TEMA SU GIACOMO LEOPARDI

TEMA SU GIACOMO LEOPARDI

TEMA SU GIACOMO LEOPARDI


Tra tutti gli autori studiati nel corso di quest’anno scolastico, mi è piaciuto molto Giacomo Leopardi. In particolare mi ha colpito la sua poesia “L’infinito” perché tratta di un momento di pura riflessione e meditazione. Per meglio comprendere la sua poetica e capire il travaglio interiore di questo autore, è necessario conoscere a fondo la sua vita. Giacomo Leopardi nasce a Recanati nel 1789. Il padre è molto autoritario, severo in famiglia e legato politicamente al regime assolutistico dello Stato Pontificio. La madre invece, pia e ossessivamente religiosa, è molto esigente nei confronti del figlio. Recanati stessa ospita un clima soffocante da un punto di vista culturale. Nel 1806 Leopardi viene affidato agli insegnamenti di un precettore privato. Dopo 6 anni però il precettore stesso riconoscere che il ragazzo è più istruito di lui e lascia l’impiego. Il giovane si rinchiude così nella biblioteca del padre e si dedica ad uno studio matto e disperatissimo. Impara da solo il latino, il greco, l’ebraico e in parte anche le lingue moderne. E’ molto gracile, l’intenso studio lo rende debole e fisicamente curvo. Tutto ciò lo porta a sentirsi sempre più isolato e diverso. Un paio di volte tenterà la fuga dalla casa paterna ma senza successo. Già a 15 anni scrive due opere sull’astronomia e sui popoli antichi; questo rivela la sua formazione illuministica. I fatti della sua vita che ho appena illustrato lo portano ben presto ad avere una concezione pessimistica della vita. In un primo momento questa negatività deriva dalle sue esperienze personali, poi il pessimismo verrà riversato su tutto il cosmo e diventerà infatti un “pessimismo cosmico”. Tale visione della vita la troviamo per esempio nelle “operette morali”, venti scritti sull’uomo e sulla natura.
Nel ’30 si trasferisce a Firenze dove si innamora di Fanny Targioni Tozzetti che non lo ricambia. A lei L. dedica un ciclo di poesie. La delusione amorosa è tuttavia compensata dalla bella amicizia con Ranieri che gli sarà vicino fino alla morte, avvenuta a Napoli nel 1837.
Da giovane Leopardi concepisce la natura come una madre amorosa che ci crea per vivere felicemente. In quest’epoca è ancor influenzato dalla concezione illuministica del sensismo materialista (tutto è materia eterna e tutto nasce e si riconduce alla materia); la tristezza nasce solo dallo sviluppo della ragione che limita i sentimenti e la voglia di sognare dell’uomo. Successivamente L. passa all’idea di una “natura matrigna” che genera gli esseri viventi. L’uomo è consapevole della sua condizione perché la natura lo ha dotato di capacità di ragionamento. Sa quindi di essere condannato all’infelicità e al suo destino di morte. Questo porta L. ad essere estremamente pessimista: l’umanità vive in un mondo assurdo e cattivo. A differenza degli altri esseri viventi lo guarda e lo capisce e se ne dispera perché  ha il dono della ragione. Questa disperazione è chiara nella sua poesia “Canto di un pastore errante dell’Asia”, dove la vita intera di una persona viene sintetizzata in una corsa affannosa e senza speranza verso la morte. L’ultimo verso chiarisce tutta la sua concezione dell’esistenza: “è funesto a chi nasce il dí natale”.
La poesia fa parte dei “Grandi idilli”, dove il poeta considera la natura come matrigna ma nello stesso tempo ne ama la bellezza e vorrebbe poter contemplAre le meraviglie del creato. Di questi poemi fa parte anche “L’infinito”, che a me piace molto. Tratta infatti di un pomeriggio in cui L. si reca a fare una passeggiata sul monte Tabor. Lì vorrebbe scrutare l’orizzonte, ma una siepe glielo impedisce. Così è costretto solo a immaginare quegli “spazi immensi”. Con questa metafora possiamo capire il messaggio del poeta: l’uomo secondo lui non è in grado di comprendere né il senso né la grandezza del creato, ne è impedito dalla sua natura mortale, ma può liberare l’immaginazione e in un certo senso “intuire” quello che sta “al di là”. “Il naufragar m’è dolce in questo mare” è un verso che mi avvicina al poeta: anche a me capita talvolta di incantarmi in una dolce pace interiore

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