TEMA SU POLIFEMO

TEMA SU POLIFEMO


Polifemo era figlio del dio del mare Poseidone, fratello di Zeus, e della bellissima ninfa Toosa. Ma non assomigliava alla madre: altissimo, con il corpo massiccio coperto di peli rossi, i capelli aggrovigliati, aveva un unico occhio in mezzo alla fronte. Era il più famoso della famiglia dei Ciclopi. 

I Ciclopi erano creature gigantesche.Vivevano facendo i pastori lungo le coste italiche, ma il loro paese natale era la Sicilia. Crudeli e privi di leggi, non temevano né gli dei, né gli uomini.
Polifemo mangiava il formaggio che ricavava dal latte delle sue pecore; quando però capitavano dalle sue parti degli stranieri, li divorava senza pietà.

Quando Ulisse (in greco, Odisseo), re di Itaca, sbarca in Sicilia nei pressi dell’Etna e, ignaro del pericolo, penetra nella spelonca con dodici compagni, si trova ad assistere al rientro del Ciclope e del suo gregge, che facevano ritorno dal pascolo. Polifemo, che colloca un macigno davanti all’ingresso, respinge le preghiere di Ulisse e non intende tenere conto delle sacre leggi dell’ospitalità, e comincia perciò a far strage dei Greci, cibandosi delle carni dei primi due infelici che ghermisce e stritola contro una parete. Quando si sveglia la mattina successiva, il gigante fa colazione mangiando altri due compagni di Ulisse e quindi esce per condurre al pascolo le pecore, avendo avuto stavolta cura di ostruire adeguatamente l’ingresso, allo scopo di rendere impraticabile la fuga ai malcapitati suoi prigionieri.

Ulisse assieme agli otto superstiti escogita però uno stratagemma: fare ubriacare Polifemo con un otre di vino rosso che aveva portato con sé ed accecarlo durante il sonno con un palo aguzzo ed infocato. Il ciclope, dopo aver bevuto tre otri di vino, prima di addormentarsi, chiede al greco quale fosse il suo nome e astutamente egli risponde “Nessuno”. Mentre Ulisse attizzava il fuoco, i compagni avevano il compito di appuntire un tronco, che venne conficcato nell’unico occhio del ciclope.
Polifemo, cieco e pazzo di dolore, urlava chiedendo aiuto. Accorsero i fratelli Ciclopi, i quali gli chiesero chi fosse stato a fargli male, ma lui rispose: “Nessuno! Nessuno mi fa del male!”. Quelli, convinti che non ci fosse nessuno, si allontanarono.

La mattina dopo il gigante tolse la pietra davanti alla porta della caverna per far uscire le greggi, tastando la schiena dei montoni che passavano, ma Ulisse e i compagni sopravvissuti si erano nascosti sotto la pancia degli animali e poterono fuggire facilmente.
Il cieco Polifemo, rendendosi conto che la grotta era vuota, in un ultimo sussulto d’ira, cominciò a lanciare in mare immensi macigni, dando origine, secondo la leggenda, ai faraglioni che oggi caratterizzano Acitrezza.

La disavventura vissuta da Ulisse e dai suoi compagni dopo essere approdati sulla costa orientale della Sicilia ed essersi imbattuti nel ciclope Polifemo è stata raccontata da Omero nel canto IX del famoso poema epico intitolato “Odissea” (titolo che deriva dal nome greco di Ulisse). La storia venne poi ripresa anche da Virgilio nella letteratura latina nel libro III dell’ “Eneide”, tramite la sosta di Enea in Sicilia durante il viaggio verso il Lazio. L’eroe troiano, approdando vicino all’Etna, incontrò un ex compagno di Ulisse, Achemenide, il quale gli raccontò il modo in cui Ulisse aveva sconfitto Polifemo.

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