Le guerre puniche e il dominio romano sul Mediterraneo
Le guerre puniche e il dominio romano sul Mediterraneo
Origini e Costituzione di Cartagine
Quei coloni che, provenienti da Tiro, fondano intorno all’814 a.C. la città di Cartagi-
ne, appartengono ai fenici, uno tra i più attivi e intraprendenti popoli dell’antichità. La
storia ce li tramanda come avventurosi navigatori e abili commercianti, e bisogna dire
che tali qualità emergono pienamente nell’organizzazione e nello sviluppo dello Stato
cartaginese.
Fra le tante colonie fondate dai fenici sulle coste settentrionali dell’Africa, Cartagine
consegue il più alto livello di civiltà e la più progredita organizzazione economico-
sociale. Se i suoi punti di forza sono il commercio e l’agricoltura, tanto che nel 146 a.C.
il senato romano dà ordine di tradurre in latino il trattato sull’agricoltura del cartaginese
Magone, perché sia utilizzato dai contadini italici, notevolmente evoluta è anche la
struttura politica dello Stato.
La Costituzione cartaginese è infatti quella di una repubblica oligarchica (paragona-
bile per alcuni aspetti a quella di Venezia nel Medioevo), al governo della quale partecipano solo i cittadini di censo più elevato. Di anno in anno l’assemblea del popolo
elegge i due magistrati supremi, detti sufeti; gli altri organi dirigenti sono un Maggior
consiglio di 300 membri e un Minor consiglio di 30. Detentori del potere sono i ricchi
proprietari terrieri e gli elementi più in vista del settore commerciale; sono proprio
questi ultimi, alla ricerca di nuove aree per l’espansione dei loro traffici, a dare alla
politica cartaginese un carattere dinamico che, inevitabilmente, porta la città allo scon-
LA PRIMA GUERRA PUNICA
La repubblica cartaginese e quella romana erano entrate in contatto già nel VI sec.
a.C., quando fu stipulato un trattato di navigazione e di commercio, rinnovato nel 348 e
nel 306. Quest’ultimo, sottoscritto quando Roma comincia ad affermarsi su gran parte
dell’Italia meridionale, comprende una nuova, significativa clausola con cui si riconosce
l’Italia come esclusivo campo d’azione di Roma e la Sicilia di esclusiva competenza di
Cartagine.
Se tale ripartizione è fatta con il consenso dei due contraenti, non può però non
rivelarsi una fastidiosa limitazione nel momento in cui, in seguito alla conquista della
Magna Grecia (274-270 a.C.), Roma si affaccia sullo stretto di Messina, essenziale nodo
di traffici nel Mediterraneo. Così, quando le richieste d’aiuto dei mamertini (mercenari
campani insediati a Messina, da dove cerca di scacciarli Gerone tiranno di Siracusa)
portano i cartaginesi sull’altra sponda dello stretto (265 a.C.), i romani ritengono di non
poter sopportare più a lungo la vicinanza di una rivale così temibile.
L’occasione propi-
zia si presenta prestissimo quando gli stessi mamertini, scontenti per il comportamento
delle milizie cartaginesi, chiedono a Roma di inviare una guarnigione in loro difesa,
cambiando alleato. L’invito è accolto non senza dubbi e indecisioni da parte del senato,
ma l’assemblea popolare vota per l’intervento e così, nel 264, le truppe romane arrivano
in Sicilia.
Al comando del console Appio Claudio il distaccamento romano si trova ad affron-
tare le forze riunite dei cartaginesi e dei siracusani. Avvenuta la formale dichiarazione di
guerra (264 a.C.), i romani costringono gli avversari a ritirarsi verso le loro basi. Nell’an-
no seguente Gerone, tiranno di Siracusa, si ritira dall’alleanza cartaginese per unirsi a
Roma, alla quale porta un contributo prezioso grazie alla sua conoscenza dell’isola e
all’autorità di cui gode presso le popolazioni locali.
