TESINA LA BATTAGLIA DI ZAMA

TESINA LA BATTAGLIA DI ZAMA

TESINA LA BATTAGLIA DI ZAMA

FONTE: https://storiaepolitica.forumfree.it/?t=48080292


La battaglia che risolse la Seconda Guerra Punica, ponendo fine al dominio cartaginese sul mediterraneo, fu combattuta il 18 ottobre del 202 a.C. E’ una delle pagine più importanti della storia romana(se non antica): risolse un conflitto che avrebbe lacerato Roma e disintegrato il futuro impero; e di sicuro fece entrare nella leggenda i due condottieri che guidarono i rispettivi schieramenti: Annibale Barca per Cartagine, e Publio Cornelio Scipione per Roma. Al comandante romano dopo tale scontro, per la sua vittoria, fu dato dal Senato il cognomina ex virtute di Africanus.

La “fonti”.
Purtroppo ci sono problemi di fonti cronistiche di tale evento, per via di due versioni differenti della battaglia: una di Livio e Polibio, che viene considerata la più attendibile; e l’altra di Appiano e Cassio Dione. Le differenze tra le due versioni sollevano difficoltà di ordine topografico, strategico, tattico, numerico e cronologico. Molte volte accade che nei testi antichi i cronisti esaltino troppo le gesta dei condottieri, aumentando a dismisura i numeri degli effettivi avversari, analogo a ciò molti documenti antichi inerenti al sacrificio dei trecento spartani alle Termopili affermano che gli effettivi persiani corrispondevano anche a 5 milioni. Ciò è praticamente infattibile visto che 5 milioni di persone erano probabilmente la popolazione del Globo all’epoca.
Nei resoconti di Zama, molti effettivi cartaginesi vengono esasperati all’ennesima potenza. Io personalmente ho deciso di rimanere fedele alla versione “canonica” delle cronache della battaglia: quella di Livio e Polibio.

Ormai la Seconda guerra Punica era in corso da oltre dieciasette anni, quindici dei quali Annibale gli aveva passati in Italia sconfiggendo i romani una battaglia dopo l’altra. Publio Cornelio Scipione, già questore in Iberia dove aveva riportato straordinarie vittorie sulle guarnigioni cartaginesi vivi presenti, era stata eletto Console della Repubblica Romana. Questo gli diede modo di progettare una campagna su larga scala per porre fine alla guerra a favore della potenza romana. Ma esaurito l’anno del Consolato venne spogliato di tutti i poteri, ma con il consenso popolare che aveva ormai raggiunto il Senato lo nominò Proconsole della Provincia della Sicilia. Niente lo fermava da condurre i suoi piani di conquista ai danni di Cartagine. Nel suo viaggio da Roma verso la Sicilia Scipione arruola un numero considerevole di soldati(sopratutto veterani e figli di veterani della Battaglia di Canne in cerca di riscatto dopo essere stati esiliati dall’Urbe per essere scappati).
Scipione sbarca in Africa nel 204 a.C. e subito da battaglia a generali cartaginesi di stanza vicino alla città, ma il suo obiettivo principale è chiarissimo: sconfiggere Annibale in campo aperto. Infatti per Scipione sconfiggere il cartaginese era una questione sopratutto personale, durante la battaglia di Canne Scipione era appena diciannovenne ed assistette alla catastrofe romana, e fu lui e riorganizzare i fuggitivi e portarli in salvo. Era venuto per lui il tempo del rivincita.
Scipione aveva ormai perfezionato la strategia che aveva imparato proprio da Annibale a Canne: l’accerchiamento anche se si è inferiori di numero al nemico; ed ormai il romano era riuscito nella sua tattica anche senza l’ausilio della cavalleria. Con abile manovra politica Scipione era riuscito a far passare dalla sua parte il principe della Numidia in esilio, Missinissa, mentre il più forte alleato dei cartaginesi era proprio l’usurpatore del trono numidico(che di diritto spettava a Missinissa), Siface. Prima che Scipione mettesse in seria difficoltà i cartaginesi, arrivando quasi ad assediare Cartagine stessa, i Suffeti erano convinti di poter gestire la faccenda; ma appena si resero conto della genialità tattico-strategica del comandante romano, gli oligarchi decisero di richiamare dall’Italia Annibale Barca. Il Barcide, dopo 33 lunghi anni di campagne militari, ritoccò il suolo di casa con 15.000 veterani della Campagna d’Italia. Subito il comandante di Cartagine si mise ad arruolare uomini, arrivando fino ad un totale di 36.000 soldati. Scipione all’inizio decise di giocare di psicologia, ed inviò, sia a Cartagine, sia all’accampamento di Annibale, ambasciatori di pace; ma i cartaginesi si riufiutarono di accettare. Scipione riuscì nel suo intento, perché mentre attendeva la risposta cartaginese al suo “trattato” si diede a devastare le campagne cartaginesi ricavando ricchezze e schiavi, che, prontamente, furono inviati a Roma come “preludio alla vittoria”. Ciò non fece altro che accrescere la posizione di Scipione in seno al Senato ed al Popolo Romano, e imbizzarrì talmente tanto i cartaginesi che i Suffeti colsero il trattato di Scipione come una presa in giro e sollecitarono Annibale a dargli battaglia, sicuri della vittoria. Nel frattempo Missinissa tornò dalla Numidia con 4.000 cavalleggeri numidi in aiuto a Scipione.
“Costringendo indirettamente” Annibale a dargli battaglia Scipione aveva un punto a suo favore.

