripulse, i pericoli, i processi, gli stenti. Fino a che punto, o uomini valorosissimi, sopporterete ciò? Non è preferibile morire coraggiosamente, piuttosto che perdere una vita misera e senza onore, dopo essere stati marionette della superbia altrui? Ma in verità, per gli Dèi e gli uomini lo attesto, la vittoria è in mano nostra. In noi l’età vigoreggia, lo spirito è forte, al contrario presso di loro, per gli anni e le ricchezze, tutto è divenuto decrepito. Bisogna incominciare, il resto verrà da sé.
“Infatti quale uomo di indole virile può tollerare che essi trabocchino di ricchezze che accumulano per costruire edifici sul mare e spianare montagne, mentre per noi la sostanza familiare è insufficiente anche al necessario? Che essi colleghino due o più case alla volta, mentre noi non abbiamo un focolare in alcun luogo? Per quanto acquistino quadri, statue, vasi cesellati, demoliscano nuove costruzioni e ne edifichino altre, infine sperperino e dilapidino il denaro in ogni modo, tuttavia con tutta la loro sfrenatezza non riescono ad esaurire le loro ricchezze. Noi invece abbiamo la miseria in casa, debiti fuori, un miserabile presente, un avvenire molto più aspro; infine che cosa ci resta oltre a un misero soffio di vita?
“Perché quindi non vi svegliate? Ecco, ecco quella libertà cui spesso aspiraste; e inoltre ricchezze, onore, gloria, vi sono collocati davanti agli occhi; la Fortuna ha posto tutti quei premi per i vincitori. Le circostanze, il momento, il pericolo, la miseria, le magnifiche spoglie vi esortano più del mio discorso. Servitevi di me come comandante o come soldato; il mio animo e il mio corpo non vi abbandoneranno. Realizzerò, come spero, questi disegni insieme con voi da console, a meno che l’animo non m’inganni, e voi non siate più pronti a servire che a comandare.”

Latino
Catilina ubi eos, quos paulo ante memoravi, convenisse videt, tametsi cum singulis multa saepe egerat, tamen in rem fore credens univorsos appellare et cohortari in abditam partem aedium secedit atque ibi omnibus arbitris procul amotis orationem huiusce modi habuit:
“Ni virtus fidesque vostra spectata mihi forent, nequiquam opportuna res cecidisset; spes magna, dominatio in manibus frustra fuissent, neque ego per ignaviam aut vana ingenia incerta pro certis captarem.
“Sed quia multis et magnis tempestatibus vos cognovi fortis fidosque mihi, eo animus ausus est maxumum atque pulcherrumum facinus incipere, simul quia vobis eadem, quae mihi, bona malaque esse intellexi; nam idem velle atque idem nolle, ea demum firma amicitia est. Sed ego quae mente agitavi, omnes iam antea divorsi audistis. Ceterum mihi in dies magis animus accenditur, cum considero, quae condicio vitae futura sit, nisi nosmet ipsi vindicamus in libertatem. Nam postquam res publica in paucorum potentium ius atque dicionem concessit, semper illis reges, tetrarchae vectigales esse, populi, nationes stipendia pendere; ceteri omnes, strenui, boni, nobiles atque ignobiles, vulgus fuimus, sine gratia, sine auctoritate, iis obnoxii, quibus, si res publica valeret, formidini essemus. Itaque omnis gratia, potentia, honos, divitiae apud illos sunt aut ubi illi volunt; nobis reliquere pericula, repulsas, iudicia, egestatem. Quae quousque tandem patiemini, o fortissumi viri? Nonne emori per virtutem praestat quam vitam miseram atque inhonestam, ubi alienae superbiae ludibrio fueris, per dedecus amittere? Verum enim vero, pro deum atque hominum fidem, victoria in manu nobis est: viget aetas, animus valet; contra illis annis atque divitiis omnia consenuerunt. Tantum modo incepto opus est, cetera res expediet. Etenim quis mortalium, cui virile ingenium est, tolerare potest illis divitias superare, quas profundant in exstruendo mari et montibus coaequandis, nobis rem familiarem etiam ad necessaria deesse? Illos binas aut amplius domos continuare, nobis larem familiarem nusquam ullum esse? Cum tabulas, signa, toreumata emunt, nova diruunt, alia aedificant, postremo omnibus modis pecuniam trahunt, vexant, tamen summa lubidine divitias suas vincere nequeunt. At nobis est domi inopia, foris aes alienum, mala res, spes multo asperior: denique quid reliqui habemus praeter miseram animam?
“Quin igitur expergiscimini? En illa, illa, quam saepe optastis, libertas, praeterea divitiae, decus, gloria in oculis sita sunt; fortuna omnia ea victoribus praemia posuit. Res, tempus, pericula, egestas, belli spolia magnifica magis quam oratio mea vos hortantur. Vel imperatore vel milite me utimini! Neque animus neque corpus a vobis aberit. Haec ipsa, ut spero, vobiscum una consul agam, nisi forte me animus fallit et vos servire magis quam imperare parati estis.”

