TEMI DELL’ILIADE

TEMI DELL’ILIADE


1) Gli ideali guerreschi e aristocratici. Nell’Iliade abbiamo l’assoluta prevalenza di ideali guerreschi, in un quadro socioculturale di tipo aristocratico. Il popolo non compare nell’Iliade: meritano attenzione solo gli eroi. Gli “aòristoi” (i migliori) sono uomini eccezionali le cui qualità, sia fisiche che spirituali, hanno qualcosa di gigantesco, di sovrumano: portano armi pesantissime, lanciano massi enormi, resistono in lunghissime battaglie, hanno terribili ire, sdegni paurosi, bramosie di vendetta portate all’eccesso, al punto da sembrare addirittura disumane. Tutti sono così, ma l’eroe in cui maggiormente visibile ciò è Achille, in cui ogni atteggiamento fisico e spirituale è di gran lunga superiore alla normale misura umana. “Quando egli, dopo la morte di Pàtroclo, inerme, si mostra ai Troiani e lancia l’urlo di guerra, quell’urlo basta ad atterrire i Troiani e a farli fuggire; (…) A Ettore morente, che gli domanda di rendere il suo corpo al padre per la sepoltura, risponde che egli vorrebbe che la rabbia e il furore lo spingessero a mangiar crude le sue carni” (G. Perrotta).


2) Il desiderio di gloria. Perché i personaggi omerici sono così? Che cosa li spinge a queste passioni gigantesche ? Essi conoscono una sola aspirazione: la gloria; e temono una sola sciagura: il disonore. Alla gloria aspirano tutti gli eroi e da questo sentimento offeso deriva l’ira di Achille, sulla quale tutto il poema è imperniato. E proprio per amore di gloria Achille accetta una vita breve e rinuncia ad una vita lunga e serena, ma ingloriosa. Appunto qui sta la grandezza della sua figura: attraverso la ricerca della gloria egli cerca di sconfiggere la morte che proietta la sua ombra sulle sue azioni. I personaggi omerici sono eroi per questo, perchè, prima di ogni cosa, aspirano alla gloria per perpetuare la loro memoria fra gli uomini e per questo combattono e muoiono. È questo il caso di Achille, questo il caso di Aiace nella battaglia attorno alle navi, è questo il caso di Pàtroclo che, vissuto sempre all’ombra della fama di Achille, approfitta di una circostanza favorevole e tenta anche lui di conquistare la sua gloria.


3) Il senso del dovere. Ma accanto agli eroi come Achille ed Aiace, campioni di una società guerresca che considera il valore militare come la maggiore virtù dell’uomo, ecco che troviamo Ettore, un tipo d’eroe molto diverso dagli altri. Ettore non ama la guerra, né brama la gloria; combatte per necessità, difende la città assediata, e facendo ciò, difende i vecchi genitori, il figlio e la moglie – e compie un dovere che è gravoso, ma egli sa che deve essere compiuto. Questo è importante: egli sente già che Troia sarà vinta, ma, ciò malgrado, farà il suo dovere fino all’ultimo e affronterà la morte con la coscienza di compiere un sacrificio che non gioverà alla città. Con la raffigurazione di Ettore, dunque, Omero ha creato un personaggio, i cui ideali sono superiori a quelli degli altri eroi, un eroe “moderno”, come e stato detto, cioè un eroe di una società che non ammira come massima virtù il valore militare, ma il senso dei dovere e l’amore per la patria.


4) “Civiltà di vergogna”. È stato tuttavia osservato che il parametro dell’agire da parte degli eroi è sempre l’opinione degli altri. Gli antropologi chiamano questo tipo di civiltà “civiltà della vergogna”, perché il comportamento umano viene regolato in base al senso dell’onore di fronte al giudizio degli altri. La nostra civiltà, invece, è una “civiltà della colpa”, poiché il nostro comportamento viene regolato in base al senso di colpa di fronte ad una legge superiore. Gli eroi omerici non conoscono il sentimento soggettivo di colpa, ma solo il fallimento nel raggiungere il loro obiettivo che determina il giudizio negativo da parte degli altri. Anche Ettore non sfugge a questa legge: il suo senso del dovere è dettato dal disonore che colpirà lui e i suoi cari se si sottrarrà al suo destino. Egli sa che Troia cadrà, ma l’unica possibilità di salvezza per sé, per la città e per i propri cari è garantita dalla grandezza e dalla nobiltà della proprie azioni di chi combatte per lei. Ciò non lo salverà dalla morte, non salverà Troia dalla distruzione, non salverà i suoi cari dalla schiavitù, ma garantirà loro quella gloria che li renderà immortali.


5) Una concezione laica della vita. Gli dei stessi che intervengono spesso nella vicenda non sono altro che la personificazione di forze naturali che limitano e condizionano l’agire degli uomini, ma non possono garantire loro la salvezza. Per questo è stato detto che i poemi omerici sono l’espressione di una visione sostanzialmente laica, nella quale la vita è l’unico orizzonte degli uomini (le anime dei morti sono unicamente rivolte al tempo in cui vedevano la luce del sole, in cui è stata data loro la possibilità di realizzare compiutamente la loro esistenza.


6) I sentimenti. Nel poema si apre così anche la gamma vastissima di sentimenti che caratterizza la vita dell’uomo: l’affetto paterno, la dolcezza del legame coniugale, l’amicizia, il dolore. E così l’Omero che ha creato Achille ed Aiace, crea anche Andromaca, tenera sposa che supplica il marito di fuggire e salvarsi, crea Teti, la dea che piange come una comune madre mortale, crea Priamo, anziano re stroncato dal dolore che bacia la mani dell’uccisore del figlio.


7) La tragicità della condizione umana. E quell’Achille che brama la gloria ed è feroce con Ettore morto, alla fine del poema è improvvisamente aperto al sentimento dell’amicizia e della pietà e di fronte al vecchio Prìamo piange – lui il vincitore! – quando s’accorge che una sola legge, quella del dolore, sovrasta vincitori e vinti. Neanche la gloria ottenuta per le grandi imprese compiute riuscirà a sconfiggere la morte e il dolore. Accanto al motivo epico, ecco comparire il motivo tragico della scoperta della morte e dell’ineluttabilità di un destino (il Fato) che neppure gli dei sono in grado di controllare. Ed Ettore, che ha capito ed accettato tutto questo, è degno della massima venerazione. “Omero, narrando di un conflitto immane, fra le stragi orrende e le rovine non parteggia né per i vincitori né per i vinti, né per i Greci né per i Troiani, ma soltanto vede innanzi a sé uomini travolti dalle passioni e dall’ineluttabile Fato (…) e contempla dall’alto con pietoso sguardo i casi e lieti e tristi della vita, ben sapendo che come le foglie, così sono le stirpi degli uomini (…), l’una nasce e l’altra dilegua” (A. Rostagni).

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