TEMA DELLA MORTE IN FOSCOLO
TEMA DELLA MORTE IN FOSCOLO
FONTE:http://maspo.altervista.org/temi.htm
Il sensismo e il materialismo del Foscolo lo portavano a negare l’esistenza di Dio, di una vita futura dell’anima, di ogni ordine provvidenziale dell’universo. Con questa concezione si apre il carme, proclamando l’ineluttabilità della morte, il nulla eterno, l’inutilità delle tombe. Ma proprio da questa visione desolata erompe, tenero e struggente, l’inno alla vita, alla bellezza della natura, alle gioie dell’amicizia e dell’amore, alla dolcezza delle illusioni, prima fra tutte la poesia, non solo quella che si esprime nel verso, ma anche quella che il poeta avvertiva nei suoi sentimenti più elevati; inno che esprime un’ansia d’eternità, un bisogno di essere e di durare oltre la parentesi breve dei giorni.
E questa illusione, ché tale appare alla luce della ragione, diviene anche l’incentivo che spinge l’uomo a opporre alla perenne metamorfosi delle cose e di sé stessi, dei valori che durino intatti nel tempo e diano un significato alla vita. Su questo contrasto è fondato tutto lo svolgimento del carme, poema della morte e della vita, del loro perenne incontrarsi e scontrarsi, della loro continua e drammatica compresenza. Alla cieca, incomprensibile e meccanica legge della natura, il Foscolo contrappone un mondo umano, che sia continua creazione di valori e di civiltà, in una perenne sfida al nulla eterno.
Questo inondo nasce proprio dallo squallore della tomba. La pietà che compone i miseri resti destinati a rifluire nel ciclo della materia, nel sepolcro, e pianta su di esso un albero simbolo della vita, è una rivolta contro la morte, è l’affermazione che il defunto continuerà a vivere nella memoria e nel cuore di chi l’ha amato. Questa “corrispondenza d’amorosi sensi” è dote veramente divina dell’animo, perché attesta l’esistenza di una volontà che trionfa sulla legge di perpetua guerra fra gli esseri sancita dalla natura; da questa corrispondenza deriva il sentimento della continuità della vita umana, e cioè quello che noi chiamiamo tradizione, storia, civiltà. C’è, ovunque, nell’uomo una forza spirituale che continuamente crea; crea in primo luogo un’eredità d’affetti, e quindi ideali di verità, bellezza, giustizia, patria, mediante i quali l’individuo entra in contatto dinamico e attivo con l’umanità, contribuisce alla formazione di un patrimonio spirituale comune che dura nei secoli. E se le alterne vicende delle “umane sorti” sembrano a volte distruggerlo, esso rinasce intatto, solo che gli uomini si specchino nelle tombe dei grandi, ne ascoltino l’alto messaggio.
Da semplice nodo d’affetti familiari, il sepolcro diviene così religione, tradizione e civiltà d’una stirpe. Le tombe degli eroi, cioè di coloro che hanno espresso gli ideali più nobili, diventano patrimonio inalienabile d’una nazione e di tutta l’umanità e accendono gli animi generosi a egregie cose. Così le tombe dei grandi di S.Croce ricordano ancora agli Italiani, avviliti dalla servitù, l’antica grandezza, li esortano a rinnovarla, a riscattare la patria dall’oppressione.
Ma il flusso perenne della materia distrugge, come i nostri resti mortali, anche le tombe. Tuttavia la gloria degli eroi non muore, ma continua a vivere eterna nel canto del poeta, che trae dal freddo silenzio delle tombe una parola di vita e di speranza. L’ultima parte del carme è un inno alla poesia, il cui compito è quello di tramandare non solo il ricordo degli eroi, ma anche i valori che essi affermarono. Essa, in tal modo, crea e diffonde il culto delle più alte illusioni che riscattano la nostra vita dal nulla. Quello del poeta diventa un sacerdozio altissimo di umanità e di civiltà: e la poesia diventa mezzo di suprema elevazione, di armonia spirituale e morale, di autentica civiltà. I Sepolcri fondano, dunque, una nuova religione, tutta laica e terrena, del vivere, che se si oppone alla trascendenza cattolica, inconcepibile per il Foscolo, s’oppone anche al credo razionalistico, esaltando il sentimento e l’eroismo contro il freddo, sterile calcolo della ragione, la quale può solo additare la vanità del vivere e condurci a un’inerzia scorata. Dalla disperazione dell’Ortis, il poeta è giunto a una coraggiosa accettazione della vita, non ignara della morte, dell’angoscia, del nulla eterno, ma protesa, di là da essi, all’affermazione dell’umano, che anela, mediante una continua creazione di valori, a prolungare l’esistenza limitata del singolo nella storia.