RICERCA SUGLI ETRUSCHI
RICERCA SUGLI ETRUSCHI
RICERCA SUGLI ETRUSCHI
Gli Etruschi furono un popolo dell’Italia antica, di lingua non indoeuropea e di origine incerta, affermatosi in un’area denominata Etruria, corrispondente all’incirca alla Toscana, all’Umbria fino al fiume Tevere e al Lazio settentrionale. Successivamente si espansero a nord nella zona padana (attuali Emilia-Romagna, Lombardia sud-orientale e parte del Veneto meridionale) e a sud fino in Campania.
La civiltà etrusca ebbe una profonda influenza sulla civiltà romana, fondendosi successivamente con essa al termine del I secolo a.C. Questo lungo processo di conquista e assimilazione culturale ebbe inizio con la data tradizionale della conquista di Veio da parte dei romani nel 396 a.C.
Le origini degli etruschi rimangono oscure; già nell’antichità esistevano diverse ipotesi in merito: lo storico greco Erodoto asseriva che provenissero dalla Lidia, regione dell’Asia Minore occidentale e a favore di questa tesi stanno una stele commemorativa egizia del XIII sec. e la lingua da loro parlata. La stele, che ricorda la battaglia del faraone Ramesse II contro i popoli di mare, diche che tra questi ve ne era uno chiamato teresh o tutsha, nomi che sono stati messi in relazione con il termine “etruschi”. Gli Etruschi inoltre non parlavano una lingua della famiglia indoerupea, e questo ha fatto pensare a una loro origine diversa da quella di altri popoli italici.
Questa ipotesi venne accolta in seguito sia da Livio sia da Polibio; Dionigi di Alicarnasso, invece, sosteneva che gli etruschi fossero una popolazione indigena dell’Italia, erede di altri popoli fioriti nella penisola italiana in epoche precedenti; sarebbero stati quindi autoctoni, cioè nati dalla terra in cui risiedevono; a sostegno di questa tesi vi è il fatto che gli Etruschi chiamavano se stessi rasenna, un nome che fa pensare a quello dei raeti, una popolazione alpina sicuramente autoctona. Gli studiosi moderni hanno valorizzato entrambe le tradizioni ed hanno gettato una nuova luce sulla più antica storia etrusca.
Probabilmente c’è del vero in ognuna nel senso che dall’Asia Minore si effettuò un’immigrazione in Toscana di gruppi isolati, apportatori di una civiltà evoluta, attratti dalle ricche miniere della regione, e questo spiegherebbe l’improvviso esplodere della civiltà etrusca tra il secolo VIII e il VII a.C. e le molte affinità che si rilevano nei costumi, nella lingua, nell’arte e nella religione degli Etruschi con il mondo egeo-anatolico. In Toscana tali gruppi si sovrapposero, sfruttandone, valorizzandone, stimolandone le energie latenti, sugli elementi, che conoscitori del ferro, vi erano giunti dal Nord o dall’opposta sponda adriatica verso il 1000 ca. a.C., sovrapponendosi a loro volta agli abitanti insediati nella regione fin dall’età neolitica. Gli Etruschi quindi possono essere risultati dalla fusione di tre componenti etniche, quella orientale, quella nordica, quella autoctona, cioè costituirono un popolo del tutto nuovo.
VICENDE STORICHE
I dati archeologici consentono di collocare l’”inizio” della storia degli Etrusci nel IX secolo a.C. A partire da tale periodo (denominato villanoviano) cominciarono a formarsi le citta-stato, si ebbe un notevole salto di qualità nelle attività produttive, e iniziò ad affermarsi la proprietà privata della terra.La società rimase comunque sostanzialmente equalitaria come si può dedurre dai pochi oggetti di corredo, che accompagnavano le depopsizioni. Presenze villanoviane sono state individuate nell’Etruria propria (delimitata a sud dalla riva destra del Tevere, a est dai rilievi appenninici, a nord dalla riva sinistra dell’Arno e a ovest dal Mare Tirreno), nell’area padana, in Campania nelle zone di Capua e Salerno, e a Fermo nelle Marche. Il secolo successivo fu segnato dall’inizio della colonizzazione greca dell’italia meridionale. Il contatto con una civiltà più strutturata fece da volano allo sviluppo delle aree d’influenza vaillanoviana.
