STORIA DI NAPOLEONE BONAPARTE
STORIA DI NAPOLEONE BONAPARTE
Napoleone Bonaparte (Ajaccio, 15 agosto[1] 1769 – Isola di Sant’Elena, 5 maggio 1821) è stato un politico e militare francese, nonché fondatore del Primo Impero francese.
Fu prima ufficiale d’artiglieria e quindi generale durante la rivoluzione francese. Governò la Francia a partire dal 1799: fu primo console dal novembre 1799 al maggio 1804 e imperatore dei francesi, con il nome di Napoleone I (Napoléon Ier ), dal dicembre 1804 al 14 aprile 1814 e nuovamente dal 20 marzo al 22 giugno 1815. Fu anche presidente della Repubblica Italiana dal 1802 al 1805 e re d’Italia dal 1805 al 1814, «mediatore» della Repubblica Elvetica dal 1803 al 1813 e «protettore» della Confederazione del Reno dal 1806 al 1813.
Grazie a una serie di brillanti campagne militari e alleanze, conquistò e governò larga parte dell’Europa continentale, esportando gli ideali rivoluzionari di rinnovamento sociale e arrivando a controllare numerosi Regni europei tramite i membri della sua famiglia (Spagna, Napoli, Westfalia e Olanda).
La disastrosa Campagna di Russia (1812) segnò la fine del suo dominio sull’Europa. Sconfitto a Lipsia dagli alleati europei nell’ottobre del 1813, Napoleone abdicò il 14 aprile 1814 e venne esiliato all’Isola d’Elba.
Nel marzo del 1815, abbandonata furtivamente l’Elba, sbarcò vicino ad Antibes e rientrò a Parigi «senza sparare un sol colpo», riconquistando il potere per il periodo detto dei Cento Giorni, finché non venne definitivamente sconfitto a Waterloo dalla settima coalizione, il 18 giugno 1815. Trascorse gli ultimi anni di vita in esilio all’isola di Sant’Elena, sotto il controllo degli inglesi. Dopo la sua caduta, il Congresso di Vienna ristabilì in Europa i vecchi Regni pre-napoleonici (Restaurazione).
Fu il primo regnante della dinastia dei Bonaparte. Sposò Joséphine de Beauharnais nel 1796, e in seconde nozze l’arciduchessa Maria Luisa d’Austria, l’11 febbraio 1810, dalla quale ebbe l’unico figlio legittimo, Napoleone Luigi detto il re di Roma (1811-1832).
La sua figura ha ispirato artisti, letterati, musicisti, politici e storici, dall’ottocento sino ai giorni nostri.
Primi anni e carriera nell’esercito
Napoleone Bonaparte nacque ad Ajaccio in Corsica poco più di un anno dopo la stipula del Trattato di Versailles (maggio 1768), con il quale la Repubblica di Genova lasciava mano libera alla Francia in Corsica, che fu così invasa dalle armate di Luigi XV ed annessa al patrimonio personale del Re.
La famiglia Bonaparte apparteneva alla piccola borghesia còrsa[2] e aveva lontane origini nobili toscane (sembra accertato che gli antenati fossero, al servizio di Genova, immigrati in Corsica da Sarzana nel XVI secolo)[3].
Il padre di Napoleone, Carlo Maria Buonaparte (Napoleone “francesizzò” il cognome in “Bonaparte” dopo la morte del padre, pochi giorni prima di sposare Giuseppina e partire per la campagna d’Italia[4]), avvocato laureatosi all’Università di Pisa, aveva effettuato ricerche araldiche per ottenere, presso i lontani parenti toscani di San Miniato (Pisa), una patente di nobiltà che gli conferisse prestigio in Patria e gli permettesse di meglio provvedere all’istruzione dei figli. Morì ancor giovane a causa di un cancro allo stomaco, il 24 febbraio 1785, a Montpellier. La madre, Letizia Ramolino, sopravvisse allo stesso Napoleone, passando gli ultimi anni della sua vita a Roma, dove morì nel 1836. Letizia Ramolino ebbe 13 figli, di cui solo otto sopravvissero: i fratelli Giuseppe, Luciano, Luigi e Girolamo; le sorelle Elisa, Paolina e Carolina oltre che lo stesso Napoleone.
Fu solo grazie al titolo nobiliare ottenuto in Toscana che Carlo poté iscriversi al Libro della nobiltà di Corsica, istituito dai francesi per consolidare la conquista dell’isola[5], e solo grazie a tale iscrizione, all’età di appena nove anni, il giovane Napoleone fu ammesso il 23 aprile 1779, sempre per iniziativa del padre, alla Scuola reale di Brienne-le-Château, nel nord della Francia, dove rimase fino al 17 ottobre 1784 o, secondo alcuni storici, fino al 30 ottobre dello stesso anno[6]. Per migliorare il suo francese e prepararsi alla scuola, prima frequentò per quattro mesi il collegio di Autun.
