TORQUATO TASSO BIOGRAFIA
TORQUATO TASSO BIOGRAFIA
TORQUATO TASSO BIOGRAFIA
Nasce a Sorrento nel 1544. La madre è una nobile napoletana, che però perde all’età di 8 anni e il padre, proveniente da una nobile famiglia bergamasca, è un apprezzato uomo di lettere al servizio del principe di Salerno, Ferrante Sanseverino. Nel periodo in cui i Tasso, si trasferirono a Salerno al seguito del Sanseverino, scoppiò un insurrezione popolare contro la decisione del viceré di introdurre nella città il tribunale dell’Inquisizione.
Il Principe si schierò dalla parte del popolo e così anche il padre di Torquato che preoccupato per il figlio lo trasferisce a Napoli mandandolo a scuola dai Gesuiti. Sia il principe che i suoi fedeli, compreso il padre di Torquato, furono costretti ad abbandonare il regno e trasferirsi di volta in volta di diverse città.
Nel 1556 Torquato all’età di 12 anni raggiunge il padre a Urbino presso la corte dei Della Rovere dove viene educato secondo il modello del perfetto cortigiano di Castiglione con il culto delle lettere, della musica, delle arti e delle virtù cavalleresche.
Nel 1559 segue il padre a Venezia e lì per suggestione dell’ambiente della città, impegnata nel conflitto contro i Turchi, a soli 15 anni inizia un poema epico sulla prima crociata (1099), “il Gierusalemme” lasciandolo però interrotto.
Frequenta per due anni l’Università di Padova seguendo studi di legge, fisolofia e lettere. Successivamente intraprende col padre diversi viaggi in varie corti e centri culturali d’italia. Nel 1562 a 18 anni pubblica il “Rinaldo” dedicandolo al Cardinale Luigi D’Este.
Nel 1565 grazie alla fama procuratagli dal Rinaldo entra nella corte Estense di Ferrara come gentiluomo del Cardinale Luigi D’este al quale l’opera era stata dedicata, percependo una provvigione di 4 scudi d’oro al mese : il suo compito era di comporre il poema annunciato con il Rinaldo. Qui Tasso passa gli anni più sereni e fecondi dal punto di vista creativo. La corte di Ferrara rimarrà nel suo cuore per tutta la vita come esempio ideale al quale aspirerà nelle sue future peregrinazioni. Presso Ferrara, una delle corti più splendide d’italia, Tasso si inserì agevolmente nei rituali cortigiani, ma non disdegnò anche le accademie di intellettuali dove venne a contatto con il Guarini e il Pigna.
Nel 1572 entra a far parte come cortigiano stipendiato a seguito del Duca Alfonso II D’Este.
La corte di Ferrara era stata da sempre particolarmente amante delle letteratura cavalleresca, per questo probabilmente il Tasso fu stimolato a lavorare al suo poema epico sulla crociata che già aveva ripreso nel 1565 e che continuò dal 1570 al 1575 e nell’estate dello stesso anno poté leggerlo completo al Duca Alfonso. Nel frattempo nel 1573 per gli ozi e le feste della corte aveva composto il dramma pastorale l’ Aminta e aveva anche provato la tragedia Galealto re di Norvegia lasciata però interrotta.
Ma con la conclusione della fatica del suo poema “Gierusalemme” si spezza anche l’equilibrio felice della sua esistenza. Egli guarda la sua opera con insoddisfazione e inquietudine tormentato dallo scrupolo di renderla perfettamente conforme ai canoni letterari e soprattutto della Chiesa.
Nel 1575 recatosi a Roma sottopose l’opera al giudizio di un gruppo di autorevoli letterati. Costoro mossero all’opera le critiche più meschinamente pedantesche e moralistiche e il Tasso, nonostante l’appassionata difesa si sentiva sempre più incerto perché egli stesso, formatosi nello stesso clima culturale condivideva gli stessi scrupoli e si sentiva impegnato ad intervenire sul poema con tagli e modiche per renderlo conforme alle regole.
Nel 1576 compose un’ Allegoria nella quale, con significati allegorici, tentava di giustificare gli episodi amorosi del suo poema che anch’egli sentiva non conformi ai suoi austeri intenti morali e all’ortodossia cattolica, ma che non riusciva a rassegnarsi ad eliminare.
