ANALISI DEL TESTO GELSOMINO NOTTURNO

ANALISI DEL TESTO GELSOMINO NOTTURNO


“Il gelsomino notturno”, incluso nell’edizione dei Canti di Castelvecchio del 1903, rappresenta uno dei più significativi e complessi risultati del simbolismo pascoliano. In questa seconda raccolta poetica se da un lato sono ripresi il motivo naturalistico e famigliare, già ampiamente sviluppati in Myricae , dall’altro, si evidenzia il tentativo della ricerca di una liricità più distesa. Nella prefazione i Canti di Castelvecchio sono definiti dallo stesso autore “myricae” (citazione ripresa dalla IV ecloga virgiliana, ma in opposizione ad essa: se il poeta latino voleva innalzare il tono della sua poesia in quanto “…non omnes arbusta iuvant, humilesque myricae”, Pascoli considera le umili piante come il simbolo delle piccole cose, oggetto della sua lirica) quasi a stabilire una continuità di fondo tra le due raccolte. Forse il venir meno di un certo frammentismo e il recupero, a partire dal titolo, dei “Canti” leopardiani, in particolare con la ripresa del motivo della ricordanza e del rapporto uomo-natura, costituiscono, insieme alla ricerca di una musicalità più complessa e al tentativo di audaci sperimentazioni metriche, i tratti distintivi della raccolta. Questa poesia fu composta in occasione delle nozze di un intimo amico di Pascoli, dato senza il quale i versi sembrerebbero una serie di notazioni impressionistiche, ispirate ad una situazione notturna e senza alcun legame tra loro. Si tratta, come alcuni critici hanno evidenziato, di un moderno epitalamio, in cui la narrazione dei piccoli eventi naturali che si susseguono dal crepuscolo fino all’alba, allude, simbolicamente e con estrema delicatezza, ma anche in maniera turbata e inquieta, alla prima notte di nozze dei due giovani sposi e al concepimento del loro primogenito cui verranno imposti i nomi di Dante Gabriele Giovanni. Al di là dell’occasione, l’importanza del testo e il suo valore semantico risiedono in un’alternanza di detto e non detto, in un continuo e sinestesico rimandarsi di vari elementi tra loro (oggetti, suoni, odori), in un segreto e misterioso legame tra immagini (la casa, il fiore, i morti, il nido) in cui il riferimento a traumi individuali è elemento imprescindibile per la comprensione della poesia. Questa è sorretta da una fitta rete di significati simbolici all’interno della quale si instaura da un lato una corrispondenza fra il ciclo erotico della natura e la notte nunziale, dall’altro un sistema di opposizioni tra le quali emerge, in particolare, quella tra casa nunziale e “nido”, inteso come forma di regressione infantile e consolatoria che segna l’esclusione dalla vita adulta. La narrazione lirica, dietro l’apparente facilità della poesia pascoliana, risulta scandita in tre momenti corrispondenti a distinti blocchi di significato: la rappresentazione notturna con la simbolica apertura del gelsomino (strofe 1-2); il processo di fecondazione, attraverso l’immagine vegetale, allusiva di un altro rito, cioè quello che si svolge nel mondo umano (strofe 3-5); la chiusura, all’alba, dei petali del fiore, segno della compiuta fecondazione(strofa 6). L’incipit (  E s’aprono…) sembra, per la presenza della congiunzione, far riferimento ad una meditazione già avviata dal poeta quando, all’imbrunire, i gelsomini aprono la loro corolla e lui ripensa ai suoi cari defunti di cui le  farfalle crepuscolari rappresentano una simbolica allusione. E’ già qui, tutto presente, per quanto velato da un forte simbolismo, il contrasto vita-morte: di notte, simbolo della morte, i gelsomini aprono la loro corolla, per un processo di fecondazione simbolo della vita, ed il pensiero del poeta va, per analogia e per contrasto, a quello dei suoi familiari scomparsi. La sera, con l’oscurità, porta il silenzio e il riposo ( Da un pezzo si tacquero i gridi…), solo in una casa, rispetto alla quale il poeta è esterno (), qualcuno è ancora sveglio e parla a bassa voce (…bisbiglia…) in un’atmosfera di affettuosa protezione, rappresentata dal nido (Sotto l’ali dormono i nidi…”), rifugio