GEORGICHE LIBRO 1 VV 118-146 TRADUZIONE
GEORGICHE LIBRO 1 VV 118-146 TRADUZIONE
dalle Georgiche (I, 118-146):la fine dell’età dell’oro
Nec tamen, haec cum sint hominumque boumque labores
versando terram experti, nihil improbus anser
Strymoniaeque grues et amaris intiba fibris
officiunt aut umbra nocet. Pater ipse colendi
haud facilem esse viam voluit, primusque per artem
movit agros, curis acuens mortalia corda
nec torpere gravi passus sua regna veterno.
Ante Iovem nulli subigebant arva coloni:
ne signare quidem aut partiri limite campum
fas erat; in medium quaerebant, ipsaque tellus
omnia liberius nullo poscente ferebat.
Ille malum virus serpentibus addidit atris
praedarique lupos iussit pontumque moveri,
mellaque decussit foliis ignemque removit
et passim rivis currentia vina repressit,
ut varias usus meditando extunderet artis
paulatim, et sulcis frumenti quaereret herbam,
ut silicis venis abstrusum excuderet ignem.
Tunc alnos primum fluvii sensere cavatas;
navita tum stellis numeros et nomina fecit
Pleiadas, Hyadas, claramque Lycaonis Arcton.
Tum laqueis captare feras et fallere visco
inventum et magnos canibus circumdare saltus;
atque alius latum funda iam verberat amnem
alta petens, pelagoque alius trahit umida lina.
tum ferri rigor atque argutae lammina serrae
(nam primi cuneis scindebant fissile lignum),
tum variae venere artes. Labor omnia vicit
improbus et duris urgens in rebus egestas.
Traduzione
E tuttavia, nonostante la fatica di uomini e buoi nel voltare e rivoltare la terra, bastano a procurarle danno un’oca ingorda o le gru della Tracia, le radici amare della cicoria o (l’ingiuria del)l’ombra. Volle lo stesso padre degli dei che non fosse facile la via all’agricoltura e per primo impose di dissodare ad arte i campi, aguzzando con queste preoccupazioni l’ingegno dei mortali, per impedire che il suo regno intorpidisse in un letargo insopportabile. Prima di Giove non v’erano contadini che coltivassero la terra, né era lecito delimitare i campi tracciando confini: tutto era in comune e la terra, senza che le fosse richiesto, produceva spontaneamente e con generosità ogni cosa. Fu Giove che fornì alla malignità dei serpenti il veleno per nuocere, che indusse i lupi a vivere di preda, il mare ad agitarsi, che spogliò del miele le foglie, nascose il fuoco e seccò i ruscelli di vino che scorrevano ovunque, perché l’esperienza, con la riflessione, facesse nascere le diverse arti, ottenesse coi solchi gli steli del frumento e dalle vene della selce facesse sprizzare il fuoco nascosto. Allora per la prima volta chiglie d’ontano solcarono i fiumi; allora il navigante annoverò e nominò le stelle, le Pleiadi, le Íadi e l’Orsa di Licàone che risplende in cielo; allora si inventò il modo di catturare coi lacci la selvaggina, d’ingannarla col vischio e di accerchiare coi cani grandi radure. Ormai v’è chi frusta il fiume col giacchio, scandagliandone il fondale, e chi dal mare ritira gocciolanti le reti. Si affermarono allora la durezza del ferro, la lama stridula della sega (prima gli uomini spaccavano il legno fendendolo con cunei) e le diverse arti. La fatica ostinata e le necessità, che urgono in circostanze difficili, vinsero tutto.