Nel 1577 sottopose volontariamente la sua opera al vaglio dell’Inquisitore di Ferrara, ma neppure la completa assoluzione fece dissipare i suoi dubbi, ormai sintomi di una mente patologicamente sofferente. Valuta la possibilità di andare dagli inquisitori di Roma
Una notte, presso la corte di Ferrara, sentendosi spiato, lancia un coltello e ferisce un servo il Duca lo fa rinchiudere nel convento di San Francesco, dal quale poco dopo fugge per recarsi a Sorrento dalla sorella. Una volta a Sorrento, sotto mentite spoglie annuncia alla sorella la sua morte per vedere la reazione di lei e capire quanto ella tenesse a lui.
Allo svenimento della sorella, Torquato si rivela e passa con lei diversi giorni di serenità. Tornò poi brevemente a Ferrara, ma presto riprese le sue peregrinazioni che lo portano nel 1578 a Mantova, a Urbino, e a Torino, sempre nelle speranza di una sistemazione definitiva. Nel 1579 torna a Ferrara proprio mentre si celebravano le terze nozze del Duca Alfonso D’Este con Margherita Gonzaga. Sentendosi trascurato e non trovando l’accoglienza che si aspettava va in escandescenza tanto che il duca lo fa rinchiudere come pazzo nell’ospedale-carcere di Sant’Anna dove rimase per ben 7 anni fino al 1586.
In questi sette anni, dopo un primo periodo di completa segregazione gli venne concesso di studiare e di riprendere la sua attività letteraria. A Sant’Anna scrisse numerose rime, moltissime lettere, e una buona parte dei Dialoghi.
Soffriva anche di una forte mania di persecuzione autolesionistica e un gravoso senso di colpa nei confronti dell’autorità principesca.
In questo periodo scrive una grandissima quantità di lettere a principi, prelati, intellettuale per difendersi e per chiedere asilo, soccorso a aiuti anche molto elementari come suppellettili e denaro.
Ci si è chiesti perché il duca Alfonso si ostinasse a far tenere rinchiuso un letterato di tale indiscussa fama che molti signori, anche illustri si dichiaravano disposti ad ospitare.
La motivazione è da cercarsi sul fatto che la Curia Pontificia pretendeva dal duca Alfonso che alla sua morte Ferrara tornasse alla Chiesa. Alla luce di ciò, era pericoloso alimentare anche i minimi sospetti di eresia, ospitando o anche solo aiutando Torquato che negli ultimi anni prima della reclusione si era puntato addosso i riflettori dichiarando la possibile devianza del suo poema dall’ortodossia cattolica, tanto più ora che la madre del Duca era stata allontanata dal Ducato perché incline alle dottrine protestanti.
Negli anni in cui il poeta era rinchiuso a Sant’Anna, la “Gierusalemme” fù pubblicata senza il suo consenso, in una versione incompleta e scorretta, che ottenne comunque un grosso successo di pubblico, ma che fece anche scoppiare una grande polemica tra i suoi sostenitori e quelli che ritenevano superiore il Furioso.
Il poeta ne fu amareggiato e oltre a operare una revisione radicale dell’opera per conformarla ai canoni retorici e moralistici, scrisse anche un “Apologia della Gerusalemme Liberata”. Nel 1586 il Duca Vincenzo Gonzaga di Mantova ottenne di scarcerare e di accogliere presso la sua corte Torquato Tasso. Egli stette a Mantova per un poco, ma il suo senso di insoddisfazione lo spinse a viaggiare. Negli ultimi anni della sua vita si concentrò principalmente negli ambienti religiosi e scrisse molta poesia encomiastica dedicata a chi lo ospitava e molta poesia di ispirazione religiosa che rifletteva il suo bisogno di cercare nella religione un conforto alle sue sofferenze.
Nel 1593 si concentra sul rifacimento del suo poema e pubblica la Gerusalemme Conquistata. Nel 1594 il Papa Clemente VIII gli propose l’incoronazione poetica a Roma, ma Tasso ammalatosi gravemente muore nel convento di Sant’Onofrio sul Gianicolo nell’Aprile 1595.
Tasso incarna in maniera esemplare la figura del cortigiano per il quale la vita si svolge interamente nell’ambito della corte e solo in essa il poeta trova il pubblico capace di capire e apprezzare le sue opere. A differenza dell’Ariosto, anch’egli cortigiano, ma che ha bisogno di un’autonomia dalla corte e vede la sua realizzazione più intima nella famiglia, il Tasso non vi è altro luogo in cui il poeta si possa realizzare se non la corte.
Quella del Tasso è però un’amore-odio per la corte, che lo costringe a vagabondare di città in città alla ricerca dell’ambiente ideale nel quale stabilirsi. Sono queste le contraddizione emblematiche di un età di grandi tensioni e di grandi conflitti in cui comincia ad entrare in crisi il ruolo dell’intellettuale elaborato dalla cultura cortigiana del rinascimento senza però che vi siano delle alternative.