Capitolo XXI

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Dopo che udirono queste parole gli uomini, che avevano in abbondanza ogni sorta di mali, ma né un bene né alcuna buona speranza, benché sembrasse che il turbare l’ordine fosse per essi un’appagante ricompensa, moltissimi tuttavia chiesero che esponesse quale sarebbe stata la condotta di guerra, quali cose avrebbero ottenuto combattendo, su quali risorse o speranze avrebbero potuto contare e dove. Allora Catilina primise la cancellazione dei debiti, la proscrizione dei ricchi, cariche civili, religiose, saccheggi, tutte cose che porta la guerra e la sfrenata avidità dei vincitori. In più diceva che, d’accordo con lui, c’erano Pisone in Spagna Citeriore e P. Sittio Nucerino in Mauritania con l’esercito; che C. Antonio, un suo amico intimo e oppresso da gravi ristrettezze economiche che sperava sarebbe stato suo collega, aspirava al consolato; assieme a lui Catilina, una volta console, avrebbe dato inizio all’azione. Inoltre colmava d’ingiurie tutti gli onesti cittadini; lodava ciascuno dei suoi seguaci chiamandolo per nome; ricordava ad uno il suo bisogno, ad un altro la sua avidità, a parecchi il processo o il disonore, a molti la vittoria di Silla e il bottino che ne avevano tratto. Quando egli vide gli animi infiammati di tutti, li esortò a sostenere la sua candidatura e sciolse l’adunanza.

Latino
Postquam accepere ea homines, quibus mala abunde omnia erant, sed neque res neque spes bona ulla, tametsi illis quieta movere magna merces videbatur, tamen postulavere plerique ut proponeret quae condicio belli foret, quae praemia armis peterent, quid ubique opis aut spei haberent. Tum Catilina polliceri tabulas novas, proscriptionem locupletium, magistratus, sacerdotia, rapinas, alia omnia quae bello atque lubido victorum fert. Praeterea esse in Hispania citeriore Pisonem, in Mauretania cum exercitu P. Sittium Nucerinum, consili sui participes; petere consulatum C. Antonum, quem sibi collegam fore speraret, hominem et familiarem et omnibus necessitudinibus circumventum; cum eo se consulem initium agendi facturum. Ad hoc maledictis increpabat omnis bonos; suorum unumquemque nominans laudare; admonebat alium egestatis, alium cupiditatis suae, complures periculi aut ignominiae, multos victoriae Sullanae, quibus ea praedae fuerat. Postquam omnium animos alacris videt, cohortatus ut petitionem suam curae haberent, conventum dismisit.

Capitolo XXII

Italiano
Vi fu a quel tempo chi diceva che Catilina, pronunciata l’orazione, spingendo i complici della congiura a giurare, fece passare di mano in mano del sangue umano mescolato al vino in delle coppe; poi, dopo un’imprecazione, quando tutti avevano bevuto, così come era solito accadere durante le ceremonie solenni, rivelava il suo piano, e lo faceva, ripeteva sempre, per legarli ancora di più fra di loro, consapevoli l’un l’altro di tanta atrocità. Qualcuno ritiene siano falsità queste e molte altre dicerie, che in seguito scaturirono da chi credeva di placare l’impopolarità di Cicerone attraverso l’atrocità del misfatto di coloro che (Cicerone) aveva condannato. A causa della sua gravità, ci sembra che tale fatto non sia stato accertato abbastanza.