Schieramento.

Romani:
– Comandante in Capo: Proconsole di Sicilia, Provincia della Repubblica Romana Publio Cornelio Scipione;
– Fanteria: 23.000 tra italici e romani, 900 berberi;
– Cavalleria: 1.500 romani e italici, 4.000 numidi, 600 berberi.

Cartaginesi:
– Comandante in Capo: Stratègo di Cartagine Annibale Barca;
– Fanteria: 12.000 mercenari tra Liguri, Celti, Baleari e Mauri, , 15.000 Libi e Cartaginesi, 15.000 veterani della campagna d’Italia e 4.000 falangiti macedoni;
– Cavalleria: Cavalleria: 2.000 Cartaginesi, 2.000 Numidi e 80 elefanti da guerra.

Disposizione delle truppe.

Romani:
– Centro: Le legioni, in prima linea gli astati(fanteria leggera, armata di: scutum, 2 pilum ed un Gladio), dopo di questi i principi(fanteria pesante armata come gli astati, ma con la differenza che mentre i primi avevano un semplice copricuore di cuoio come difesa, qeusti erano protetti da una lorica amata) e infine i triari(lanceri veterani armati di di hasta-lancia lunga-, e gladio; protetti da una lorica amata e da una scutum). Sia Livio che Polibio mettono però in evidenza in fatto che i manipoli non fossero schierati a scacchiera, come era solito fare ai romani, ma che ogni manipolo di principi e triari fosse allineato perfettamente al corrispondente degli astati sul fronte dell’esercito, per permettere il passaggio degli elefanti senza troppi danni negli ampi spazi così liberati. Per evitare che il fronte così sistemato si presentasse debole tra un manipolo e l’altro di astati furono sistemati i veliti, col preciso ordine di iniziare la battaglia e di ritirarsi dietro l’esercito lasciando liberi i corridoi verticali;
– Ala Sinistra: Cavalleria italica guidata dal Legato Militare Gaio Lelio;
– Ala Destra: Cavalleria e fanteria numidica guidata dal principe Massinissa.

Cartaginesi:
– Centro = Davanti a tutti si trovavano gli 80 o più elefanti, dietro questi la prima linea di fanteria formata dai mercenari, in seconda linea si trovavano i libi e i cartaginesi, stando a Livio anche forze inviate dalla Macedonia in aiuto dei punici guidate da Soprato, infine in terza linea distanziati di uno stadio, circa 200 metri, i veterani della campagna italica di Annibale;
– Ala Sinistra = Cavalleria numidica guidata da Siface;
– Ala Destra = Cavalleria cartaginese.