Napoleone inizialmente non si considerava francese e si sentiva a disagio in un ambiente dove i suoi compagni di corso erano in massima parte provenienti dalle file dell’alta aristocrazia transalpina, e lo prendevano crudelmente in giro motteggiando il suo nome come “la paille au nez”[7] (l’accusa di essere straniero l’avrebbe perseguitato per tutta la vita)[8]. Senza amici e mal considerato, anche per la fragile apparenza fisica, il giovane Napoleone si dedicò con costanza agli studi, riuscendo particolarmente bene in matematica.
Il 22 ottobre 1784 Luigi XVI gli concesse un posto di cadetto-gentiluomo nella École Militaire di Parigi, fondata da Luigi XV. Nel 1785 tentò di passare in Marina, ma in seguito all’annullamento degli esami d’ammissione di quell’anno, passò in artiglieria, desideroso di abbandonare gli studi al più presto e dedicarsi alla carriera militare. Ottenne quindi la nomina a sottotenente a soli 16 anni e fu distaccato presso un reggimento di stanza a Valence (Drôme), nel sud-est della Francia.
Allo scoppio della rivoluzione, nel 1789, Napoleone (ormai ufficiale del re Luigi XVI) riuscì a ottenere una lunga licenza e ne approfittò per riparare al sicuro in Corsica, ove si unì al movimento rivoluzionario assumendo il grado di tenente colonnello della Guardia Nazionale. Nel 1792 si rifiutò di tornare a servire nell’Armata in Francia e fu pertanto considerato disertore. Su pressione dei familiari, si convinse tuttavia a rientrare a Parigi, dove si presentò al ministro della Guerra e difese la propria causa con tali argomenti e tale abilità da ottenere non solo il perdono e il reintegro, ma persino la promozione ipso facto a capitano[9].
Nel frattempo (1793) in Corsica infuriava la guerra civile. Già dal 1792 gli eccessi rivoluzionari e l’instaurazione del “Terrore” avevano spinto l’eroe nazionale dell’indipendenza corsa, Pasquale Paoli (che era rientrato trionfalmente nel suo Paese nel 1790, dopo il lungo esilio impostogli dai Re di Francia), a prendere le distanze da Parigi e a riprendere il cammino verso l’indipendenza della Corsica. Accusato di tradimento e inseguito da un mandato di arresto emesso dalla Convenzione il 2 aprile 1792, Paoli ruppe gli indugi il 17 aprile successivo, rivolgendosi con un appello direttamente al popolo corso affinché difendesse la propria patria e i propri diritti. I Buonaparte, che pure avevano sostenuto Paoli al tempo della rivolta contro Genova e poi contro le Armate di Luigi XV (il padre Carlo e forse anche la madre parteciparono accanto a Paoli alla battaglia di Ponte Nuovo contro i francesi), scelsero invece la causa francese. Napoleone fuggì rapidamente ad Ajaccio e di lì riparò con l’intera famiglia – accusata di tradimento – a Tolone.
Da quel momento Napoleone sostenne con decisione la rivoluzione e salì rapidamente nella gerarchia militare. Nel dicembre 1793, come tenente colonnello addetto all’artiglieria, liberò il porto di Tolone dai monarchici e dalle truppe inglesi che li appoggiavano; fu il suo primo clamoroso e avventuroso successo militare, che gli valse la nomina a generale di brigata e l’attenzione del futuro membro del Direttorio Paul Barras, che lo aiuterà poi nella scalata al potere. La sua amicizia con Augustin Robespierre, fratello di Maximilien, lo fece cadere in disgrazia all’indomani del 9 termidoro e la conseguente fine del Terrore. Tuttavia la fortuna gli arrise quando il 13 vendemmiaio (5 ottobre 1795) Barras lo nominò, all’improvviso, comandante della piazza di Parigi, con l’incarico di salvare la Convenzione Nazionale dalla minaccia dei monarchici (realisti). Con l’aiuto di Gioacchino Murat al comando della cavalleria, Napoleone colpì duramente i rivoltosi scongiurando un nuovo colpo di Stato. In seguito al brillante successo, Barras lo nominò generale del Corpo d’Armata dell’Interno.
