Tersite Iliade Libro II vv 198-297

Tersite Iliade Libro II vv 198-297


Il primo libro dell’Iliade si chiude sull’incontro di Achille con la madre Teti: addolorato e indispettito per aver dovuto
cedere la schiava Briseide ad Agamennone, l’eroe si reca sulla spiaggia e invoca la madre, dea del mare. Teti sale dal
profondo degli abissi per consolare il figlio in lacrime. Gli assicura il suo aiuto; si reca, infatti, a intercedere presso
Zeus e lo prega d’intervenire in favore del figlio, che ha subito una così grave offesa. La madre di Achille suggerisce
al re degli dei di favorire la vittoria dei Troiani, allo scopo di far conoscere a tutti i Greci quanto fosse valoroso Achille
e indispensabile al buon esito della guerra.
Da qui prende avvio il libro secondo: è notte. Tutti dormono, uomini e dei, solo Zeus veglia. È dubbioso, non sa come
adempiere alla promessa fatta a Teti. Ed ecco che nasce in lui un’idea: decide di mandare ad Agamennone un sogno
ingannatore. Lo induce a sognare che sia giunto il giorno tanto atteso della caduta di Troia. Agamennone si sveglia e,
pieno di entusiasmo, organizza il piano della battaglia decisiva. Ma prima del grande evento vuol mettere alla prova
la forza d’animo dei suoi soldati. Convoca in assemblea generale tutto l’esercito, al cui cospetto inizia a parlare:
dapprima deplora il fatto che in nove anni di guerra gli Achei, pur essendo più numerosi dei Troiani,
non siano riusciti a impadronirsi della città nemica;
annuncia quindi la sua falsa intenzione di porre fine al conflitto e di ricondurre l’esercito in patria.
A questa notizia la massa urlante dei soldati si precipita in tripudio alle navi e incomincia a spingerle in
mare per far ritorno in Grecia, alle proprie case. Interviene Odisseo che, indotto da Atena, convince i guerrieri a non
partire, a non abbandonare il campo di battaglia. Solo Tersite, un umile soldato, storpio e zoppo, continua a inveire
insolentemente contro la prosecuzione della guerra; si scaglia, in particolare, contro il re Agamennone, che accusa
di insaziabile avidità, di iniquità nella spartizione del bottino. A questo punto prende la parola Odisseo-Ulisse che,
adirato, ordina a Tersite di tacere; lo insulta, lo sbeffeggia e lo colpisce sulle spalle con lo scettro regale. Il povero
Tersite, sanguinante e affranto, piange, si contorce, mentre gli altri soldati lo deridono e lo scherniscono.