FOTO AEREA GROSSETO

FOTO AEREA GROSSETO

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April 26, 1943, Easter Monday, Grosseto suffered its first air raid during World War II. He would have suffered another 18, but this will always be remembered for the tragic price of civilian lives that cost. 134 died fact Grosseto, including dozens of children killed while they were playing on the rides of an amusement park located just outside the Old Port. The attack, led by 48 American flying fortresses, caught completely by surprise the population and few managed to find shelter in air raid shelters.
The city were unloaded nearly 400 bombs of 300 pounds and about 2000 cluster bombs, the so-called cluster bombs (cluster was the name of cylindrical containers that opened on command and containing clips from the weight of 20 pounds). Before the April 26 why American heavy bombers had gone so “north” in their air strikes and action against Grosseto can in effect be considered the first US bombing of central Italy in the history of World War II. The objective of the Americans was put out of the military airport and in particular destroy a school for training pilots of torpedo bomber aircraft that the Germans had created in 1942 right inside the airport.

PHOTO ZOOM click photos (red circles visible bomb craters)

grosseto foto aerea 1943-1944_cerchi rossi crateri bombs
grosseto foto aerea 1943-1944_(cerchi rossi crateri bombs)
grosseto crateri di bombe sono visibili dalle numerose incursioni aeree alleate
grosseto base aerea – Crateri di bombe sono visibili dopo numerose incursioni aeree alleate.

According to intelligence assessments ally this school was the most important logistics center on the Italian territory for the planning of attacks against US naval torpedo transport convoys. Much of the information on this training school, the Allies had given a German prisoner of war who had been captured in the autumn of 1942, and that for several months he had worked inside the airport Maremma. This was a planned attack, but during it 19 planes of 301 B.G. armed with cluster bombs devastated the city center causing a terrifying massacre of children who were busy playing on the rides to Piazza De Maria. How easy to understand, the rescuers showed a nightmarish scene, with mangled little bodies of children who were pitifully recovered and, when possible, recomposed.

The corpses were stacked in the old part of the hospital, while others were put under the arcades of the City. For many days after the April 26, 1943, the massacre of the rides filled the front pages of newspapers not only in Italy but worldwide. On 28 April, to visit the injured and see for themselves the effects of air attack, it was on an official visit in Grosseto even the king, Vittorio Emanuele III. In mid-May onwards, taking its cue from the case of Grosseto, the Vatican sent a formal protest letter to the US president Franklin Roosevelt for an end to air strikes against civilians. Roosevelt replied in mid-June with a personal letter to Pope Pius XII in which he wrote that the American pilots did everything to avoid civilian suffering, but often being forced to operate in restricted areas and in adverse weather conditions, it was inevitable that unfortunately could occurrence of errors.

26 aprile 1943 grosseto_wwii
26 aprile 1943 grosseto_wwii
26 aprile 1943 nella foto uno degli aerei caduto dopo il bombardamento_wwii
26 aprile 1943 nella foto uno degli aerei caduto dopo il bombardamento_wwii
65th linea di volo FS a Grosseto Italia 1944-1945_wwii
65th linea di volo FS a Grosseto Italia 1944-1945_wwii

Aerei da trasporto Italia,Grosseto Messerschmitt Me 323_wwii

casa della Madre e del Bambino a Grosseto_wwii
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chiesa grosseto_wwii
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grosseto 1944_wwii
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grosseto crateri di bombe sono visibili dalle numerose incursioni aeree alleate_wwii
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grosseto foto aerea 1943-1944_wwii
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Grosseto glider Gotha Go 242 swine herd_wwii
Grosseto glider Gotha Go 242 swine herd_wwii
grosseto infrantry division ride tank_wwii_wwii
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grosseto stazione bombardata 1943_wwii
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grosseto-luglio 1944_wwii
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Italia Grosseto si tira un aliante carico Gotha Go 242_wwii
Italia Grosseto si tira un aliante carico Gotha Go 242_wwii
marina di grosseto 1944_wwii
marina di grosseto 1944_wwii
ospedale colpito dai bombardamenti-2_wwii
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ospedale croce rossa bambino ferito bombardamento di grosseto_wwii
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Other planes at the Grosseto airbase_wwii
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Papers Past — Evening Post — 4 May 1943 — TERROR RAIDS
Papers Past — Evening Post — 4 May 1943 — TERROR RAIDS GROSSETO
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BARI MUSTARD GAS DISASTER 1943