Dopo i primi tre anni di guerra (264-262 a.C.), i romani allontanano i cartaginesi
dalla Sicilia orientale, quindi il loro compito può considerarsi concluso. In realtà, a
questo punto il disegno originario si allarga al progetto più ambizioso di eliminare
completamente la presenza cartaginese dall’isola.
È possibile realizzare una simile impresa solo mediante l’impiego di una flotta di capacità almeno pari a quella cartaginese,
della quale i romani conoscono le ottime prerogative qualitative e numeriche.
L’impresa dimostra in pieno le potenzialità di Roma, che finora è stata una potenza
militare esclusivamente terrestre e che ciò nonostante riesce ad allestire in pochi mesi
una flotta di 100 quinqueremi e 20 triremi attrezzate di tutto punto e munite di marinai
e rematori forniti dagli alleati delle città costiere.
Cartagine dispone di una flotta di circa 200 unità, ma non può contare su un’orga-
nizzazione militare compatta come quella romana. L’esercito cartaginese è infatti costi-
tuito in gran parte da truppe mercenarie delle più disparate provenienze (spagnoli,
corsi, liguri, baleari, campani, galli), le quali, se possono essere impiegate in manovre
di sfondamento e, comunque, in scontri di breve durata, poco si adattano a resistere a
lunghe guerre, nelle quali risultano invece vincenti doti quali la lunga disciplina militare
e, soprattutto, la consapevolezza di combattere per una stessa causa.
Il primo grande scontro avviene a Milazzo (260 a.C.), dove la flotta romana, al
comando del console Caio Duilio, riporta la prima vittoria navale. In questa occasione
si rivela fondamentale l’uso dei corvi (o rostri), speciali ponti uncinati che tengono
agganciate le navi nemiche consentendo il combattimento corpo a corpo, come in una
battaglia terrestre. Il successo suscita un’enorme impressione a Roma, al punto che si
decide di portare la guerra nel territorio del nemico. Nel 256 a.C. Attilio Regolo sbarca
in Africa, ma è sconfitto e fatto prigioniero. Secondo la leggenda sarebbe stato rimanda-
to a Roma per convincere i suoi concittadini a trattare la pace, ma li avrebbe invece
incitati a proseguire la guerra, per cui, ritornato a Cartagine come pattuito, sarebbe stato
fatto morire in una botte precipitata in mare.
Negli anni dal 256 al 242 a.C. si combatte una sorta di guerra di logoramento, a fasi
alterne. Nel 246 viene inviato in Sicilia un grande generale cartaginese, Amilcare Barca,
che impegna i romani con continue incursioni per terra e per mare senza però mai
arrivare a risultati definitivi.
Finalmente, nel 241 a.C. la flotta romana, al comando del console Lutazio Catulo,
distrugge quella cartaginese al largo delle isole Egadi, mettendo fine a ben 23 anni di
guerra. La Sicilia passa ai romani e Cartagine è assoggettata al pagamento di un tributo
ventennale, quale risarcimento dei danni di guerra. Pochi anni dopo, i cartaginesi sono
costretti a cedere anche la Sardegna che, insieme alla Sicilia, costituirà il primo esempio
LE CAMPAGNE CONTRO I GALLI E GLI ILLIRI
Probabilmente l’impegno profuso da Roma nella guerra cartaginese fa balenare
speranze di facili successi tra le popolazioni dei galli boi e insubri che, nel 226 a.C.,
muovono dalla pianura padana, invadendo l’Italia centrale per poi puntare su Roma.
La minacciosa avanzata è però fermata nella battaglia di Talamone (in Maremma) nel
225 a.C.
Dopo questa vittoria i romani portano l’offensiva nel territorio gallico, di cui, nel
222, è conquistata la capitale Mediolanum (Milano). I galli sono costretti a cedere parte
dei loro territori e ad accettare le condizioni di alleati dipendenti da Roma.
Nello stesso periodo si collocano le lotte contro gli illiri, abitanti dell’attuale Dalmazia, dediti ad attività piratesche che disturbano non poco il commercio marittimo dei
romani e dei loro alleati. Essi sono sconfitti nel 219 a.C. e così anche le opposte rive
dell’Adriatico cadono sotto la dominazione romana.