L’evoluzione è avvertibile in modo particolare nei centri costieri dll’Etruria meridionale, che controllavano l’accesso alle zone minerarie di Vetulonia e Populonia, alle quali erano interessati i Greci. I mutamenti intercorsi divennero evidenti nell’età cosiddetta orientalizzante (730-580 aC.): si coglie l’esistenza di centri primari e secondari, di “principi” e di “servi”. Le confederazioni si fecero opulente per i prodotti delle terre circostanti, coltivate specialmente a frumento, vennero introdotte le colture dell’olivo e della vite; fiorenti furono gli allevamenti di animali, esperienze tecnologiche d’avanguardia entrarono in possesso degli artigiani e grazie alle miniere e ai traffici, riuscirono ad affermarsi rapidamente , creando grande prosperità dappertutto, così da condizionare, a Nord l’espansione nella valle padana, dove si affermarono specialmente le città di Felsina (Bologna) e Marzabotto, collegate verso l’Adriatico, con Spina, mediatrice degli influssi del mondo greco, e propizianti da nord il ricco commercio dell’ambra e dello stagno; a Sud la supremazia nel Lazio e la forte presenza in Campania; sul mare la gara serrata con le marinerie cartaginesi e greche.
Anche se Roma non fu mai in stabile dominio etrusco, tuttavia la Dinastia dei Tarquini, re di provenienza etrusca, riflette il prestigio e l’importanza delle città etrusche meridionali , con tante tracce incancellabili lasciate nella religione, negli usi, istituti, edifici di Roma, largamente confermate anche dall’archeologia.
Il massimo di prosperità ed espansione fu raggiunto dagli Etruschi verso la metà del sec. VI a.C., tanto che, nel 535, alleati dei cartaginesi, sconfissero nella battaglia di Alalia, davanti la Corsica, i Focesi di Marsiglia, potentissimi sul mare. Il loro arresto cominciò invece sul finire del secolo e fu seguito dal declino nel secolo V a.C. Prima fu Roma a liberarsi della loro supremazia con la cacciata, verso il 510, dei Tarquini; poi se ne liberarono i Latini, che, sostenuti da Aristodemo di Cuma, ad Aricia, nel 506, li sconfissero in battaglia.
Gli avamposti degli Etruschi in Campania rimasero così isolati e si indebolirono dopo la sconfitta navale che essi subirono a Cuma nel 474, andando del tutto perduti nel 423 con la conquista di Capua da parte dei Sanniti.
A nord la discesa dei Galli travolse i centri etruschi della Valle Padana all’inizio del secolo V a.C. Nel 396 Roma conquistava Veio estendendo la sua influenza su tutta l’Etruria meridionale. Per più di due secoli gli Etruschi ostacolarono l’ulteriore espansione romana. Nel 295, coalizzati con gli Umbri, i Galli e i Sanniti, furono sconfitti dai Romani in una grande battaglia a Sentino: nel giro di qualche decennio furono completamente assoggettati da Roma che li incluse, mediante trattati particolari, nella serie dei suoi alleati nella penisola, finchè non concesse loro la cittadinanza romana con la guerra sociale del 90 a.C. Nonostante la perdita dell’autonomia politica, gli Etruschi continuarono però a esercitare in seguito una grande influenza in Italia, sul piano culturale, religioso e artistico.
Roma, che sotto Augusto aveva fatto dell’Etruria la settima regione d’Italia, assorbì molto da essi nelle istituzioni, nei modi di vita, nella lingua, nei gusti, l’amore per il lusso, i banchetti, le danze, la musica, come si trova attestato nelle pitture tombali. Lo spirito creativo del popolo etrusco (l’abile artigianato, la tecnica approfondita) riemergerà dopo molti secoli nella Toscana dell’età rinascimentale.
La lingua e l’alfabeto.
Non meno incerti e contraddittori sono i risultati a cui sono giunti gli studiosi riguardo alla scrittura e alla lingua degli Etruschi, solo su un punto sembra che si sia ormai concordi, nel ritenere cioè la lingua etrusca come non appartenente al ceppo indoeuropeo.
Il materiale documentario per lo studio di questi due problemi è molto ricco e ci è fornito da numerose iscrizioni, circa 9000, dipinti o graffite o incise su terracotta, su metallo, su tavolette d’argilla, su roccia, la maggior parte trovate nell’Etruria propria, ma in parte anche in altri territori su cui si estendeva la popolazione etrusca.
Si tratta però, in grande maggioranza, di brevi e semplici epigrafi funerarie nelle quali non compare altro che il nome del defunto, con l’indicazione dei suoi rapporti di parentela e gli anni di vita, oppure di iscrizioni votive.