La campagna d’Italia
Il 9 marzo 1796 Napoleone sposò Joséphine Tascher de La Pagerie, vedova Beauharnais, già moglie di un ufficiale ghigliottinato dopo la rivoluzione. Dopo soli due giorni partì per l’Italia al comando di 38.000 uomini mal equipaggiati, dando il via ad una operazione militare che, nei piani del Direttorio, doveva essere semplicemente di «diversione», poiché l’attacco all’Austria sarebbe dovuto avvenire lungo due direttrici sul Reno. Iniziava così la prima campagna d’Italia che avrebbe portato alla luce il genio militare e politico di Napoleone il quale, nonostante l’inferiorità numerica e logistica, riuscì a sconfiggere ripetutamente le forze austriache. Questi successi affascinarono anche il grande compositore Ludwig Van Beethoven, che dedicò al giovane generale repubblicano la sinfonia n. 3, l'”Eroica”.
Numerose le battaglie contro le forze armate austriache e piemontesi a Dego, Millesimo, Cairo Montenotte, Cosseria e a San Michele Mondovì dove vi fu una storica battaglia il 19 aprile 1796 chiamata “Battaglia della Bicocca di San Giacomo” o “Presa di San Michele”[10]. Con l’armistizio di Cherasco, Napoleone costrinse Vittorio Amedeo III di Savoia a pesanti concessioni, ratificate con la Pace di Parigi (15 maggio), che assegnava alla Francia sia la Savoia che la contea di Nizza. Il 10 maggio 1796 sbaragliò l’ultima difesa austriaca nella battaglia al Ponte di Lodi e il 15 maggio dello stesso anno entrò a Milano.
Il 16 maggio, venne insediata a Milano l’Amministrazione Generale della Lombardia, entità politico-militare della quale facevano parte sia francesi (provenienti dalle file dell’Armata d’Italia) sia esponenti illuministi del capoluogo lombardo, come Pietro e Alessandro Verri, Gian Galeazzo Serbelloni e Francesco Melzi d’Eril.
Il 9 luglio 1797 venne proclamata la Repubblica Cisalpina (capitale Milano) e, nell’ottobre del 1796, si costituì la Legione Lombarda, prima forza armata composta da italiani ad adottare quale bandiera di guerra il Tricolore (verde, bianco e rosso). Contemporaneamente le ex-legazioni pontificie si costituirono in Repubblica Cispadana e adottarono (7 gennaio 1797) il tricolore quale bandiera nazionale.
Le forze austriache, comandate dall’arciduca Carlo d’Austria, intimorite dalla rapida marcia di Napoleone verso Vienna, dovettero accettare una tregua sfavorevole, che si concretizzò nel trattato di Campoformio, il 17 ottobre 1797. Oltre all’indipendenza delle nuove repubbliche formatesi, la Francia acquisiva i Paesi Bassi e la riva sinistra del Reno, gli Austriaci inglobavano i territori della Repubblica di Venezia. Terminava così, con una secca sconfitta dell’Austria, la campagna d’Italia.
Nel corso della campagna d’Italia, Napoleone dimostrò la sua brillante capacità strategica, capace di assorbire il sostanzioso “corpo” delle conoscenze militari del suo tempo (particolarmente i più moderni insegnamenti di Federico II di Prussia) e di applicarlo al mondo reale che lo circondava. Ufficiale di artiglieria per formazione, utilizzò i mezzi d’artiglieria in modo innovativo come supporto mobile agli attacchi della fanteria. Dipinti contemporanei del suo Quartier Generale mostrano che in queste battaglie utilizzò, primo al mondo in un teatro di guerra, un sistema di telecomunicazioni basato su linee di segnalazione realizzate col semaforo di Chappe, appena perfezionato nel 1792.
La campagna d’Egitto e di Siria
Nel 1798 il Direttorio, preoccupato per l’eccessiva popolarità e per il notevole prestigio di Bonaparte, gli affidò l’incarico di occupare l’Egitto per contrastare l’accesso inglese all’India e quindi per danneggiarla economicamente. Un indizio della devozione di Napoleone ai principi dell’Illuminismo fu la sua decisione di affiancare gli studiosi alla sua spedizione: la spedizione d’Egitto ebbe il merito di far riscoprire, dopo centinaia di anni, la grandezza di quella terra, e fu proprio l’opera di Napoleone a far nascere la moderna egittologia, soprattutto grazie alla scoperta della Stele di Rosetta da parte dei soldati al seguito della spedizione. Napoleone aveva da anni accarezzato l’idea di una campagna in oriente, sognando di seguire le orme di Alessandro Magno ed essendo dell’idea che «L’Europa è una tana di talpe. Tutte le grandi personalità vengono dall’Oriente».