LA SECONDA GUERRA PUNICA
Mentre Roma è impegnata con i galli, Cartagine, assetata di rivincita e comunque
bisognosa di compensare le perdite economiche conseguenti alla sconfitta, affida allo
stesso Amilcare Barca e al genero Asdrubale l’incarico di conquistare la Spagna, che,
grazie alle sue ricche miniere d’argento, riesce a rimettere in sesto le finanze cartaginesi.
La rapida ripresa cartaginese comincia ad impensierire i romani, che nel 225 a.C.
concludono il Trattato dell’Ebro con cui Cartagine si impegna a non estendere le conquiste spagnole oltre il confine settentrionale di quel fiume.
Roma teme infatti che,varcato tale limite, i cartaginesi possano accordarsi con le popolazioni galliche, insediate al di là dei Pirenei, per poi passare in Italia attraverso le Alpi. Questo trattato avrà vita brevissima.
Infatti, quando nel 221 a.C. il comando delle milizie puniche passa da
Asdrubale ad Annibale (figlio di Amilcare Barca), le intenzioni del nuovo comandante
sono immediatamente evidenti. Appena venticinquenne, Annibale ha una lunga pratica
di vita militare, essendo cresciuto tra i disagi e i pericoli della guerra al seguito del
padre. A questo proposito la leggenda narra che, ancora fanciullo, Annibale sarebbe
stato condotto da suo padre presso l’altare per giurare odio eterno ai romani. Se quest’ultimo episodio è circondato da quell’alone «romantico» tanto caro a certa storiografia
romana, bisogna però senz’altro riconoscere che il giovane condottiero risulta provvisto, oltre che della necessaria competenza tattica, di una spiccata inclinazione al comando che gli vale l’indiscussa obbedienza da parte dei soldati.
Nel 219 a.C., ponendo l’assedio a Sagunto, città a sud dell’Ebro ma posta sotto la
protezione romana, egli provoca deliberatamente la reazione di Roma, che nel 218
dichiara nuovamente guerra a Cartagine. Nello stesso anno, con rapidità sorprendente,
Annibale valica le Alpi e giunge nella pianura padana con un esercito formato da circa
25.000 fanti, 6.000 cavalieri e diverse decine di elefanti.
Le prime fasi del conflitto sono decisamente favorevoli ad Annibale: l’esercito romano è sconfitto presso i fiumi Ticino
e Trebbia (218 a.C.) prima e poi presso il lago Trasimeno (217). Lo stesso comandante
delle legioni, il console C. Flaminio, muore in battaglia dopo aver subito gravissime
perdite. Il piano di Annibale non prevede però l’attacco diretto a Roma, piuttosto l’accerchiamento. Egli giunge nell’Italia meridionale con la speranza di raccogliere consensi tra gli italici, ma anche in questo frangente il sistema federativo romano mostra i suoi
punti di forza. I casi di defezione sono pochi, poiché quasi tutte le popolazioni (umbri,
etruschi, latini e sabelli) rimangono fedeli a Roma, costituendo un’invalicabile barriera
contro la marcia di Annibale.
Intanto, a Roma, per fronteggiare la drammatica emergenza è eletto dittatore Q.
Fabio Massimo (217 a.C.). La sua tattica, per la quale è soprannominato cunctator
(«temporeggiatore»), consiste nell’impegnare l’avversario in vari scontri isolati di modeste dimensioni per stancarlo, mentre si provvede a bloccare l’invio dei rinforzi e dei
rifornimenti da Cartagine. Il piano sta cominciando a dare i primi frutti quando a Roma
prevale l’impazienza: alla fine dei sei mesi del mandato dittatoriale, i poteri vengono
restituiti ai consoli L. Emilio Paolo e M. Terenzio Varrone, che preferiscono tornare ai
combattimenti in campo aperto. Si arriva così allo scontro di Canne (in Puglia) del 216
a.C. In questa occasione Roma subisce la più disastrosa sconfitta della sua storia, perdendo circa 40.000 uomini, tra i quali lo stesso console L. Emilio Paolo.