BARI MUSTARD GAS DISASTER 1943

-BARI MUSTARD GAS DISASTER 1943-


È il più grande disastro chimico della Seconda guerra mondiale: la Pearl Harbour del Mediterraneo si consumò a Bari il 2 dicembre 1943 quando 105 bombardieri della Luftwaffe presero d’assalto il porto barese pieno zeppo di navi alleate.
Almeno un migliaio i morti, si parla di un episodio appena accennato nei libri di storia e coperto per decenni da segreto militare. A bordo di una nave statunitense, infatti, la John Harvey, c’era un carico di iprite, un gas venefico proibito dalle convenzioni internazionali.
Ancora oggi più di una domanda rimane senza risposta: cosa ci faceva quel quantitativo di gas velenosi sulla nave? Perché gli americani lo stoccavano a Bari? E per cosa intendevano usarlo?

 

FONTE:

http://digilander.libero.it/historiamilitaria3/bari1943.htm

BOMBARDAMENTO A BARI NEL 1943

E’ utile precisare, per quanti non conoscano in fondo la storia sull’utilizzo in guerra di gas velenosi, che questi furono largamente utilizzati nel corso del I Conflitto Mondiale, ma nel II rimasero praticamente nei magazzini, in quanto né la Germania nazista, né le potenze Alleate ritennero utile metterli in campo.
Proprio per queste considerazioni, questa appare ancora oggi una pagina di storia negata. È della più grande tragedia navale della Seconda guerra mondiale, dopo Pearl Harbor, che si parla ma soprattutto del più grave disastro chimico del conflitto.
È il 2 dicembre 1943, quando, alle 19, 25 una flotta di 105 bombardieri della Luftwaffe (appartenenti ai Kampfgeschwaders 30, 54 e 76) attacca il porto di Bari. Lì sono ormeggiate una trentina di navi alleate, sotto il controllo britannico, ma, fra queste, ce n’è almeno una, la John Harvey, battente bandiera americana, la cui stiva è piena zeppa di iprite: un letale gas venefico che trovò il suo primo utilizzo bellico sui campi di battaglia della Grande Guerra 1914-18.
Almeno un migliaio le vittime fra civili e militari, uccise dalle bombe sganciate dai tedeschi e dunque anche dall’iprite sprigionata dalla nave statunitense, letteralmente saltata in aria. Un computo esatto dell’immane strage, d’altra parte, non s’è mai fatto. E così dell’iprite al largo di Bari, fino ad oggi, s’è tornato a parlare soltanto in coincidenza degli occasionali ritrovamenti di bombe inesplose, spesso anche in prossimità di Molfetta, a Torre Gavetone.
Ma veniamo alla cronaca di quel giorno:

CRONACA DI UN DISASTRO
Con l’arrivo degli eserciti alleati, che lentamente risalgono la penisola, il porto di Bari è diventato il nodo principale dell’organizzazione logistica dell’VIII armata inglese sul fronte adriatico e la base di rifornimento di carburante della XV Air Force, che ha il suo Comando nell’aeroporto di Manfredonia: 600 mila litri di carburante alla settimana, che una rete di oleodotti porta anche agli aeroporti di Foggia, Gioia del Colle e Grottaglie.
Da questi aeroporti partono gli aerei che bombardano non solo l’Italia del centro e del nord, ancora occupate dai tedeschi, ma anche la Germania. Comandante è il generale James Doolittle, l’artefice del bombardamento di Tokyo del 18 aprile 1942.