Ben poche sono le iscrizioni di una certa ampiezza, circa una decina, il fegato di bronzo rinvenuto a Settima (nel Piacentino)in cui sono incisi i nomi degli dei e le partizioni della volta celeste, tre lamine di piombo trovate a Magliano (Grosseto), a Volterra, a Monte Rabbi, la toga dell’Arringatore del Museo Archeologico di Firenze. Più significativi sono:
– la tegola di Santa Maria Capua Vetere ora a Berlino, la quale in realtà è un calendario rituale, inciso prima della cottura su una lastra di terracotta, il cui testo presenta una scrittura continua, senza divisioni fra parole e sembra databile nel V secolo a.C.;
– un cippo di forma parallelepipeda rinvenuto nelle vicinanze di Perugia che riporta una lunga iscrizione, distribuita su 45 righe. Il documento costituisce la versione monumentale di un documento privato redatto fra la famiglia perugina dei VELTHINA e quella chiusina egli AFUNA.
– le preziose laminette auree del Santuario di Pyrgi (Santa Severa) su cui è riportata la dedica in etrusco e in fenicio di un’ara sacra a UNI 8Guinone) da parte di THEFARIE VELIANAS regnante su CAERE.
– Il testo di gran lunga più ampio a noi pervenuto è il LIBER LINTEUS. Il manoscritto, acquistato dal collezionista Michael de Baric in Egitto, tagliato in strisce, era stato impiegato per avvolgere la mummia di una donna: il riutilizzo lo ha conservato. Il collezionista , tornato in Europa, portò la mummia con sé per arricchire la propria raccolta, che poi lasciò in eredità al Museo di Zagabria, dove è ancora conservata. Successivamente le bende vennero riaccostate e riconosciute come parti di un libro di lino scritto in etrusco . Il contenuto concerne testi e prescrizioni di carattere sacro redatte in forma di calendario; per il luogo della redazione si è pensato a Volterra, o a un’area situabile fra Perugia, Cortona e il Lago Trasimeno.
L’alfabeto etrusco, nella sua forma più antica, comprende 26 lettere, e 20 in quella più recente. Ricalca quello greco-occidentale trasmesso in Italia dai Calcidesi, i Greci che avevano colonizzato il golfo di Napoli intorno alla metà dell’VIII sec. A.C. Di questo alfabeto gli Etruschi non utilizzarono la lettera beta, delta, omicron e samech.
La diversità della grafia di alcune lettere consente di distinguere almeno due diverse aree di scrittura: una settentrionale e una meridionale includente anche Volsinii e Vulci.
Con il passare del tempo i sistemi si semplificarono e alcuni segni caddero in disuso sia a nord che a sud.
Un’altra particolarità è rappresentata dall’andamento della scrittura: l’etrusco è scritto, di regola, da destra verso sinistra.
L’introduzione della scrittura rappresentò un ulteriore fattore discriminante nella società , già divisa nettamente in classi, il suo uso appare ristretto alla classe dominante, ma in seguito fu diffusa e insegnata raggiungendo gli ambiti religiosi e civili, coinvolgendo fasce più ampie di popolazione.
La struttura politica e sociale della società etrusca
Si conosce poco dell’organizzazione delle singole città etrusche, è stato ipotizzato che i guerrieri a capo delle famiglie aristocratiche abbiano conquistato le aree divenute in seguito sede di città indipendenti, ciascuna controllata da un proprio re. Di conseguenza, l’Etruria non raggiunse mai una reale unità nazionale, anche se ogni città colonizzò il territorio circostante e spesso strinse alleanze sia con altri centri etruschi sia con comunità esterne. La storia della regione dimostra come ogni singolo centro rispondesse ai periodi di crisi in termini ritenuti favorevoli alla propria sopravvivenza, senza riguardo agli interessi dei vicini.
Sin dalle origini comunque la società etrusca appare dominata da un’aristocrazia saldamente ancorata al potere, che esercitava uno stretto controllo sull’attività politica, militare, economica e religiosa della comunità.
La forma di governo peculiare dell’Etruria fu quella della città-stato, di cui alcuni re raggiunsero i loro obiettivi politici grazie all’abilità militare.
Le città-stato indipendenti, stringevano continuamente alleanze fra loro a scopo politico ed economico, mentre più stretti vincoli venivano rafforzati mediante matrimoni dinastici.
