TRADUZIONE ILIADE LIBRO XXIV VV 477-551
TRADUZIONE ILIADE LIBRO XXIV VV 477-551
Priamo si reca alla tenda di Achille
Priamo arriva alla tenda di Achille
Priamo entra nella tenda di Achille, gli si avvicina.
Achille si stupisce di vedere Priamo, sentendosi quasi in colpa per aver ucciso suo figlio.
Priamo è il primo che comincia a parlare dicendo quali mali lo affliggono, per esempio aver perso tanti figli tra cui Ettore.
In seguito Priamo chiede ad Achille di restituirgli il corpo di Ettore in cambio di molti doni preziosi. Entrambi piangono.
L’autore introduce una similitudine, dicendo che Peleo, padre di Achille ha sempre ricevuto doni buoni dagli dei.
ILIADE – Dal libro XXIV, vv. 477-551
(testo integrale)
Entrò non visto il gran Priamo, e standogli accanto
strinse fra le sue mani i ginocchi d’Achille, baciò quella mano
tremenda, omicida, che molti figliuoli gli uccise.
Come quando grave colpa ha travolto un uomo,
che, ucciso in patria qualcuno, fugge in altro paese,
in casa d’un ricco, stupore afferrai presenti;
così Achille stupì, vedendo Priamo simile ai numi,
e anche gli altri stupirono e si guardarono in faccia.
Ma Priamo prendendo a pregare gli disse parola:
«Pensa al tuo padre, Achille pari agli dei,
coetaneo mio, come me sulla soglia tetra della vecchiaia,
e lo tormentano forse i vicini, standogli intorno,
perché non c’è nessuno che il danno e il male allontani.
Pure sentendo dire che tu ancora sei vivo,
gode in cuore, e spera ogni giorno
di vedere il figliuolo tornare da troia.
Ma io sono infelice del tutto, che generai forti figli
nell’ampia troia, e non me ne resta nessuno.
Cinquanta ne avevo quando vennero i figli dei Danai,
e diciannove venivano tutti da un seno,
gli altri altre donne me li partorirono in casa:
ma Ares furente ha sciolto i ginocchi di molti,
e quello che solo restava, che proteggeva la rocca e la gente,
tu ieri l’hai ucciso, mentre per la sua patria lottava,
Ettore… Per lui vengo ora alle navi dei Danai,
per riscattarlo da te, ti porto doni infiniti.
Achille, rispetta i numi, abbi pietà di me,
pensando al padre tuo: ma io son più misero,
ho patito quanto nessun altro mortale,
portare alla bocca la mano dell’uomo che ha ucciso i mie figli!»
Ma via, ora siedi sul seggio e i dolori
Lasciamoli dentro nell’animo, per quanto afflitti:
nessun guadagno si trova nel gelido pianto.
Gli dèi filarono questo per i mortali infelici:
vivere nell’amarezza: essi invece son senza pene.
Due vasi son piantati sulla soglia di Zeus,
dei doni che dà, dei cattivi uno e l’altro dei buoni.
A chi mescolando ne dia Zeus che getta le folgori,
incontra a volte un male e altre volte un bene;
ma chi dà solo dei tristi, lo fa disprezzato,
e mala fama lo insegue per la terra divina,
va errando senza onore né dagli dèi né dagli uomini.
Così a Peleo doni magnifici fecero i numi
fin dalla nascita; splendeva su tutti i mortali
per beata ricchezza; regnava sopra i Mirmidoni,
e benché fosse mortale gli fecero sposa una dea.
Ma col bene, anche un male gli diede il dio, ché non ebbe
nel suo palazzo stirpe di figli nati a regnare,
un figlio solo ha generato, che morrà presto: e io non posso
aver cura del vecchio perché lontano dalla mia patria
qui in troia siedo, a te dando pene e ai tuoi figli.
E anche tu, vecchio – sappiamo – fogli felice prima:
quanto paese di sopra limita Lesbo, la sede di Màcaro,
e di sotto la Frigia e lo sconfinato Ellesponto,
su tutti, raccontano, o vecchio, per figli e ricchezze splendevi.
Da che questo male, invece, i figli del cielo ti diedero,
sempre battaglie vi sono intorno alla rocca e stragi d’uomini.
Sopporta, dunque, e non gemere senza posa nel cuore:
nulla otterrai piangendo il figlio, non lo farai
rivivere, potrai piuttosto patire altri mali».
Disse così, e gli fece nascere brama di piangere il padre:
allora gli prese la mano e scostò piano il vecchio;
entrambi pensavano e uno piangeva Ettore massacratore
a lungo, rannicchiandosi ai piedi d’Achille,
ma Achille piangeva il padre, e ogni tanto
anche Patroclo; s’alzava per la dimora quel pianto.
Ma quando Achille glorioso si fu goduto i singhiozzi,
passò dal cuore e dalle membra la brama,
s’alzò dal seggio a un tratto e rialzò il vecchio per mano,
commiserando la testa canuta, il mento canuto,
e volgendosi a lui parlò parole fugaci:
«Ah misero, quanti mali hai patito nel cuore!
e come hai potuto alle navi dei Danai venire solo,
sotto gli occhi d’un uomo che molti e gagliardi
figlioli t’ha ucciso? Tu hai cuore di ferro.