A Bari il sole è tramontato da due ore. Nel cielo sereno solo una piccola falce di luna a sudovest, sopra il Salento. L’aria è chiara e luminosa sul mare calmo. Il porto di Bari è pieno di luci, sulle navi e sulla
banchine; è illuminato a giorno come se la guerra non ci fosse e non ci fosse il pericolo dei bombardamenti tedeschi. Eppure nel primo pomeriggio si è sentito volare alto un aereo; a lungo, avanti e indietro; il centro radar lo ha identificato come un ricognitore Messerschmitt 210 della
Luftwaffe; è passato anche ieri e l’altro ieri.
Alle 19.25 suonano le sirene dell’allarme aereo. Tutte le luci si spengono. Un rombo di aerei arriva da nordest e alle 19.25 ecco le prime bombe e le prime esplosioni, mentre candelotti illuminanti appesi a piccoli paracadute scendono lentamente e illuminano il porto e le quaranta grandi navi da carico alla fonda, in gran parte della classe “Liberty”; molte sono piene di munizioni; una, l’americana John Harvey, è piena di bombe all’iprite, il “Gas Mostarda”…solo che pare che nessuno lo sappia.
Comincia così l’unico episodio di guerra chimica della seconda guerra mondiale; un disastro le cui conseguenze si faranno sentire per più di mezzo secolo.
Gli aerei tedeschi in arrivo sono più di cento, quasi tutti Junkers 88, i bimotori da bombardamento più diffusi; alcuni sono partiti dall’aeroporto di Ronchi dei Legionari, vicino a Monfalcone, gli altri da due aeroporti in Grecia, vicino ad Atene; l’appuntamento, alle 19.25, è stato sul mare, trenta miglia a nordest di Bari. Alle 19.30 sono sulla città.
“Le navi, specie quelle che erano lungo il molo foraneo di levante“ scriverà Augusto Carbonara, uno che era in città e vide scardinata dal bombardamento la finestra della sua camera da letto, “furono sorprese d’infilata dalle bombe tedesche. Erano tanto vicine che le bomba cadute in acqua furono molto poche. Alcune navi bruciavano, altre affondavano, altre, incendiate, rotti gli ormeggi, andavano alla deriva, avvicinandosi alle navi non colpite. Le navi che nella stiva trasportavano esplosivi dapprima si incendiarono e poi finirono per deflagrare e colpire tutto il porto e anche molte case della città vecchia. I vetri delle abitazioni di mezza Bari andarono in frantumi”.
La sorpresa dell’attacco e l’ignoranza del carico della Harvey causano i danni più gravi. La maggior parte dei marinai è in franchigia. Cinema e teatri – il Piccinini, il Petruzzelli, l’Oriente, il Margherita, il Kursaal – sono aperti e pieni di inglesi e americani; al Margherita, ribattezzato Garrison Theatre, si proietta Springtime in the rockies con Betty Grable e John Payne. I militari più alti in grado stanno al vicino Barion, trasformato in circolo ufficiali.
Gli italiani no. “Al momento dell’attacco, dal comandante agli ufficiali, ai marinai” racconterà Oberdan Fraddosio, che quel giorno era l’ufficiale di guardia “eravamo tutti in Capitaneria o sul posto di manovra delle ostruzioni retali alla testata del molo foraneo di levante.
Non esistevano rifugi antiaerei.