Tre diverse confederazioni emergono dalla storia etrusca quella del nord, del sud e del centro della regione ciascuna composta di dodici città. La sola confederazione che ebbe una certa importanza storica fu quella del centro: si trattava di una non ben definita organizzazione politico-religiosa, che aveva il proprio centro religioso nel santuario della dea Voltumna, dominante il lago di Volsini (oggi di Bolsena) nel Lazio; esso rivestiva funzioni abbastanza limitate, che avevano un carattere più religioso che politico.
Non ci è giunto nessun elenco ufficiale delle dodici città-stato confederate nel centro dell’Etruria; i loro nomi si possono comunque dedurre dalle informazioni che ci danno Livio, Dionigi di Alicarnasso e Diodoro Siculo: Arretium (Arezzo), Cerveteri, Clusium (Chiusi), Cortona, Perusia (Perugia), Populonia, Rusellae (Roselle), Tarquinii (Tarquinia), Veii (Veio), Vetulonia, Volaterrae (Volterra), Vulci.
Dai ranghi dell’aristocrazia che governava ciascuna città venivano eletti annualmente dei magistrati, noti col nome di lucomones, un termine che potrebbe essere tradotto con signore o principe. Esso era capo dell’esercito, supremo giudice e sommo sacerdote.
Il cuore della vita politica era nei centri urbani, in cui si trovavano le botteghe degli artigiani, si tenevano i mercati; qui la popolazione doveva essere ripartita in tribù o in quartieri; da qui gli aristocratici dominavano le campagne.
Le campagne erano abitate da una classe di proletari formata dalla parte della plebe nullatenente che non era riuscita ad entrare nel ceto borghese, alla quale corrispondeva la servitù della gleba , organizzata in comuni rustici dipendenti dai maggiori centri cittadini.
Essi erano in uno stato “fra liberi e schiavi”, potevano avere il possesso della terra, che lavoravano per conto del padrone, e di altri beni, tipo le case attrezzate, ma erano esclusi dall’esercizio delle cariche pubbliche, dal commercio, dal connubio con le classi agiate e dal militare nell’ esercito.
Dell’ordinamento militare sappiamo molto poco, ma si ritiene che l’esercito dei singoli stati fosse costituito da leve della classe agricola o plebea, eseguite dai principes ai quali erano riservati i gradi militari.
La fanteria costituiva il fondamento dell’esercito, le cui armi più importanti erano rappresentate dalla lancia e dall’ascia da combattimento (quest’ultima usata sia come arma da lancio sia per colpire); erano impiegati anche l’arco e il giavellotto, trovati di frequente insieme a frecce nelle deposizioni tombali. Elmi e scudi di varie fogge risentono dei modelli greci e nordeuropei, mentre le spade (rare) costituivano probabilmente una merce assai pregiata.
La cavalleria rappresentava con ogni probabilità un importante settore dell’esercito (carri da combattimento sono stati trovati nelle camere mortuarie più ampie). La marina fu piuttosto potente e dominò il Mediterraneo per almeno due secoli. Nella vita domestica e nella famiglia etrusca la donna aveva una parte preponderante e tanto dalla letteratura, quanto dalla tradizione figurata è messa in evidenza la posizione elevata della madre di famiglia nella vita sociale degli Etruschi. La donna è compagna del marito nei lieti banchetti, ma partecipava anche agli spettacoli, ai ludi ginnici e ai combattimenti dei gladiatori; sullo stesso letto funebre i coniugi sono raffigurati adagiati insieme come a un banchetto in molti monumento sepolcrali. Saldo era il vincolo che stringeva i vari membri della famiglia, almeno di quelle nobili; i diritti familiari erano riservati al primogenito, detto dagli scrittori latini princeps, a cui spettava il privilegio di partecipare alla vita pubblica dello stato.
Era tramandato di generazione in generazione il patrimonio concernente le proprietà e le ricchezze, quanto quello relativo alle tradizioni genealogiche e domestiche.
