TESINA IL 1848

TESINA IL 1848

Nel 1848 gran parte dell’Europa fu interessata da una serie di sommosse. Le motivazioni furono diverse: alcuni popoli chiedevano la Costituzione, altri l’indipendenza, altri una maggiore giustizia sociale.

Il 1848 segna l’affermarsi di una cultura borghese.

Dai sommovimenti rimangono escluse l’Inghilterra e la Russia, per motivi opposti. L’una già da tempo si era indirizzata sul cammino delle riforme; l’altra invece era lontana da ogni rinnovamento.

Le richieste più avanzate, quelle cioè liberali e nazionali e quelle democratiche e sociali, ebbero per il momento la peggio.

Francia

In Francia sempre più apertamente si manifestava il malcontento nei riguardi di Luigi Filippo, che appariva troppo schiacciato sugli interessi dei ricchi finanzieri.

Il fermento popolare cresceva per l’ostilità della monarchia ad ogni riforma. Il 22 febbraio del ’48 un’improvvisa insurrezione dei parigini si protrasse per tre giorni e si concluse con la fuga di Luigi Filippo e con la proclamazione della Repubblica.

A far parte del governo provvisorio fu chiamato il socialista Louis Blanc, il quale istituì le “officine nazionali” e realizzò la libertà di stampa e di associazione, il suffragio universale maschile, la riduzione della giornata lavorativa a 10 ore e il riconoscimento del diritto dell’operaio al lavoro.

In seguito alle elezioni la nuova Assemblea Costituente risultò formata da una maggioranza moderata contraria alle riforme del Blnc. Si giunse cosi, in seguito ad incidenti e sanguinosi tumulti, alle dimissioni del Blanc e alla fine del governo socialista. Il partito bonapartista approfittando dello smarrimento generale, fece eleggere nel dicembre del 1848 quale presidente della seconda repubblica Luigi Napoleone (1808-1873), figlio di Luigi, re d’Olanda, fratello dell’imperatore Napoleone.

Germania e Austria

Il 10 marzo anche Berlino insorse e chiese la Costituzione, che il re Federico Guglielmo IV finse di concedere.

Nel frattempo il moto insurrezionale era dilagato anche in Austria: fu la stessa Vienna a sollevarsi il 13 marzo per chiedere la Costituzione e il licenziamento del Metternich. L’imperatore Ferdinando I  si trovò costretto a licenziare l’onnipotente ministro e a consentire la convocazione di un’Assemblea Costituente.

In Austria tuttavia it problema da risolvere non era solo costituzionale, ma anche nazionale: si trattava di creare una Costituzione capace di accontentare le diverse popolazioni del vasto impero (Cechi, Sloveni, Italiani, Polacchi, Slavi, Croati) e in particolare gli Ungheresi, che, sotto la guida del patriota Lajos Kossuth e del poeta nazionale Sandor Petofi, si erano ribellati a Vienna e aspiravano all’indipendenza.

Le cose si aggravarono e Ferdinando I fu costretto ad abdicare in favore del nipote diciottenne Francesco Giuseppe (1830-1916). Questi appena assunto il potere, si dimostrò deciso a riprendere in mano la situazione. Chiese ed ottenne l’aiuto militare della Russia, grazie al quale riuscì a soffocare la ribellione.

Lombardo-Veneto

Frattanto anche il Lombardo-Veneto era messo in subbuglio dalle notizie, provenienti da Vienna, di un Metternich in fuga verso l’Inghilterra e di tutta una serie di riforme concesse ai rivoluzionari.

Il 17 marzo insorse Venezia. La popolazione liberò con la forza i detenuti politici, fra i quali Daniele Manin e Niccolò Tommaseo, e costrinse il governatore austriaco ad andarsene (23 marzo).

Veniva così ricostituita quasi senza spargimento di sangue l’antica Repubblica di San Marco con a capo Daniele Manin.

Il 18 marzo, insorse anche Milano, che nominò un governo provvisorio con a capo Carlo Cattaneo.