Latino
Fuere ea tempestate, qui dicerent Catilinam oratione habita, cum ad ius iurandum popularis sceleris sui adigeret, humani corporis sanguinem vino permixtum in pateris circumtulisse: inde cum post exsecrationem omnes degustavissent, sicuti in sollemnibus sacris fieri consuevit, aperuisse consilium suum; atque eo ita fecisse, quo inter se fidi magis forent alius alii tanti facinoris conscii. Nonnulli ficta et haec et multa praeterea existumabant ab iis, qui Ciceronis invidiam, quae postea orta est, leniri credebant atrocitate sceleris eorum, qui poenas dederant. Nobis ea res pro magnitudine parum comperta est.

Capitolo XXIII

Italiano
Faceva di parte di quella congiura Q. Curio, nobile di nascita, famoso per le infamie e le scelleratezze, che i censori avevano radiato dal senato per la condotta ignominiosa. Era una persona tanto falsa quanto avventata; non aveva la capacità di tenere per sé ciò che aveva sentito, né di nascondere i propri delitti, né si curava affatto di ciò che diceva o faceva. Aveva da parecchio tempo una relazione scandalosa con una donna nobile, Fulvia. Ed egli, essendo scaduto nei suoi favori visto che, a causa delle ristrettezze economiche, non poteva più essere generoso con lei, fattosi improvvisamente spavaldo iniziò a prometterle mari e monti, addirittura a minacciarla con un pugnale se non si concedeva a lui e, infine, a comportarsi con più arroganza del solito. Ma Fulvia, venuta a conoscenza della ragione dell’insolenza di Curio, non tenne segreto tale pericolo per lo Stato, bensì, senza rivelare il nome dell’informatore, raccontò a parecchi, così come le aveva udite, le cose che sapeva sulla congiura di Catilina. Questo fu una delle ragioni che accese i consensi verso il consolato di M. Tullio Cicerone. Difatti, in precedenza, la maggior parte della nobiltà bruciava per l’invidia, e credevano che il senato sarebbe stato quasi contaminato se quell'”uomo nuovo”, per quanto insigne, lo avesse occupato. Ma quando giunse il pericolo, l’invidia e la superbia lasciarono il passo.

Latino
Sed in ea coniuratione fuit Q. Curius, natus haud obscuro loco, flagitiis atque facinoribus coopertus, quem censores senatu probri gratia moverant. Huic homini non minor vanitas inerat quam audacia; neque reticere, quae audierat, neque suamet ipse scelera occultare, prorsus neque dicere neque facere quicquam pensi habebat. Erat ei cum Filvia, muliere nobili, stupri vetus consuetudo. Cui cum minus gratus esset, quia inopia minus largiri poterat, repente glorians maria montisque polliceri coepit et minari interdum ferro, ni sibi obnoxia foret; postremo ferocius agitare, quam solitus erat. At Fulvia insolentiae Curi causa cognita tale periculum re publicae haud occultum habuit, sed sublato auctore de Catilinae coniuratione, quae quoque modo audierat, compluribus narravit. Ea res in primis studia hominum accendit ad consulatum mandandum M. Tullio Ciceroni. Namquam antea pleraque nobilitas invidia aestuabat et quasi pollui consulatum credebant, si eum quamvis egregius homo novus adeptus foret. Sed ubi periculum advenit, invidia atque superbia post fuere.

Capitolo XXIV

Italiano
Allora, avuti luogo i comizi, furono dichiarati consoli M. Tullio e C. Antonio; e questo fatto aveva inferto un primo colpo agli aderenti alla congiura. Tuttavia il furore di Catlina non era diminuito, bensì ogni giorno tramava sempre nuovi piani, per tutta l’Italia preparava le armi in luoghi strategici, portava il denaro preso a prestito con la garanzia sua o degli amici a Fiesole da un certo Manlio, il quale in seguito fu il primo a dare inizio allo scontro armato. In quel periodo si dice che attirasse alla sua causa moltissimi uomini di ogni genere, persino donne che dapprima si erano permesse ingenti spese prostituendosi e che, in seguito, quando l’età aveva posto un limite soltanto al loro guadagno e non al loro lusso sfrenato, si erano gravemente indebitate. Attraverso loro Catilina credeva di potere spingere alla rivolta gli schiavi urbani, incendiare la città, associare a ciò i loro mariti o ucciderli.