Vi era negli Etruschi, specialmente nelle donne, un amore spiccato per gli ori e per i gioielli. Le pitture delle tombe mostrano i servi al lavoro seminudi e i banchettanti vestiti con abiti eleganti. L’abbigliamento etrusco è simile a quello greco; i tessuti preferiti erano la lana, generalmente molto colorata, e il lino usato nel colore naturale. Abiti unisex accanto ad altri tagliati espressamente per uomo o per donna sono presenti in Etruria. Un indumento solo maschile era il perizoma, simile a dei calzoncini, mentre la lunga tunica, decorata a scacchi e losanghe, poteva essere indossata indifferentemente da entrambi i sessi. Le donne portavano pure un chitone di lunghezza intermedia, con lunghe maniche. Gli Etruschi ci appaiono amanti della vita gaia e spensierata, dei lieti banchetti e delle danze sfrenate; al loro amore per gli esercizi di forza e di destrezza si aggiungeva la passione per la caccia, e allora la selvaggina doveva essere abbondante sulle pendici dei colli e dei monti non meno che nelle boscose bassure della Toscana marittima. Sono sempre le immagini presenti sulle pareti delle tombe dipinte a fornire informazioni sui giochi praticati; essi si tenevano sia in occasione di alcune ricorrenze sia durante le esequie funebri di persone particolarmente importanti.
I giochi comprendevano corse di carri e cavalli, gare di atletica leggera (lancio del disco e del giavellotto, salto in alto e corsa) e incontri di lotta e pugilato. Sono inoltre documentate le danze, le esibizioni di acrobati e giocolieri, il tiro della fune e l’arrampicata del paolo. Una competizione più cruenta vedeva come protagonisti un personaggio mascherato, denominato phersu, che aizzava un cane contro un uomo incappucciato e armato di una clava. I dadi erano tra i passatempi più apprezzati.
Le fonti letterarie antiche testimoniano un grande amore per la musica: Aristotele afferma che essi praticavano il pugilato, frustavano i servi e cucinavano al suono del flauto. Eliano, nella sua opera “La storia degli animali” ricorda che ricorrevano all’aiuto della musica pure per catturare i cinghiali e i cervi.
INDUSTRIE, COMMERCI, CIVILTA’
L’Etruria si collocava nel cuore dei contatti commerciali stabiliti dai mercanti che, dall’Oriente mediterraneo, giungevano nella penisola italiana. L’evidenza archeologica mostra che i primi a raggiungere la regione furono i fenici, probabilmente nell’VIII secolo a.C., in cerca di nuove materie prime, come i metalli non lavorati, e forse la lana e il cuoio, che scambiavano con prodotti finiti provenienti dal Medio Oriente. L’Etruria era ricca di metalli, specialmente di rane e di ferro, provenienti dall’isola d’Elba. Né mancava lo stagno, necessario per la fabbricazione del bronzo: Gli Etruschi si dimostrarono abili metallurgici e valenti fabbri, sicchè i prodotti che uscivano dalle officine di Populonia, Arezzo, Cortona e Perugia ebbero fama e diffusione fino tra le popolazioni barbariche d’oltralpe.Non pochi bronzi etruschi pervenuti fino a noi rappresentano veri capolavori; similmente seppero lavorare con finezza di esecuzione l’argento e l’oro, producendo svariati oggetti, fibule, spilloni, schienali, fermagli, collane etc.. Accanto alla metallurgia si svilupparono le industrie del legno e della pietra di cui era ricca l’Etruria, alabastro, marmi, travertini, tufi. Vanno ricordate l’industria delle costruzioni navali e quella degli strumenti musicali, favorite dall’abbondanza di legname dell’Etruria interna e costiera, ricca di faggi, pini, abeti e dallo sviluppo della marina etrusca sia mercantile, sia da guerra. Non abbiamo particolari informazioni sull’industria dei mobili e su quella dei tessuti, che pure dovevano essere molto sviluppate data l’abbondanza e la varietà degli abbigliamenti e il lusso delle case e delle mense, testimoniatoci dalle pitture e dai rilievi tombali.
L’agricoltura ebbe presso gli Etruschi un notevole sviluppo, sia per la naturale fertilità del paese, sia per l’abilità idraulica di questo popolo, che aveva bonificato la regione costiera, canalizzando le acque della Val di Chiana, bonificata parte delle terre del delta e della pianura del Po. Si aveva così una ricca produzione di cereali, di vini, di olio e di castagne, ecc.. Nelle regioni scarse di acqua. In corrispondenza con questa attività industriale non poteva mancare un adeguato sviluppo del commercio, con gli altri popoli d’Italia e dell’Europa media, con i Greci, con i Fenici e con i Cartaginesi. L’importanza e l’ampiezza del commercio fecero sentire in bisogno di monete e di un proprio sistema di pesi e di misure. Per le monete si usò il metallo grezzo (aes rude), al quale fu sostituito l’aes signatum formato da pezzi di bronzo di forma quadrilatera con sopra linee o simboli vari. Nel secolo V cominciarono a usarsi le prime monete d’oro e d’argento, nel secolo IV si ebbero monete coniate dalle due facce, con impressi i nomi delle città etrusche più importanti. Nel campo dell’ingegneria e della tecnica idraulica compirono importanti progressi a vantaggio dell’agricoltura, con lavori di prosciugamento e d’ irrigazione; così nelle costruzioni murarie, erigendo poderose cinte di mura con blocchi di pietra per difendere la città. Maestri furono nella costruzione di ponti, per la quale presero ad applicare la volta, che è una delle caratteristiche più spiccate della loro arte costruttiva.