Il vecchio ed energico generale Radetzky decise di resistere. Ebbe inizio una lotta, che si protrasse per cinque giorni le famose “cinque giornate” e si concluse con la conquista di Porta Tosa (attuale Porta Vittoria) da parte dei Milanesi guidati da Luciano Manara.

Gli Austriaci abbandonarono la città e si rifugiarono nel Quadrilatero, cioè nelle quattro fortezze di Mantova, Peschiera, Legnago e Verona, poste in ottima posizione fra Veneto e Lombardia all’imbocco della valle dell’Adige.

Intanto anche a Modena e a Parma improvvise insurrezioni popolari costringevano i duchi alla fuga e portavano alla formazione di governi provvisori.

Carlo Alberto

Gli Austriaci erano potenti e temibili: per cacciarli definitivamente dal Lombardo-Veneto, si rendeva necessaria una vera e propria guerra. Per questo molti patrioti piemontesi e milanesi sollecitarono Carlo Alberto a cogliere l’occasione per passare il Ticino con il suo esercito. Il re esitava, diverse considerazioni lo trattenevano dal seguire il desiderio dei democratici più decisi. Oltretutto l’esercito non era preparato e c’era motivo di temere un’insurrezione repubblicana quando le sue forze armate avessero varcato il confine con la Lombardia.

Alla fine però ruppe gli indugi. Dopo la fuga degli Austriaci da Milano sempre più forti si alzavano i timori, negli ambienti monarchici, che repubblicani e mazziniani riuscissero a prevalere nei governi provvisori delle diverse città. Il 23 marzo Carlo Alberto dichiarò guerra all’Austria, inviando un proclama ai popoli della Lombardia e della Venezia, con il quale affermava di voler porgere loro “quell’aiuto che il fratello aspetta dal fratello, l’amico dall’amico”.

Nel frattempo anche i sovrani di Napoli e di Toscana e il papa, spinti dalle pressioni dei democratici lasciavano partire verso il Lombardo-Veneto reparti di volontari e di truppe regolari.

La prima guerra d’Indipendenza

I1 29 marzo l’esercito piemontese passava il Ticino a Pavia.

La bandiera dei reggimenti era il tricolore bianco, rosso, verde, lo stesso che gli insorti di Milano avevano issato sulla guglia più alta del Duomo: il re infatti aveva deciso di adottare quella bandiera, aggiungendovi al centro lo scudo di casa Savoia per dimostrare che la causa nazionale e le fortune della dinastia sabauda erano da quel momento indissolubilmente legate.

Carlo Alberto fu però troppo lento nel condurre le operazioni e non riuscì a battere gli Austriaci prima che potessero trovare rifugio nel cosiddetto Quadrilatero. Il suo esercito vinse comunque alcuni scontri, ma non seppe opporsi all’arrivo di un esercito di 20.000 uomini, inviati in aiuto a Radetzky attraverso il Brennero.

Fu allora che l’ottantatreenne generale tentò di sorprendere i Piemontesi alle spalle, costituendo una tenaglia con le truppe che scendevano verso Sud. La manovra tuttavia non riuscì: gli Austriaci, appena usciti da Mantova, si trovarono infatti la strada sbarrata presso Curtatone e Montanara da volontari toscani, tra cui molti studenti delle università di Siena e di Pisa, i quali si fecero quasi tutti massacrare, pur di impedire al nemico di raggiungere il suo scopo. Carlo Alberto ebbe così il tempo necessario per rovesciare il fronte e per dirigersi verso Mantova con un’ardita manovra, che gli permise di battere gli Austriaci presso Goito. Era il 30 maggio del ’48: la sera dello stesso giorno giungeva al campo piemontese la notizia della caduta della fortezza di Peschiera.

Un’ondata di entusiasmo invase allora l’esercito, che nella gioia del momento acclamò Carlo Alberto primo re d’Italia. Poco dopo i governi provvisori di Milano, di Venezia, di Modena e di Parma decretavano l’annessione al Piemonte, dopo aver superato le resistenze dei democratici e, in particolare, l’opposizione del Manin, del Cattaneo e del Mazzini (giunto da Londra a Milano allo scoppio della rivoluzione), che avrebbero preferito rimettere ogni decisione ad un referendum popolare.