Dopo un’importante vittoria nella battaglia delle Piramidi, Napoleone schiacciò i mamelucchi di Murad Bey ed entrando al Cairo divenne padrone dell’Egitto. Pochi giorni dopo, il 1º agosto 1798, la flotta di Napoleone in Egitto fu completamente distrutta dall’ammiraglio Horatio Nelson, nella baia di Abukir, cosicché Napoleone rimase bloccato a terra. Dopo una ricognizione sul Mar Rosso, Napoleone decise di recarsi in Siria, col pretesto di inseguire il governatore di Acri Ahmad Jazzār Pascià che aveva tentato di attaccarlo. Giunto però il 19 marzo 1799 dinanzi a San Giovanni d’Acri, l’antica fortezza dei crociati in Terra Santa, Napoleone perse più di due mesi in un inutile assedio e la campagna di Siria si concluse con un fallimento.
Ritornato al Cairo, Napoleone sconfisse il 25 luglio 1799 un esercito di oltre diecimila ottomani guidati da Mustafa Pascià ad Abukir, proprio dove l’anno prima era stato privato di tutta la sua flotta. Preoccupato tuttavia delle terribili notizie che giungevano dalla Francia (l’esercito in ripiegamento su tutti i fronti, il Direttorio ormai privo di potere) e consapevole che la campagna d’Egitto non aveva conseguito i fini sperati, Napoleone, lasciato il comando al generale Kléber, s’imbarcò in gran segreto il 22 agosto 1799 sulla fregata Muiron (preda bellica ex veneziana) alla volta della Francia.
Il 18 brumaio e il Consolato
Il 9 ottobre sbarcò a Fréjus, e la sua corsa verso Parigi fu accompagnata dall’entusiasmo dell’intera Francia, certa che il generale fosse tornato in patria per assumere il controllo della situazione ormai ingestibile e in effetti era questa l’intenzione di Napoleone. Giunto a Parigi, egli riunì i cospiratori decisi a rovesciare il Direttorio. Dalla sua si schierarono il fratello maggiore Giuseppe e soprattutto il fratello Luciano, allora presidente del Consiglio dei Cinquecento, che con il Consiglio degli Anziani costituiva il potere legislativo della repubblica. Dalla sua Napoleone riuscì ad avere il membro del Direttorio Roger Ducos e soprattutto Emmanuel Joseph Sieyès, il celebre autore dell’opuscolo Che cosa è il Terzo Stato? e ideologo di punta della borghesia rivoluzionaria. Inoltre, dalla sua si schierò l’astutissimo ministro degli esteri Talleyrand e il ministro della polizia Joseph Fouché. Barras, il membro più influente del Direttorio dopo Sieyès, conscio delle capacità di Napoleone, accettò di farsi da parte.
Fatta trapelare la falsa notizia di un complotto realista per rovesciare la repubblica, Napoleone riuscì a far votare al Consiglio degli Anziani e al Consiglio dei Cinquecento una risoluzione che trasferisse le due Camere il 18 brumaio (9 novembre) fuori Parigi, a Saint-Cloud; Napoleone fu nominato comandante in capo di tutte le forze armate. Ciò fu fatto per evitare che durante il colpo di Stato qualche deputato potesse sollevare i cittadini parigini per difendere la Repubblica dal tentativo di Napoleone. L’intenzione di Napoleone era quella di portare le due Camere a votare autonomamente il loro scioglimento e la cessione dei poteri nelle sue mani. Non fu così: il Consiglio degli Anziani rimase freddo al discorso pasticciato di Napoleone per far pressione su di esso, mentre quando Napoleone entrò nella sala del Consiglio dei Cinquecento i deputati gli si lanciarono contro chiedendo di votare per rendere Bonaparte fuorilegge (cosa che voleva significare l’arresto e la ghigliottina). Nel momento in cui sembrava che il colpo di Stato fosse prossimo alla catastrofe, a soccorrere Napoleone giunse il fratello Luciano, che nelle vesti di presidente dei Cinquecento uscì dalla sala e arringò le truppe schierate all’esterno, ordinando che disperdessero i deputati terroristi. Memorabile il momento in cui puntò la sua spada al collo di Napoleone e dichiarò: «Non esiterei un attimo a uccidere mio fratello se sapessi che costui stesse attentando alla libertà della Francia. Le truppe, in gran parte veterani delle campagne di Napoleone, al comando del cognato di quest’ultimo, il generale Victor Emanuel Leclerc e del futuro cognato Gioacchino Murat, entrarono con le baionette innestate e dispersero i deputati. In serata, le Camere venivano sciolte e fu votato il decreto che assegnava i pieni poteri a tre consoli: Roger Ducos, Sieyès e Napoleone.