Anche dopo questo strepitoso successo, Annibale, che raccoglie consensi da più
parti (lo stesso Filippo V di Macedonia e la potente Siracusa si alleano con lui), non
ritiene opportuno marciare su Roma, che considera inespugnabile, e preferisce ritirarsi
a Capua (gli «ozi capuani») in attesa di rinforzi da Cartagine.
Intanto Roma si risolleva dalla disfatta con straordinaria energia. Il potere è rimesso
nelle mani di Q. Fabio Massimo e viene dato maggiore impulso alla guerra, che già dal
218 i fratelli P. Cornelio e G. Cornelio Scipione combattono con successo in Spagna.
Inoltre è assediata e saccheggiata Siracusa, colpevole di aver tradito Roma alleandosi
con Annibale. Nell’assedio (211 a.C.) si distingue il proconsole M. Claudio Marcello, che
celebra a Roma uno splendido trionfo nel quale sfilano le magnifiche opere d’arte
provenienti da Siracusa, dove Archimede aveva invano tentato di fermare i romani con
geniali macchine da guerra. Un’altra spedizione punitiva è inviata contro Filippo V di
Macedonia (prima guerra macedonica), con il quale, nel 205, si conclude la Pace di
Fenice.
Nel frattempo la guerra continua anche in Spagna sotto la guida di P. Cornelio
Scipione, continuatore dell’opera dei due Scipioni che avevano perso la vita nel 211.
Parte dell’esercito cartaginese, comandato da Asdrubale, fratello di Annibale, riesce
però a sfuggire all’assedio e a passare in Italia per unirsi alle truppe comandate da
Annibale, ma viene fermata sul fiume Metauro (207 a.C.), dove lo stesso Asdrubale
perde la vita. Mentre Annibale si ritira in Calabria, Scipione stabilisce di sferrare l’attacco
decisivo portando la guerra in Africa, proprio sotto le mura di Cartagine. Nel 204 avviene lo sbarco romano in Africa, dove, anche grazie all’alleanza con Massinissa, principe
della Numidia ostile ai cartaginesi, le truppe puniche sono ripetutamente sconfitte.
Lo scontro diretto fra i due eccezionali condottieri, Scipione e Annibale, richiamato
nel frattempo in patria, avviene nel 202 a.C. presso Zama, dove i romani riportano una
netta vittoria.
Le condizioni di pace imposte dai romani ai cartaginesi sono durissime e prevedono:
- — la rinuncia alla Spagna e a tutti i possedimenti fuori dell’Africa;
- — la consegna della flotta (tranne 10 navi) e degli elefanti da guerra;
- — il divieto di intraprendere guerre senza l’autorizzazione di Roma;
- — il riconoscimento dell’indipendenza della Numidia, assegnata a Massinissa quale ricompensa per l’aiuto prestato;
- — il pagamento di 10.000 talenti (una somma enorme) quale riparazione dei danni di guerra.
Cartagine viene così eliminata dal novero delle grandi potenze mediterranee. Sci-pione, tornato a Roma, è festeggiato nel 201 a.C. con il trionfo e prende il nome di Africanus (Africano), in ricordo della grande vittoria.
L’espansione romana in Oriente
La vittoria di Zama segna una tappa fondamentale nella storia della repubblica, che
amplia i suoi confini verso il Mediterraneo occidentale (Africa e Spagna). La vertiginosa
ascesa, realizzata in tempi relativamente brevi, provoca un profondo mutamento nella
vita e nella politica di Roma.
Se fino ad ora le guerre sostenute non hanno avuto un
vero e proprio carattere imperialistico, decisamente più aggressivi saranno d’ora in poi
gli intenti che animano i nuovi protagonisti della scena politica romana.
Il nuovo obiettivo è il mondo ellenistico, da tempo travagliato da continui conflitti
che ne minacciano l’equilibrio. Proprio alla fine del III sec. a.C., l’inasprirsi delle lotte
per il predominio offre a Roma la possibilità di intervenire nella politica degli Stati
orientali.