Latino
Igitur comitiis habitis, consules declarantur M. Tullius et C. Antonius; quod factum primo popularis coniurationis concusserat. Neque tamen Catilinae furor minuebatur, sed in dies plura agitare, arma per Italiam locis opportunis parare, pecuniam sua aut amicorum fide sumptam mutuam Faesulas ad Manlium quemdam portare, qui postea princeps fuit belli faciundi. Ea tempestate plurimos cuiusque generis homines adscivisse sibi dicitur, mulieres etiam aliquot, quae primo ingentis sumptus stupro corporis toleraverant, post, ubi aetas tantummodo quaestui neque luxuriae modum fecerat, aes alienum grande conflaverant. Per eas Catilina credebat posse servitia urbana sollicitare, urbem incendere, viros earum vel adiungere sibi vel interficere.

Capitolo XXV

Italiano
Fra di esse c’era Sempronia, la quale aveva commesso molte scelleratezze degne di un uomo. Questa donna, quanto a nobiltà di nascita e a bellezza, inoltre per il marito e per i figli, fu sufficientemente fortunata; era istruita in letteratura Greca e Latina, abile nel suonare, nel danzare con maggior raffinatezza di quanto si addica ad una donna onesta e in molte altre cose che sono strumenti di corruzione. Le era sempre più a cuore ogni cosa rispetto al decoro e al contegno pudico; non avresti potuto facilmente distinguere se fosse più prodiga del suo denaro o della sua reputazione; in lei c’era una dissolutezza così accesa che più spesso provocava gli uomini di quanto non fosse provocata. Spesso prima d’allora aveva tradito la parola data, aveva negato con spergiuro di aver ricevuto denaro in prestito, era stata complice di delitti, per la lussuria e la povertà era sprofondata nell’abisso della degradazione. Tuttavia non era stupida: era in grado di comporre versi, di suscitare il riso, di tenere una conversazione di tono ora moderato, ora lusinghiero, ora sfacciato; insomma c’era in lei molto spirito e fascino.

Latino
Sed in eis erat Sempronia, quae multa saepe virilis audaciae facinora commiserat. Haec mulier genere atque forma, praeterea viro liberis satis fortunata fuit; litteris Graecis et Latinis docta, psallere, saltare elegantius quam necesse est probae, multa alia, quae instrumenta luxuriae sunt. Sed ei cariora semper omnia quam decus atque pudicitia fuit; pecuniae an famae minus parceret haud facile discerneres; lubido sic accensa ut saepius peteret viros quam peteretur. Sed ea saepe antehac fidem prodiderat, creditum abiuraverat, caedis conscia fuerat, luxuria atque inopia praeceps abierat. Verum ingenium eius haud absurdum: posse versus facere, iocum movere, sermone uti vel modesto, vel molli, vel procaci; prorsus multae facetiae multusque lepos inerat.

Capitolo XXVI

Italiano
Stabilite queste cose, Catilina aspirava nondimeno al consolato nell’anno successivo, sperando, se designato, di potere manovrare a suo piacimento Antonio. Nel frattempo non era inattivo, bensì preparava ogni genere d’insidie a Cicerone. Tuttavia questo non mancava di accortezza e di astuzia per evitarle. Ed infatti fin dall’inizio del suo consolato aveva ottenuto, impegnandosi con ogni mezzo attraverso Fulvia, che Q. Curio, del quale ho parlato poco fa, gli rivelasse i piani di Catilina.
Inoltre, pattuito uno scambio di provincia, aveva indotto il suo collega Antonio a non tramare contro lo Stato; aveva attorno a sé, senza dare nell’occhio, difese personali di amici e clienti. Poi giunse il giorno delle votazioni, e né la candidatura di Catilina né l’imboscata che egli aveva teso al Campo Marzio ai consoli ebbero successo, decise di passare alla guerra aperta e di ricorrere a tutti mezzi estremi, visto che tutto le cose che aveva tentato senza dare nell’occhio si erano risolti in vergognosi fallimenti.