La religione Gli Etruschi ebbero fama di essere popolo religiosissimo, Tito Livio, storico romano vissuto tra il I sec. a.C. e il I d.C. lo definì “Popolo che più di ogno altro era dedito alle pratiche religiose, tanto più che eccelleva nell’arte di celebrarle….” Anche questo aspetto della società etrusca fu influenzato dalla cultura greca, pur rilevando nella religiosità etrusca chiare differenze qualitative rispetto a quella greca. Nella religione greca e poi in quella romana, il protagonista è sempre l’uomo, mentre in Etruria la divinità sembra sempre imporsi in modo conclusivo.
I Romani notarono il fatto che gli Etruschi avevano disposto le loro divinità secondo un ordine gerarchico, al vertice del quale si trovava una triade celeste, formata da Tinia (Giove), Uni (Giunone ) e Menrva (Minerva) a cui in ogni città dovevano essere dedicati tre templi a triplice cella. Analogamente si aveva una triade infernale composta di Mandus (Bacco), Mania e di una terza divinità femminile, Persiphersipnei (Persefone) o forse Serfue (Cerere); i nomi delle divinita costituenti la triade celeste risultano dal famoso fegato di bronzo di Piacenza, diviso in tanti compartimenti, in correlazione alla suddivisione della volta celestre, in cui si riteneva che la divinità dominasse. Tinia, identificato col romano Giove e col greco Zeus, era il dio supremo, che governava il mondo affiancato da due consessi divini: gli dei consentes, in numero di 12 e gli dei detti involuti (segreti) dagli autori latini, in quanto non se ne conosceva né il numero né il nome. Varrone indica in Vertumno (identificabile con il Voltumna delle iscrizioni etrusche) il dio supremo, ma o si tratta di un epiteto di Tinia, o Vertumno ebbe una supremazia di tipo politico e limitata alle città dell’Etruria meridionale che, riunite in lega, tributavano a questo dio un culto comune. Tinia manifestava la volontà degli dei soprattutto per mezzo delle folgori, che venivano interpretate da speciali indovini detti probabilmente trutnvt. La scienza di questi indovini era raccolta in libri detti dai latini “folgorali” ispirati, secondo il mito, dalla ninfa Vegoe. La volontà degli dei veniva letta anche nelle viscere degli animali sacrificati, da indovini chiamati probabilmente netsvis. La scienza degli aruspici era raccolta nei Libri haruspicini che un mito attribuiva a Tagete, eroe culturale etrusco. Tra i visceri osservati aveva un’importanza particolare il fegato, la cui osservazione veniva insegnata anche mediante modelli (p. es. il Fegato di Piacenza, un modello in bronzo che riproduce schematicamente il fegato di una pecora, suddiviso in zone assegnate alle varie divinità). La sapienza sacerdotale etrusca era tramandata anche a mezzo di altri libri, chiamati dai Romani Libri rituales.
Essi contenevano la descrizione di riti purificatori, espiatori e di fondazione. Inoltre vi si raccoglievano predizioni sul destino degli uomini e delle città (i cosiddetti Libri fatales), nonché sul destino ultimo dopo la morte (Libri Acheruntici). Complesse erano le nozioni sull’oltretomba dominato dalla coppia Mantus-Mania e dalla loro corte di demoni, tra cui si ricorda Charun (il greco Caronte) raffigurato come un genio alato, dal naso adunco e armato di un maglio, e Tuchulcha dai piedi e dal becco di uccello rapace e dalle chiome serpentiformi. I morti, a mezzo di sacrifici offerti dai superstiti alle divinità infere, ottenevano da queste la sopravvivenza e diventavano dii animales (traduzione latina di un’espressione etrusca a noi ignota; forse dei fatti di “anima”, o derivati dalle “anime” dei morti); i Romani li equiparavano ai loro dei Penati. In funzione della sopravvivenza del morto va considerata la dovizia con cui si costruivano e si arredavano le tombe, che costituiscono la principale, se non l’unica, fonte di nuove informazioni sulla cultura etrusca.