I regni ellenistici sono costituiti dagli Stati formatisi in seguito alla disgregazione
dell’impero di Alessandro Magno e precisamente da:
— Macedonia, governata da Filippo V, legata a Roma dalla Pace di Fenice del 205;
— Regno di Egitto, retto dai Tolomei, Stato ricco e fiorente che ha sempre mantenuto
buone relazioni con Roma;
— Regno di Siria, retto da Antioco III, Stato estremamente vasto, ma debole per la
varietà dei gruppi etnici che lo costituiscono;
— Regno di Pergamo, governato dagli Attàlidi, che hanno sempre fatto una politica
favorevole a Roma;
— Lega etòlica e Lega achea, formate da libere città greche unitesi per conservare
la loro indipendenza minacciata dalla Macedonia.
La seconda e terza guerra di Macedonia
Nel trattato stipulato alla fine della prima guerra macedonica (205 a.C.), i romani
assumono la difesa dell’indipendenza di varie città della Grecia, cosicché quando le
città dell’Attica denunciano le scorrerie compiute nei loro territori da Filippo V, Roma
invia al re macedone un ultimatum che è respinto. Scoppia così la seconda guerra
macedonica (220 a.C).
Le legioni romane, sotto il comando di Tito Quinzio Flaminino, invadono la Mace-
donia e riportano nel 197 a.C. un grande successo a Cinocéfale. Filippo V è costretto al
pagamento di una forte indennità di guerra e, cosa più importante, al riconoscimento
della libertà di tutte le città greche. Lo stesso console Flaminino ne fa la proclamazione
ufficiale durante i Giochi istmici di Corinto (196 a.C.) e la dichiarazione viene accolta
con grande entusiasmo dalle popolazioni greche. In realtà, al protettorato macedone
sulla Grecia si sta sostituendo quello romano.
Pochi anni dopo a Filippo succede il figlio Persèo, che tenta una riorganizzazione dell’esercito per preparare la riscossa, ma Roma lo previene dichiarando la guerra nel 171(terza guerra macedonica).
Le prime fasi del conflitto si trascinano stancamente finché, all’arrivo di L. Emilio
Paolo (168 a.C.), l’esercito macedone è annientato a Pidna. La Macedonia è divisa in
quattro piccole repubbliche, costrette ad accettare l’alleanza con Roma, come avviene
per l’Illiria, che ha sostenuto Perseo. Un trattamento peggiore è imposto invece alle città
greche alleate della Macedonia, che assistono alla deportazione a Roma dei loro migliori cittadini come ostaggi (fra essi c’è il grande storico Polibio, che sarà una delle maggiori fonti della storia dell’espansione romana nel Mediterraneo).
Il territorio macedone è ridotto a provincia nel 148 a.C., quando, in seguito alle
rivolte sobillate da un tale Andrisco che si spaccia per figlio del re Perseo, vengono
inviate due legioni al comando di Q. Cecilio Metello (da allora detto Macedonico).
LA GUERRA DI SIRIA
Sotto Antioco III la Siria persegue una politica espansionistica che la porta a scon-
trarsi con Eumene di Pergamo, fedele alleato di Roma. Il proclama di Flaminino del 196
a.C. aveva dato ai romani la veste di tutori dell’indipendenza ellenica, per cui la presenza di un esercito siriano in Grecia è un ottimo spunto per intimare ad Antioco il ritiro
delle truppe. Al suo rifiuto (Antioco è sobillato da Annibale che si è rifugiato alla sua
corte e, animato dal desiderio di rivincita, lo spinge a radunare tutti i nemici di Roma in
una lega), viene inviato dai romani un esercito che sconfigge Antioco alle Termopili
(191 a.C.).
Per stroncare definitivamente le velleità del re siriano, Roma porta la guerra nel
territorio nemico: il compito è affidato a L. Cornelio Scipione (fratello dell’Africano),
che annienta la potenza siriaca presso la città di Magnesia nel 190 a.C.
Tra le varie condizioni di pace imposte dai romani c’è la richiesta che Annibale sia
loro consegnato; però questi riesce a fuggire presso Prusia, re di Bitinia, dove si dà la
morte bevendo il veleno che porta sempre con sé, quando si accorge che il re sta per
consegnarlo ai romani (183 a.C.).