Non esistevano mezzi di protezione personale che non fossero vecchie maschere antigas inutilizzabili e inutilizzate. Perfino gli elmetti erano in numero inadeguato. Tutti rimasero ai loro posti fino alla fine dell’incursione”.
Il porto, come altre basi navali ha all’imboccatura una rete che viene aperta per un tratto al passaggio di una nave. “Il Comandante” racconterà ancora Fraddosio “mi ordinò di eseguire una ricognizione nel bacino portuale portandomi fino alle ostruzioni. Nel percorrere le acque del bacino passammo molto vicini a navi che bruciavano e sulle quali esplodevano ancora le cariche dei cannoncini e delle mitragliere.
Dovevamo tenerci sopravvento per evitare di essere avvolti dal fumo denso e acre degli incendi”.
Quello che sembra fumo non è soltanto il fumo degli incendi; è anche il vapore dell’iprite. “Tra le navi” racconterà ancora Augusto Carbonara “fu colpita e incendiata anche la John Harvey, quella che, con altro materiale esplosivo, trasportava le cento tonnellate di bombe con l’iprite. I marinai rimasti a bordo tentarono con ogni mezzo di domare il fuoco, ma inutilmente, e dopo mezz’ora l’incendio si propagò alla stiva. Non ci volle molto che la nave saltasse in aria con tutto il suo carico e tutti gli uomini, compresi quei pochi che conoscevano la verità sul carico. Da quel momento cominciò l’inferno”.
“La maledetta Mustard” dirà ancora Carbonara “si mescolò alla nafta venuta fuori dalle petroliere affondate e formò un velo mortale su tutta la superficie del porto. Coloro che dalle altre navi si lanciavano in acqua furono ben presto zuppi della maleodorante sostanza. I vapori dell’iprite si spargevano intanto su tutto il porto; bruciavano la pelle e intossicavano i polmoni dei sopravvissuti”.
A notte (solo alle 23 le sirene hanno dato il cessato allarme) si contano le navi affondate; sono 17: cinque americane, quattro inglesi, tre norvegesi, tre italiane (Barletta, Frosinone, Cassala), due polacche; sette le navi gravemente danneggiate. Il calcolo del materiale perduto sarà fatto nei prossimi giorni: non meno di quarantamila tonnellate. E i morti, i feriti?
“All’ospedale neozelandese (che aveva trovato posto nel non ancora finito Policlinico della città)” scriverà Carbonara “cominciarono ad arrivare i primi feriti. Molti, più che colpiti dalle esplosioni, erano provati dall’effetto del gas vescicante. Ma non si sapeva che fosse stato il gas a provocare tali effetti, perché, sul momento, nessuno lo intuì. Non vi erano vestiti di ricambio e pertanto non fu possibile cambiare
d’abito i soldati che erano caduti nelle acque del porto. Chi non poté cambiarsi di sua iniziativa rimase quindi con gli abiti zuppi d’iprite, che non solo agì sulla pelle, ma fu assunta attraverso le vie
respiratorie.
I primi inspiegabili collassi si ebbero dopo cinque o sei ore dalla contaminazione. Dopo, seguirono le prime morti, quasi improvvise, di gente che qualche minuto prima sembrava stesse per riprendersi. Tutti avevano la pelle piena di vesciche. Sulle ascelle, l’inguine e i genitali le pelle si staccava come avviene per le ustioni più gravi”.
Soltanto domani qualcuno dei medici comincerà a intuire qualcosa. Un capitano della sanità si recherà dalle autorità alleate per chiedere l’esatto contenuto delle navi colpite. Si telegraferà negli Stati Uniti, da dove le navi erano partite, ma nessuno darà o vorrà dare una risposta; e anche in futuro la risposta non arriverà mai. Quante le vittime? Sarà impossibile calcolarne il numero; sicuramente intorno a un migliaio tra civili e militari. Oltre ai morti per le bombe e per i crolli, oltre ottocento militari saranno ricoverati per ustioni o ferite; di essi 617 a causa dell’iprite. A Bari ne moriranno 84 e molti in altri ospedali, sia italiani sia in Africa del nord e negli Stati Uniti dove verranno trasportati.
I civili saranno almeno 250. Nella città vecchia sono crollate alcune vecchie case e una di esse, non ricostruita, creerà una piazzetta al fianco della sacrestia della cattedrale. Nella parte nuova della città crollano tre edifici; due tra via Andrea e via Roberto, vicino alla chiesa di San Ferdinando, un terzo in via Crisanzio nei pressi della manifattura dei tabacchi.
“Ma se il bombardamento” racconta Paolo de Palma, un altro che era a Bari in quel giorno, “non si trasformò in un vero e proprio massacro per i cittadini baresi lo si deve al vento che si mise a spirare verso levante, evitando così un pericolo devastante. Forse fu San Nicola che volle ancora una volta tutelare la sua città”.

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