Arte Molto esaltata nel 1700, al tempo delle prime importanti scoperte archeologiche, e considerata in seguito soltanto un fenomeno provinciale dell’arte greca, l’arte etrusca è stata rivalutata in questo secolo soprattutto per la sua “aclassicità” (cui non è certo estraneo il substrato italico della popolazione), testimoniata da un realismo espressionistico, a volte drammatico, dal quale emerge il carattere più tipico della visione d’arte degli Etruschi . L’arte etrusca, il cui corso, in base agli influssi provenienti prima dall’Oriente e poi dalla Grecia, si suole dividere in varie fasi (periodo delle origini o età villanoviana, periodo orientalizzante, periodo ionico e attico, periodo di mezzo, periodo ellenistico), ebbe la sua maggior fioritura nei sec. VII e VI a. C., con una ripresa dopo il sec. IV anche in coincidenza con la conquista romana. Essa presenta varie caratterizzazioni sia nelle sue diverse fasi, sia nelle diverse località (Chiusi è famosa per i suoi canopi arcaici e, nel periodo ellenistico, per le urne policrome; Tarquinia per le tombe dipinte scavate nella roccia; Cerveteri per i tumuli arcaici e le necropoli monumentali ; Palestrina per le ricche tombe orientalizzanti, ecc.). Le manifestazioni più importanti si ebbero nell’ambito del culto per l’aldilà, e architettura, pittura e scultura si associarono sovente nella realizzazione delle dimore funebri. Secondo la tradizione, i Romani appresero dagli Etruschi la costruzione di strade e fognature, l’uso dell’arco e della volta, l’architettura del tempio a tre celle, la forma dell’atrio detto tuscanico e di altri ambienti della casa patrizia, lo stesso impianto urbano e la divisione dei terreni (agrimensura). Ma le conoscenze delle città etrusche e dei loro monumenti sono piuttosto scarse. I templi erano sia del tipo descritto da Vitruvio, a tre celle e a largo impianto, sia a una sola cella.
Caratteristico dei templi etruschi è il rivestimento in terracotta policroma, che nella fase ionica, intorno alla metà del sec. VI a. C., presenta fregi continui a rilievo di ispirazione greco-orient. e grandi tegole terminali (Vignanello, Velletri); nella fase successiva ha, come a Veio nel tempio dell’Apollo (nonché a Falerii Veteres, Cerveteri, Satrico,
Tarquinia, Pyrgi), grandi acroteri figurati e antefisse a conchiglia; nella fase ellenistica è caratterizzato da grandi rilievi frontonali (Talamone, Luni, Civitalba). Le cinte murarie sono databili, in genere, tra il sec. VI e il IV a. C. Di età ellenistica sono le porte delle città, aperte ad arco (Volterra, Perugia), più volte riprodotte, insieme alle mura merlate, nelle contemporanee urnette funerarie. Ma, sono soprattutto le tombe, con le loro ricche suppellettili, con i sarcofagi scolpiti, con le pitture murali, a consentire di seguire l’evoluzione dell’arte etrusca, di individuarne i rapporti prima con l’Oriente e poi con la Grecia, di comprenderne le motivazioni e il significato. Le origini sono connesse (metà del sec. VIII a. C.) all’evoluzione dell’arte villanoviana, nota soprattutto dalle necropoli dell’Emilia, con lo sviluppo della lavorazione del bronzo e le prime importazioni dall’Oriente di scarabei egiziani, di figurine fenicie di terracotta invetriata, di paste vitree, di ornamenti d’oro a sbalzo e filigrana. Nel periodo orientalizzante (sec. VII a. C.), accanto a semplici tombe a fossa compaiono le tombe a corridoio o a camera (talora con copertura a falsa volta o a falsa cupola) e i grandi tumuli circolari. Ricchi i corredi funerari, tra cui eccezionali quelli delle tombe Regolini-Galassi di Cerveteri (Roma, Museo di Villa Giulia), Bernardini e Barberini di Palestrina (Roma, Museo Pigorini; Villa Giulia; Vaticano), del Circolo degli Avori alla Marsiliana d’Albegna (Museo di Firenze): grandi pettorali, fibule, armille auree, pettini e scatolette di avorio per uso personale, e inoltre calderoni di bronzo laminato su tripode e loro imitazioni in terracotta. Molto usate nell’oreficeria le tecniche della filigrana, della granulazione, del