LA DISTRUZIONE DI CARTAGINE
Se le pesanti imposizioni inflitte a Cartagine dopo la seconda guerra punica ne hanno annientato la potenza militare, rimangono tuttavia alquanto fiorenti l’attività agri-cola e quella commerciale. È impensabile che la città africana possa riacquistare una potenza tale da costituire di nuovo un pericolo, ma c’è tuttavia chi, a Roma, ne segue le sorti con crescente
preoccupazione. Questi sono, in particolare, gli esponenti dell’oligarchia che, su istigazione di M. Porcio Catone (appena ritornato da una missione esplorativa a Cartagine), premono affinché la città sia definitivamente distrutta. I loro timori cominciano ad ap-parire fondati quando i cartaginesi, stanchi di subire le continue provocazioni del re di Numidia, Massinissa (che approfitta del tacito consenso dei romani), gli dichiarano guerra violando i patti del 201 a.C. La spedizione punitiva romana è meno facile del previsto, data la strenua resistenza opposta dai cartaginesi. Soltanto dopo tre anni di assedio P. Cornelio Scipione Emiliano (figlio del vincitore di Pidna) riesce a entrare in città (146 a.C.). Cartagine è rasa al suolo e le sue rovine vengono cosparse di sale (un gesto simbolico con cui si dichiara inabitabile una città), mentre i cartaginesi scampati alla strage vengono venduti come schiavi o trovano rifugio in Grecia.
L’assoggettamento della Spagna
L’opera di sottomissione della Spagna a Roma comincia fin dall’inizio della seconda
guerra punica. Nel 197 a.C. sono costituite le due province di Hispania citerior (a nord)
e Hispania ulterior (a sud), ma ciò non basta a domare la bellicosità delle popolazioni
indigene, gelose della propria libertà. La ribellione scoppia presto sotto la guida di
Viriato, un pastore che si mette a capo della resistenza spagnola; la roccaforte degli
insorti, Numanzia, cinta d’assedio da Scipione Emiliano, è espugnata nel 133. Focolai di
rivolta continueranno però ad accendersi anche in seguito e la regione verrà definitivamente pacificata solo sotto Augusto.
La trasformazione della società romana
Le fortunate campagne militari in Oriente incrementano notevolmente (tramite le
indennità di guerra, i tributi imposti alle province di nuova formazione e lo straordina-
rio ampliamento degli orizzonti commerciali) sia l’erario statale che le entrate dei citta-
dini più intraprendenti e spesso privi di scrupoli nell’esercitare le loro attività finanziarie.
In particolare, l’istituto più redditizio è quello degli appalti, cioè della riscossione
delle imposte che lo Stato affida a privati, i quali ne approfittano per gravare di tasse i
provinciali ad essi sottoposti, senza che sia esercitato alcun controllo e senza vantaggio
per le casse dello Stato.
Anche gli esponenti del patriziato, i nobili patrizi, seppure in maniera più modesta
dei cavalieri, trovano il modo di accrescere la propria ricchezza e potenza, mentre la
piccola proprietà contadina è attanagliata da una crisi rapida e progressiva a causa delle
lunghe guerre che hanno trasformato i contadini in soldati di mestiere, i quali ormai
traggono i propri mezzi di sostentamento dalle spartizioni di guerra.
Le piccole proprietà terriere non si reggono economicamente e perciò vengono messe in vendita e vanno
a costituire il latifondo. I contadini sono declassati e finiscono col confluire nel numeroso sottoproletariato urbano; essi girano per le strade di Roma vivendo di espedienti o
in attesa di diventare clienti di una famiglia importante.