Latino
His rebus conparatis, Catilina nihilo minus in proxumum annum consulatum petebat, sperans, si designatus foret, facile se ex voluntate Antonio usurum. Neque interea quietus erat, sed omnibus modis insidias parabat Ciceroni. Neque illi tamen ad cavendum dolus aut astutiae deerant. Namque a principio consulatus sui multa pollicendo per Fulviam effecerat ut Q. Curius, de quo paulo ante memoravi, consilia Catilinae sibi proderet.
Ad hoc collegam suum Antonium pactione provinciae perpulerat ne contra rem publicam sentiret; circum se praesidia amicorum atque clientium occulte habebat. Postquam dies comitiorum venit, et Catilinae neque petitio neque insidiae quas consulibus in Campo fecerat prospere cessere, constituit bellum facere et extrema omnia experiri, quoniam quae occulte temptaverat aspera foedaque evenerant.

Capitolo XXVII

Italiano
Allora inviò C. Manlio a Fiesole e in quella zona dell’Etruria, un tale Settimio da Camerino nell’agro Piceno, C. Giulio in Puglia; inoltre mandava chi in un luogo chi un altro dove credeva gli sarebbe stato utile. Nel frattempo a Roma ordiva allo stesso tempo molti complotti: tendeva imboscate ai condoli, pianificava incendi, occupava con uomini armati dei luoghi strategici, egli stesso andava armato di pugnale, ordinava agli altri di fare altrettanto, li esortava affinché fossero sempre all’erta e preparati, giorno e notte si affrettava e rimaneva sveglio, né era indebolito dalla mancanza di sonno e dalla fatica. Infine, quando si accorge che, nonostante i molti intensi sforzi, la cosa non procede per niente, a notte inoltrata convoca di nuovo, attraverso M. Porcio Leca, i capi della congiura e là, lamentatosi a lungo della loro indolenza, li informa che ha mandato avanti Manlio verso quella moltitudine che aveva addestrato all’uso delle armi, e allo stesso modo ha mandato altri in luoghi strategici affinché dessero inizio alla guerra, e che lui desiderava partire per raggiungere l’esercito, ma prima doveva eliminare Cicerone; egli infatti lo ostacolava molto con le sue decisioni.

Latino
Igitur C. Manlium Faesulas atque in eam partem Etruriae, Septimium quendam Camertem in agrum Picenum, C. Iulium in Apuliam dimisit, praeterea alium alio, quem ubique opportunum sibi fore credebat. Interea Romae multa simul moliri: consulibus insidias tendere, parare incendia, opportuna loca armatis hominibus obsidere; ipse cum telo esse, item alios iubere, hortari, uti semper intenti paratique essent; dies noctisque festinare, vigilare, neque insomniis neque labore fatigari. Postremo, ubi multa agitanti nihil procedit, rursus intempesta nocte coniurationis principes convocat ad M. Porcium Laecam ibique multa de ignavia eorum questus docet se Manlium praemisisse ad eam multitudinem, quam ad capiunda arma paraverat, item alios in alia loca opportuna, qui initium belli facerent, seque ad exercitum proficisci cupere, si prius Ciceronem oppressisset; eum suis consiliis multum officere.

Capitolo XXVIII

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Allora, essendo tutti gli altri spaventati ed esitanti, C. Cornelio, un cavaliere Romano che aveva offerto la sua opera, e con lui il senatore L. Vargunteio, decisero poco dopo, quella stessa notte, di presentarsi con degli uomini armati da Cicerone con la scusa di salutarlo e, coltolo alla sprovvista, di ucciderlo nella sua casa. Curio, quando capisce quanto pericolo incombe sul console, attraverso Fulvia informa prontamente Cicerone dell’agguato che si preparava. Così quelli si videro sbarrate le porte e si erano esposti inutilmente a un tale misfatto. Nel frattempo Manlio in Etruria istigava la plebe, desiderosa di cambiamenti allo stesso tempo per la miseria e per il risentimento dell’ingiustizia subita, poiché, durante la dittatura di Silla, aveva perso i campi e tutti i suoi beni; inoltre istigava i ladri di qualsiasi genere, di cui in quella regione c’era grande abbondanza, e alcuni coloni Sillani, ai quali, per dissolutezza e lussuria, non era rimasto nulla di ciò che avevano rubato.