pulviscolo. Assieme a vasi importati da Rodi e Corinto si trovano vasi di imitazione, italo-geometrici ed etrusco-corinzi. A Chiusi compaiono i primi canopi e il bucchero, la caratteristica ceramica nera etrusca. Il periodo seguente (600-474 a. C.) è di influenza greca, prima ionica e poi attica. Direttamente dalla Grecia gli E. importarono per le loro tombe vasi a figure nere e rosse dei più noti maestri, mentre le anfore “pontiche” e le idrie ceretane sono probabilmente opera di artisti ionici immigrati. Nella plastica eccellono le grandi statue fittili del 500 a. C. ca. (Roma, Museo di Villa Giulia) del Tempio del Portonaccio di Veio il famoso Apollo , l’Ermete, l’Eracle, la Dea con bambino attribuite alla scuola di Vulca, il solo grande artista etrusco a noi noto dalla tradizione letteraria, chiamato a ornare il tempio di Giove Capitolino a Roma. Contemporaneo è il Sarcofago degli sposi di Cerveteri, dalla linea incisiva ed elegante, tra i più belli di un’ampia serie di opere analoghe ; l’inquietante espressione dei volti dei coniugi, in cui si rispecchia la consapevolezza di chi è ormai al di là del mistero della morte, si ricollega all’enigmatico sorriso dell’Apollo di Veio, che anche nella drammatica tensione interna evidenziata dalla voluta stilizzazione dei panneggi mostra l’originalità della scultura etrusca pur modellata sullo stile greco. Particolare importanza hanno i metalli lavorati, tra cui i bronzi laminati e decorati a rilievo di un carro da parata (musei di Perugia e Monaco), una lamina con amazzoni di argento e oro pallido (Londra, British Museum), i tripodi detti Loeb, forse ceretani (Museo di Monaco). Della zona di Chiusi sono diverse statue in pietra fetida, nonché rilievi su cippi, urne, sarcofagi. Degli ultimi decenni del sec. VI a. C. sono anche le più antiche tombe dipinte, soprattutto a Tarquinia, importanti per la conoscenza della vita e dei costumi etruschi. Alla più antica tomba dei Tori (ca. 530 a. C.) seguono quella degli Auguri, con crudeli scene di giochi funebri; della Caccia e della Pesca, con ampio motivo paesistico; del Barone, di compostezza pienamente greca. Il sec. V a. C. è caratterizzato in Etruria da un arcaismo attardato. Oltre a numerose pitture tombali (a Tarquinia le tombe delle Bighe, dei Leopardi, del Triclinio e la più tarda tomba della Nave; a Chiusi le tombe della Scimmia e del Colle) sono importanti le decorazioni fittili templari, tra cui quelle di Pyrgi (ca. 480-470 a. C.). Tra le statue bronzee, che le fonti ricordano numerose, famose la Lupa Capitolina e la Chimera di Arezzo (Firenze, Museo Archeologico) .
Nel sec. IV a. C., quando Roma inizia la conquista dell’Etruria, l’arte etrusca ha nuovo sviluppo attingendo in ritardo al classicismo greco; il filone popolare italico trova espressione in alcune figure della decorazione del tempio del Belvedere a Orvieto (350-330 a. C.). Di questo periodo sono i sarcofagi di Tarquinia, con la figura del defunto a tutto tondo distesa sul coperchio. Col sec. III a. C. inizia il lungo periodo ellenistico in cui, anche sotto il dominio di Roma, le fabbriche etrusche continuano a produrre, in forma quasi industrializzata, le numerosissime urnette di pietra e alabastro che a Perugia e a Volterra giungono fino all’età augustea, i sarcofagi di Tuscania, le diffuse terrecotte votive a stampo. Di maggior impegno sono gli altorilievi dei frontoni dei templi di Talamone, Luni e Civitalba con scene mitologiche e storiche (lotta coi Galli). Del sec. III a. C. è anche la famosa tomba dipinta François (Roma, Collezione Torlonia), con episodi dell’epopea etrusca. Tra le altre tombe ellenistiche si ricordano quelle tarquiniesi dell’Orco e degli Scudi, quella dei Rilievi a Cerveteri , del sec. III a. C., quella più tarda del Tifone a Tarquinia.
Ellenistici sono infine alcuni importanti ritratti bronzei, tra cui il famoso Arringatore (Firenze, Museo Archeologico) , con il quale l’arte etrusca mostra di essersi volta al potente realismo figurativo che sarà proprio dell’arte romana.