Dopo la seconda guerra punica e soprattutto nell’Italia centro-meridionale si diffon-
de il fenomeno del latifondismo, che si serve degli schiavi, prigionieri di guerra o di
razzia, per la coltivazione della terra e per l’allevamento del bestiame. Al tempo stesso
si assiste a una progressiva trasformazione delle colture: viene abbandonata la tradizionale produzione di cereali, che passa alle province (la Sicilia diviene il «granaio d’Italia»), o viene sostituita dalla produzione di foraggi, dalla viticoltura, dall’olivicoltura e
dall’allevamento del bestiame. Queste attività richiedono minori cure e minore specializzazione, perciò possono essere affidate agli schiavi.
Lo storico sovietico Kovaliov parla del sistema di produzione schiavistico su cui si
reggerebbe l’economia del mondo antico, e in particolare quella di Roma dopo l’espansione mediterranea, quando raggiunge il suo funzionamento ottimale con lo sfrutta-
mento sistematico degli schiavi, comprati a bassissimo prezzo e mantenuti in condizione di pura sopravvivenza. Uno schiavo costa meno di un animale domestico e rende di
più. La massa di schiavi in vendita sul mercato è impressionante; Kovaliov ne fornisce
alcune cifre e cerca di ricostruire le loro rivolte, che non dovettero essere poche. Alla
prima di esse, scoppiata in Sicilia (134 a.C.), pare che abbiano partecipato 200.000
uomini.
L’eccezionalità del fenomeno (aumento continuo del numero degli schiavi e rivolte)
incide profondamente sulla produzione e sul costume romano, fino a diventare una
delle cause della crisi del mondo antico. Nei secoli successivi comparirà pure il fenomeno dei liberti, cioè degli schiavi liberati, che possono anche esercitare le professioni
liberali e il commercio.
Si accentua così il potere dei cavalieri ai quali viene affidata la
riscossione delle imposte, e si approfondisce, di conseguenza, il divario esistente fra
l’ordine equestre e quello senatorio, geloso delle proprie prerogative di nascita insidiate
dall’ascesa delle nuove classi, che puntano invece al potere grazie ai loro mezzi economici.
Il contatto con la civiltà ellenistica porta però altre conseguenze in vari settori della
vita sociale. Lo splendore artistico e culturale che la Grecia ha raggiunto nel corso dei
secoli schiude ai cittadini romani, che ora lo conoscono direttamente, un mondo nuo-
vo. Basti pensare allo stupore e all’ammirazione suscitati dall’arrivo a Roma del patrimonio che Attalo III, re di Pergamo, ha lasciato in eredità al popolo romano, e di tutti i
preziosi manufatti artistici provenienti dai popoli assoggettati. Ben presto le ville dei
ricchi patrizi e tutti gli edifici pubblici di maggiore importanza vengono abbelliti con gli
splendidi esemplari della scultura greca, cosa che dà il via anche a una larga imitazione
da parte dei romani, così come vengono importati usi e costumi della raffinata civiltà
ellenistica.
La nuova ventata artistico-culturale proveniente dall’Oriente non suscita però unanimi consensi. Una parte dell’opinione pubblica (si ricordi Catone, detto «il censore» per
la sua intransigenza) si oppone decisamente a tutte le novità importate dal mondo
greco, poiché teme che il contatto con una civiltà tanto diversa possa risultare negativo
per Roma, che perderebbe la tradizionale integrità dei costumi (il mos maiorum) e
precipiterebbe nel decadimento morale e nella corruzione.
A Catone si oppone la fazione facente capo al Circolo degli Scipioni, di decise
tendenze filoelleniche. Il gruppo facente capo al circolo, che si raduna intorno alla
famiglia di quegli Scipioni che hanno legato il proprio nome a ben note vicende storiche, propugna una maggiore apertura culturale, accogliendo nella propria cerchia poeti, filosofi e artisti provenienti dalla Grecia. L’obiettivo perseguito dal Circolo degli
Scipioni è l’integrazione della tradizionale attività politica e militare, in cui Roma è
maestra, con l’amore per l’arte, la filosofia e la letteratura. È soprattutto la filosofia
greca, con il culto della personalità umana indagata nei suoi vari aspetti, ad affascinare
i giovani romani, ormai insoddisfatti di una filosofia che ha per lo più carattere utilitaristico e mira soprattutto alla formazione del buon cittadino, esperto nelle armi e rispet-
toso delle tradizioni statali.