Latino
Igitur perterritis ac dubitantibus ceteris C. Cornelius eques Romanus operam suam pollicitus et cum eo L. Vargunteius senator constituere ea nocte paulo post cum armatis hominibus sicuti salutatum introire ad Ciceronem ac de inproviso domi suae inparatum confodere. Curius ubi intellegit, quantum periculum consuli inpendeat, propere per Fulviam Ciceroni dolum, qui parabatur, enuntiat. Ita illi ianua prohibiti tantum facinus frustra susceperant. Interea Manlius in Etruria plebem sollicitare egestate simul ac dolore iniuriae novarum rerum cupidam, quod Sullae dominatione agros bonaque omnis amiserat, praeterea latrones cuiusque generis, quorum in ea regione magna copia erat, nonnullos ex Sullanis coloniis, quibus lubido atque luxuria ex magnis rapinis nihil reliqui fecerat.

Capitolo XXIV

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Allora, avuti luogo i comizi, furono dichiarati consoli M. Tullio e C. Antonio; e questo fatto aveva inferto un primo colpo agli aderenti alla congiura. Tuttavia il furore di Catlina non era diminuito, bensì ogni giorno tramava sempre nuovi piani, per tutta l’Italia preparava le armi in luoghi strategici, portava il denaro preso a prestito con la garanzia sua o degli amici a Fiesole da un certo Manlio, il quale in seguito fu il primo a dare inizio allo scontro armato. In quel periodo si dice che attirasse alla sua causa moltissimi uomini di ogni genere, persino donne che dapprima si erano permesse ingenti spese prostituendosi e che, in seguito, quando l’età aveva posto un limite soltanto al loro guadagno e non al loro lusso sfrenato, si erano gravemente indebitate. Attraverso loro Catilina credeva di potere spingere alla rivolta gli schiavi urbani, incendiare la città, associare a ciò i loro mariti o ucciderli.

Latino
Igitur comitiis habitis, consules declarantur M. Tullius et C. Antonius; quod factum primo popularis coniurationis concusserat. Neque tamen Catilinae furor minuebatur, sed in dies plura agitare, arma per Italiam locis opportunis parare, pecuniam sua aut amicorum fide sumptam mutuam Faesulas ad Manlium quemdam portare, qui postea princeps fuit belli faciundi. Ea tempestate plurimos cuiusque generis homines adscivisse sibi dicitur, mulieres etiam aliquot, quae primo ingentis sumptus stupro corporis toleraverant, post, ubi aetas tantummodo quaestui neque luxuriae modum fecerat, aes alienum grande conflaverant. Per eas Catilina credebat posse servitia urbana sollicitare, urbem incendere, viros earum vel adiungere sibi vel interficere.

Capitolo XXV

Italiano
Fra di esse c’era Sempronia, la quale aveva commesso molte scelleratezze degne di un uomo. Questa donna, quanto a nobiltà di nascita e a bellezza, inoltre per il marito e per i figli, fu sufficientemente fortunata; era istruita in letteratura Greca e Latina, abile nel suonare, nel danzare con maggior raffinatezza di quanto si addica ad una donna onesta e in molte altre cose che sono strumenti di corruzione. Le era sempre più a cuore ogni cosa rispetto al decoro e al contegno pudico; non avresti potuto facilmente distinguere se fosse più prodiga del suo denaro o della sua reputazione; in lei c’era una dissolutezza così accesa che più spesso provocava gli uomini di quanto non fosse provocata. Spesso prima d’allora aveva tradito la parola data, aveva negato con spergiuro di aver ricevuto denaro in prestito, era stata complice di delitti, per la lussuria e la povertà era sprofondata nell’abisso della degradazione. Tuttavia non era stupida: era in grado di comporre versi, di suscitare il riso, di tenere una conversazione di tono ora moderato, ora lusinghiero, ora sfacciato; insomma c’era in lei molto spirito e fascino.

Latino
Sed in eis erat Sempronia, quae multa saepe virilis audaciae facinora commiserat. Haec mulier genere atque forma, praeterea viro liberis satis fortunata fuit; litteris Graecis et Latinis docta, psallere, saltare elegantius quam necesse est probae, multa alia, quae instrumenta luxuriae sunt. Sed ei cariora semper omnia quam decus atque pudicitia fuit; pecuniae an famae minus parceret haud facile discerneres; lubido sic accensa ut saepius peteret viros quam peteretur. Sed ea saepe antehac fidem prodiderat, creditum abiuraverat, caedis conscia fuerat, luxuria atque inopia praeceps abierat. Verum ingenium eius haud absurdum: posse versus facere, iocum movere, sermone uti vel modesto, vel molli, vel procaci; prorsus multae facetiae multusque lepos inerat.