per eccellenza. Quando tutto sembra dormire i gelsomini si aprono emanando un profumo che ricorda quello delle fragole mature mentre, al primo piano della casa (… nella sala…) una luce ancora accesa testimonia che i due giovani sposi sono ancora svegli. Se da un alto, dunque, emerge la corrispondenza tra fecondità naturale e fecondità domestica, dall’altro, la continuazione della vita, rappresentata dalla lampada accesa ( Splende un lume…), si contrappone,  nuovamente, anche se solo per un attimo, ad un’immagine mortuaria, all’interno della quale è possibile, tuttavia, notare un richiamo contrastivo alla vita reso dall’immagine dell’erba che nasce sulle  fosse , cioè sulle tombe. In un primo momento la rappresentazione del mondo notturno si estende, simbolicamente e per analogia, all’ape che, ritorna tardi al suo alveare, luogo fecondo e vitale per eccellenza, non riesce ad entrarvi e, quindi, vi sia aggira intorno col suo ronzio. Successivamente, attraverso un gioco di parole e in un’apparente continuità semantica col mondo animale, il poeta fa riferimento alla costellazione delle Pleiadi comunemente chiamata, nel mondo contadino, “ Chioccetta”. Il fanciullino pascoliano sviluppa, dunque, in un’immagine giocosa, la metafora iniziale: l’aia azzurra è il cielo, mentre le stelle pigolano per analogia con i pulcini ,laddove il pigolio, oltre ad assumere un valore onomatopeico attraverso un rapporto analogico basato su una somiglianza di significante, richiama il luccichio. In questa atmosfera suggestiva e onirica, mentre il profumo inebriante dei gelsomini viene diffuso (…s’esala…) dal vento per tutta la notte, la luce, prima accesa nella sala, si sposta su per la scala al secondo piano, quindi alla camera da letto, dove i due sposi si congiungeranno e genereranno una nuova vita. Il brillare e poi lo spegnersi della luce è seguito dai puntini di sospensione che indicano un’ interruzione intenzionale della frase per cui viene affidato al lettore il compito di completarne il senso in riferimento all’intimità della situazione. La strofa finale, con il sopraggiungere delle prime luci dell’alba allude all’avvenuto concepimento nell’ambito di un ulteriore e non detta corrispondenza tra la fecondazione del fiore e quella della giovane sposa: la chiusura dei petali, un poco gualciti, dentro l’ovario del fiore umido e nascosto e il maturare al suo interno del polline che lo ha fecondato assume, metaforicamente, il valore di una promessa di vita anche per i giovani sposi. Non sfugge, d’altro canto, che proprio nella sua conclusione e in immediata continuità con l’immagine del fiore che invita all’amore, la lirica richiama nuovamente il motivo della morte, per l’ambiguità di senso che reca con sé l’utilizzo della parola  enigmaticamente riferita da un lato alla corolla chiusa in quanto fecondata, dall’altro all’urna cineraria e quindi al suo uso poetico per tomba o sepolcro. Il titolo della lirica anticipa una delle parole chiave della poesia e, nello stesso tempo, prelude ossimoricamente, nella iunctura indeterminata e analogica con l’aggettivo notturno, a quel filo lirico connesso con l’area semantica della morte. Sembra, tuttavia, precaria ogni distinzione di confine tra area semantica positiva e negativa nel senso che le immagini del fiore, dei morti, della casa, del nido si alternano secondo un principio di immediata contiguità per cui il quadro notturno, apparentemente idillico e armonico, nasconde segrete tensioni. Il senso del mistero si esprime sia attraverso una serie di analogie simboliche che attraverso un gioco sonoro con il quale il poeta sembra disperdere nei versi i fonemi che compongono la parola “urna”. A prescindere dal v.3 in cui al termine tecnico viburni relativo al mondo naturale sembra essere assegnata una funzione eminentemente rivelatrice, è possibile schematizzare la scomposizione di “urna” in allitterazioni e consonanze conseguenti: U ( nottUrni, crepUscolari, lUme),R ( apRono, caRi, faRfalle, gRidi, doRmono, odoRe, eRba, taRdiva, nottuRni, vibuRni, sussuRra, azzuRra), N (Nidi, Nasce, Notte, priMo, Nuova), A ( trovAndo). Il fonosimbolismo pascoliano valendosi, dunque, di un linguaggio in cui i suoni sono di per sé carichi di significato conferisce autonomia al significante ed instaura relazioni foniche tra le varie immagini, sovente rappresentate da parole onomatopeiche (bisbiglia, esala, sussurra, pigolio). A livello metrico-ritmico l’impiego del novenario, non molto usato nella nostra tradizione lirica e letteraria e ripreso proprio da Pascoli, conferisce alla poesia un ritmo lento e spezzato determinato da pause e da una fitta interpunzione quasi che l’autore fosse alla ricerca di una musica franta, intima, espressione dolorosa dell’esclusione dell’io lirico dalla possibilità di un rapporto amoroso, esclusione simbolicamente rappresentata dall’ape tardiva che non è riuscita ad entrare nell’alveare, metafora della vita adulta. Il testo risulta diviso in sei strofe costituite da quartine a rima alternata(ABAB) ciascuna delle quali è scomponibile in due novenari dattilici e due trocaici sempre divisi, tra l’altro, dal segno di interpunzione. Si notino, inoltre, gli enjambement il cui uso conferisce un singolare rilievo alle parole divise che, isolate, dilatano il ritmo e creano una particolare atmosfera, e le sinalefi che contribuiscono a determinare quella situazione di immediata contiguità fra le immagini. Rispetto alla lingua della tradizione si rileva, da un alto un atteggiamento di evasione attraverso il preziosismo delle voci tecniche o popolari relative al mondo della natura, dall’altro, sebbene in misura minore, un atteggiamento di ritegno attraverso il ricorso a termini aulici ( crepuscolare, esala, tardiva, gualciti, urna): tuttavia, in entrambi è lo scarto dalla norma a valere da parametro in quanto l’esercizio del privilegio linguistico è espressione di quel privilegio conoscitivo teorizzato nel “ Fanciullino”. Da un punto di vista retorico occorre evidenziare una serie di figure di ordine: la frequente inversione (vv 1-3-5-7-11-12-19-20-21-22) che rovesciando il normale ordine sintattico, sottolinea la valenza semantica dei predicati; il chiasmo presente ai vv 7-8 che, collegando tra loro le ali e le ciglia e i nidi e gli occhi, produce una significativa modulazione musicale e sottolinea, dopo il riferimento alla casa, l’importanza che il luogo chiuso assume nell’immaginario poetico pascoliano che qui, tra l’altro, fa ricorso a figure di significato come la metonimia al v 7 e la sineddoche al v 8; l’anafora( là…là- sotto…sotto- si esala l’odore…si esala l’odore-passa…passa) che ha la funzione di rimarcare, enfaticamente alcune immagini; l’uso, infine, dell’asindeto che, sopprimendo i legami di congiunzione e sostituendoli con i segni di interpunzione, crea delle pause di carattere allusivo all’interno di un susseguirsi di sensazioni visive, olfattive e acustiche il cui movimento è dato dalla contiguità degli accostamenti e da un gioco di dissolvenza. Il  Gelsomino notturno risulta intriso di una serie di figure di significato in cui è predominante l’aspetto simbolico e metaforico ravvisabile nelle ipallagi ai vv 1-4(…fiori notturni…farfalle crepuscolari), nell’antitesi che si instaura tra il silenzio notturno e il bisbiglio degli sposi nella casa; nella metonimia del v 5 che sostituisce il contenuto con il contenente; nella sinestesia che si instaura tra il colore rosso delle fragole e l’odore dei fiori allo stesso modo in cui la visione del luccichio delle stelle si trasforma in un pigolio; infine nell’immagine tutta metaforica dell’ultima strofa che ruota intorno all’uso del termine urna. Ricorre, inoltre, l’antitesi nell’accostamento dentro/fuori, chiuso/aperto, vita/morte: in particolare quest’ultima coppia antitetica ci conduce ala considerazione della funzione inibitrice dei morti nella poesia pascoliana, espressione di un continuo pericolo che mette a repentaglio lo stesso soggetto individuale facendone un escluso ed impedendogli di realizzarsi, al di là del nido, attraverso una vita adulta di relazione.

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