Il processo di rinnovamento, già avviato in seguito alla conquista della Magna Grecia, ha ora un deciso impulso. Quando i maggiori esponenti delle scuole filosofiche di
Atene (Carneade, Diogene, Critolao) vengono a Roma per tenere conferenze e lezioni,
raccolgono vastissimi consensi proprio da parte dei giovani, che accorrono in massa ad
ascoltarli. La letteratura, che solo ora comincia ad avere una sua organica elaborazione,
riceve un notevole impulso da autori provenienti dalle città italiche, quali Ennio e Nevio
per l’epica, Lucilio per la poesia satirica, Plauto e Terenzio (quest’ultimo proveniente da
Cartagine) per la commedia.
Anche nelle arti figurative si hanno evidenti segni di rinnovamento, soprattutto nella
pittura e nella scultura, mentre meno aperta ai nuovi influssi è l’architettura, che conser-
va ancora per molto tempo le sue originarie caratteristiche di solidità e grandiosità.
TAVOLA CRONOLOGICA
- 264 – 241 a.C.:Prima guerra punica.
- 262 a.C.:I romani espugnano Agrigento.
- 260 a.C.:La flotta di C. Duilio batte i cartaginesi a Milazzo.
- 256 a.C.:M. Attilio Regolo batte la flotta cartaginese al capo Ecnomo e sbarca in Africa.
- 247 a.C.:Amilcare Barca assume il comando delle operazioni in Sicilia.
- 241 a.C.:La flotta di Lutazio Catulo riporta un successo decisivo presso le isole Egadi.
- Cartagine accetta le condizioni di pace imposte dai romani.
- 238 a.C.:I romani occupano la Sardegna e la Corsica.
- 226 a.C.:Con il Trattato dell’Ebro cartaginesi e romani definiscono le rispettive
- zone di influenza in Spagna.
- 222 a.C.:Il console M. Claudio Marcello sconfigge i galli a Casteggio.
- I romani occupano la Gallia cisalpina.
- 219 a.C.:Annibale espugna Sagunto.
- 218 – 201 a.C.:Seconda guerra punica.
- 218 a.C.:Annibale attraversa le Alpi e batte i romani sui fiumi Ticino e Trebbia.
- 217 a.C.:Annibale distrugge l’esercito di C. Flaminio al Trasimeno.
- 216 a.C.:Battaglia di Canne.
- 209 a.C.:P. Cornelio Scipione è inviato in Spagna, conquista Cartagena e riporta
- altri successi.
- 207 a.C.:Asdrubale scende in Italia ed è battuto e ucciso al Metauro.
- 202 a.C.:Scipione batte Annibale a Zama.
- 200 – 197 a.C.:Seconda guerra macedonica.
- 197 a.C.:I romani istituiscono le due province della Spagna citeriore e ulteriore.
- 196 a.C.:Flaminino proclama ai Giochi istmici la libertà dei greci.
- 192 a.C.:Antioco III passa in Grecia e inizia le operazioni militari.
- 191 a.C.:Antioco è vinto alle Termopili e ritorna in Asia.
- 189 a.C.:La guerra contro Antioco è conclusa con la battaglia di Magnesia.
- 188 a.C.:Pace di Apamea.
- 186 a.C.:Il senato proibisce i Baccanali.
- 183 a.C.:Muore Scipione l’Africano.
- 168 a.C.:L. Emilio Paolo batte Perseo a Pidna.
- I romani impongono ad Antioco di ritirarsi dall’Egitto e decidono di
- dividere la Macedonia in quattro repubbliche autonome.
- 154 – 133 a.C.:I lusitani si ribellano a Roma e la ribellione si estende a tutta la Spagna.
- 149 – 146 a.C.:Si combatte la terza guerra punica.
- Distruzione di Cartagine.
- 146 a.C.:L. Mummio distrugge Corinto.
- La Macedonia e la Grecia sono ridotte a province.
- 135 a.C.:Ribellione di schiavi in Sicilia.
- 133 a.C.:Distruzione di Numanzia
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