LO SCONTRO

Come prima cosa Annibale fece affidamento sui suoi poderosi pachidermi, lanciandoli alla carica del centro romano. Anche se i romani in passato hanno sofferto terribilmente nelle battaglie che hanno visto coinvolti gli elefanti contro di loro, ormai sapevano come controttaccare ad una carica di queste mastodontiche bestie. Come prima cosa le file di astati, principi e triari si aprirono, creando un corridoio dove far passare gli elefanti senza nuocere al loro schieramento; subito dopo i veliti(schermagliatori armati di pilum) scagliarono i loro giavellotti contro i guidatori di elefanti uccidendoli. Senza più una guida che li conducesse i pachidermi furono disorientati, le trombe che i romani fecero squillare incessamente nelle orecchie degli animali fecero il resto. Ormai imbizzarriti gli elefanti fecero dietro front e si andarono a schiantare verso la cavalleria cartaginese.
A quel punto Leio e Missinissa si lanciarono all’inseguimento della cavalleria cartaginese per chiudere definitivamente i giochi con i loro diretti avversari, lasciando libero campo a Scipione di usufruire al meglio della fanteria senza che la cavalleria avversaria disturbasse le manovre. Fu infatti a quel punto che Scipione lanciò all’attacco la sua prima linea, gli astati. La fanteria cartaginese non sembrava reggere all’urto con quella romana, e cominciò ad indietreggiare, oppure Annibale voleva replicare la disfatta di Canne accerchiando il nemico mentre indietreggiava.
Mentre la prima linea cartaginese indietreggiava, la seconda(formata dai cittadini cartaginesi) non glielo permise e cominciò a spingere per far avanzare i loro compagni d’arme, creando una “lotta intestina” nello schieramento. Comunque sia gli astati di Scipione erano stanchi e le seconde file cartaginesi rinforzavano la difesa. L’arrivo dei principi diede nuova linfa all’attacco romano e portò alla rotta della seconda linea punica. Scipione tentò di ripetere la manovra dei Campi Magni e mosse le sue file di principi e triari sui fianchi per accerchiare le forze di Annibale. La manovra fallì parzialmente perché i veterani che Annibale teneva di riserva nella terza linea, lontana dalle prime due (molto probabilmente per evitare proprio questa mossa), non potevano essere circondati. Inoltre lo spazio tra loro e i romani era disseminato di cadaveri, che rendevano ancora più difficoltosa la manovra dell’esercito attaccante. Scipione fu costretto a far tornare indietro le seconde file per reggere l’urto dei cartaginesi e non aveva più massa di manovra. Un ulteriore problema derivò dal fatto che la tattica utilizzata da Scipione per evitare la carica degli elefanti si rivelò errata per contrastare le linee di fanteria cartaginese. I corridoi creati, infatti, non permettevano l’utilizzo della tattica manipolare, che necessitava di una disposizione a scacchiera per essere utilizzata. Perciò, le prime fasi dello scontro pesarono direttamente sulle spalle degli hastati(secondo G. Brizzi, “Il guerriero, l’oplita e il legionario”, può darsi che Annibale, schierando gli elefanti sul fronte del suo esercito, intendesse esattamente costringere Scipione a disporre i manipoli in colonna, invece che a scacchiera). A questo punto la battaglia era diventata molto difficile per la compagine romana. Le perdite erano state sicuramente minori rispetto a quelle puniche, ma i combattimenti con le prime due linee cartaginesi avevano permesso ad Annibale di stancare i fanti romani, nonché di sfruttare nel migliore dei modi la superiorità numerica. Infatti, i ripiegamenti dei mercenari e dei cittadini punici, avevano permesso di coprire i fianchi ai veterani d’Italia, che erano ancora freschi e saldi al centro dello schieramento cartaginese. Se pensiamo poi che le legioni, senza gli effettivi di fanteria leggera, assommavano a circa 17.000 uomini, mentre i veterani annibalici contavano 15.000 uomini, possiamo capire quali difficoltà dovette affrontare Scipione. Per evitare un accerchiamento che gli sarebbe riuscito fatale, Scipione estese il suo fronte, assottigliando i ranghi fino a coprire tutto il fronte punico. Ma ora la battaglia era arrivata ad una fase critica. Senza possibilità di manovra e senza le cavallerie (che ancora dovevano tornare dall’inseguimento), i romani dovettero arrivare allo scontro frontale con un nemico che li soverchiava per numero e per la maggiore freschezza (non dimentichiamo poi l’effetto psicologico che una tale situazione dovette avere su legionari che già avevano subito lo shock della sconfitta).
Ciò nonostante, i legionari non si persero d’animo. Quegli uomini sconfitti dai nemici ed esecrati dai loro stessi concittadini avevano, alla fine, una seconda possibilità e da quella speranza, da quella rabbia, trassero la forza di resistere alle forze puniche che li sovrastavano.
Definitivamente dispersa la cavalleria avversaria o disperatamente chiamati indietro da Scipione, alla fine tornarono Lelio e Massinissa con i loro cavalieri. Si avventarono alle spalle delle forze cartaginesi, creando scompiglio e massacrando il nemico. L’esercito cartaginese venne accerchiato e definitivamente annientato.
Quella che forse stava per diventare un’altra sconfitta per Roma diventò la disfatta finale di Annibale e di Cartagine.
Al di là di ipotesi fantasiose, comunque, molto più semplicemente Annibale tentò una battaglia di attrito, l’unica che gli era consentita dalle forze che aveva a disposizione. Nel suo piano di battaglia i romani dovevano essere fiaccati dallo scontro con ben tre linee (elefanti, mercenari, reclute puniche) prima di arrivare al confronto decisivo con i veterani dell’ultima linea.
Elefanti, mercenari e reclute puniche non erano in grado per ovvi motivi di compiere alcuna manovra sul campo di battaglia e potevano servire solo per un semplice scontro frontale, dopo il quale i romani non avrebbero avuto la necessaria freschezza per contrastare i veterani.
Era un delicato equilibrio di forze e soprattutto di tempi, che Scipione fu in grado di contrastare in virtù della voglia di riscatto delle legioni romane da lui addestrate dopo la sconfitta di Canne.
Tuttavia Annibale e pochi cavalieri riuscirono a fuggire.

Perdite.
Le stime dei caduti delle battaglie non sono mai attendibili, ma il numero può comunque essere significativamente utile per farsi un’idea dell’esito della battaglia.

Romani:
– 1.500.

Cartaginesi:
– 20.000 morti;
– 20.000 prigionieri.

Trofei dei romani:
– 11 elefanti;
– 132 insegne cartaginesi.