La battaglia di Goito chiuse però la fase fortunata di questa guerra. L’esercito piemontese cominciava infatti a dare i primi segni di stanchezza, mentre si facevano sempre piii evidenti le polemiche fra i capi democratici, diffidenti verso Carlo Alberto a causa della eccessiva lentezza dimostrata nella condotta delle operazioni, e i generali piemontesi preoccupati per la scarsezza dei rifornimenti e degli aiuti inviati dai governi provvisori.

Pio IX, nel timore che i cattolici austriaci ungheresi e tedeschi si separassero dalla Chiesa  ritirò le sue truppe. Nello stesso tempo, constatando che Carlo Alberto premeva perche la Lombardia, il Veneto e i ducati padani fossero annessi al Piemonte, il re di Napoli e il granduca di Toscana si affrettarono a richiamare le loro truppe lasciando l’esercito piemontese a sostenere praticamente da solo la guerra contro l’Austria.

Fra il 25 e il 27 luglio, nei pressi di Custoza, Carlo Alberto fu gravemente sconfitto e costretto a chiedere l’armistizio, che dal nome del generale che lo firmò fu detto armistizio di Salasco (9 agosto 1848): in base ad esso l’esercito piemontese, in attesa di un regolare trattato di pace, si sarebbe ritirato oltre il Ticino entro i vecchi confini, abbandonando il Lombardo-Veneto all’Austria.

Italia dopo l’armistizio

L’Austria era risultata vincitrice contro Carlo Alberto, ma la situazione italiana appariva abbastanza instabile per l’impero austro-ungarico.

La Sicilia fin dal 1848 si era liberata dalla monarchia borbonica e il suo governo provvisorio aveva offerto la corona al secondogenito di Carlo Alberto, Ferdinando di Savoia duca di Genova. Costui, temendo un conflitto con i Borbone, aveva rifiutato. Il re di Napoli, Ferdinando II, dopo Custoza, attaccò la Sicilia. Fece bombardare pesantemente la città di Messina e la fece saccheggiare spietatamente. La Sicilia non si arrese, anzi ottenne una tregua che durò fino alla primavera del 49.

Roma
Una serie di disordini a Roma induceva papa Pio IX ad abbandonare la città per rifugiarsi a Gaeta sotto la protezione di Ferdinando II. Si formava allora a Roma un governo provvisorio che dichiarava decaduto il potere temporale dei papi e dava vita alla Repubblica Romana guidata da Giuseppe Mazzini, Carlo Armellini e Aurelio Saffi (9 febbraio 1849)

Toscana

Anche il Granduca di Toscana era costretto a rifugiarsi a Gaeta insieme con il papa Pio IX. Si formava un governo provvisorio formato da Montanelli, Guerrazzi e Mazzoni (8 febbraio 1849).

Carlo Alberto e la fine della prima guerra d’indipendenza.

Dopo l’armistizio austro-piemontese la situazione italiana vede Roma, Firenze e Venezia repubblicane. La popolarità di Carlo Alberto è bassissima; egli è accusato di aver abbandonato Milano agli Austriaci senza combattere e di avere avuto un atteggiamento antipopolare. Carlo Alberto, temendo di essere travolto da iniziative di  democratici e repubblicane decise di riprendere le armi il 12 marzo 1849, approfittando delle difficoltà dell’Austria impegnata a soffocare la rivolta ungherese. Il comando fu affidato all’esule Polacco Wojcieck Chrzanowskj, il quale non conosceva la lingua dei suoi soldati e non conosceva i luoghi degli scontri.

Gli Austriaci non attesero di essere attaccati in Lombardia: attraversarono il Ticino e sorpresero esercito piemontese alle spalle presso Novara sconfiggendolo pesantemente.

Carlo Alberto abdicava in favore del figlio Vittorio Emanuele e si recava in esilio a Oporto, dove moriva pochi mesi dopo.

Il 24 marzo 1849 il nuovo re Vittorio Emanuele II firmava l’armistizio di Vignale, molto pesante dal punto di vista finanziario, ma che lasciava intatti i confini territoriali e non costringeva il Piemonte a togliere la libertà di stampa, di riunione ecc.

 

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