Il Consolato
Nominati consoli provvisori, i tre nuovi padroni della Francia redigevano insieme a due commissioni apposite una nuova costituzione, la costituzione dell’anno VIII che, ratificata con un plebiscito popolare, legittimava il colpo di Stato. L’evoluzione della rivoluzione si stava ormai riportando verso forme di governo più aristocratico, dimostrandosi non praticabili molte delle teorie rivoluzionarie emerse nella rivoluzione. Nel pensiero politico di Sieyès, il Consolato sarebbe dovuto essere un governo dei notabili, che assicurasse la democrazia attraverso un complesso equilibrio di poteri. Questo progetto fu mandato all’aria da Napoleone il quale, pur in teoria detentore del solo potere esecutivo, aveva in realtà facile gioco nello scavalcare quello legislativo frammentato in ben quattro Camere. Fattosi nominare Primo Console, ossia concretamente superiore a qualsiasi altro potere dello Stato, Napoleone ricostruiva la Francia con una struttura amministrativa fortemente accentratrice ma così perfetta che è rimasta tale fino a oggi: la Francia veniva frazionata in dipartimenti, distretti e comuni, rispettivamente amministrate da prefetti, sottoprefetti e sindaci. Le casse dello Stato venivano risanate dalle conquiste di guerra e dalla fondazione della Banca di Francia, nonché dall’introduzione del franco d’argento che poneva fine all’era degli assegnati e dell’inflazione. La lunga lotta contro il Cattolicesimo si concludeva con il Concordato del 1801, ratificato da papa Pio VII, che stabiliva il Cattolicesimo «religione della maggioranza dei francesi» (benché non religione di Stato), ma non riconsegnava al clero i beni espropriati durante la rivoluzione. Nel campo dell’istruzione, Napoleone istituì i licei e i politecnici, per formare una classe dirigente preparata e indottrinata, ma tralasciò l’istruzione elementare, essendo dell’idea che il popolo dovesse rimanere in una certa ignoranza per garantire un governo stabile e un esercito ubbidiente. Il consolato di Napoleone divenne «a vita» con il plebiscito del 2 agosto 1802. Si apriva la strada all’istituzione dell’Impero napoleonico.
Il Codice napoleonico
Durante l’esilio a Sant’Elena, Napoleone sottolineò più volte che la sua opera più importante, quella che sarebbe passata alla storia più delle centinaia di battaglie vinte, sarebbe stato il suo codice civile, il Codice napoleonico. Indubbiamente, la sua frase colse nel segno.
Il Codice napoleonico legittimò alcune delle idee illuministiche, fu esportato in tutti i paesi dove giunsero le armate di Napoleone, fu preso a modello da tutti gli Stati dell’Europa continentale e ancora oggi è la base del diritto italiano. Istituita l’11 agosto 1799, la commissione incaricata di redigere il codice civile (composta dal Secondo Console Jean-Jacques Régis de Cambacérès e da quattro avvocati), fu presieduta molto spesso dallo stesso Napoleone, il quale ne leggeva le bozze durante le campagne militari e inviava a Parigi, dal fronte, le sue idee sul progetto. Il 21 marzo 1804 il Codice Civile, da subito ribattezzato Codice napoleonico, entrava in vigore.
Il Codice eliminava definitivamente i retaggi dell’ancién régime, del feudalesimo, dell’assolutismo, e creava una società prevalentemente borghese e liberale, di ispirazione laica, nella quale venivano consacrati i diritti di eguaglianza, sicurezza e proprietà. Tra i principi della Rivoluzione, venivano salvaguardati quelli della libertà personale, dell’uguaglianza davanti alle legge, della laicità dello Stato (già sancita dal Concordato) e della libertà di oscienza, della libertà del lavoro. Il Codice era stato però pensato e redatto soprattutto per valorizzare gli ideali della borghesia; perciò andava soprattutto a regolamentare questioni rigurdanti i contratti di proprietà e la stessa legislazione riguardante la famiglia era di naturale contrattualistica. La struttura familiare che il Codice consacra è di tipo paternalistico: il padre può far imprigionare i figli per sei mesi senza controllo delle autorità e amministra i beni della moglie. Veniva tuttavia garantito il divorzio, benché reso più complesso rispetto all’epoca rivoluzionaria.
Per l’Italia il valore del Codice napoleonico fu fondamentale, poiché esso fu portato negli stati creati da Napoleone e confluì poi nel codice civile italiano del 1865. Di eguale valore e importanza sono anche gli altri codici: quello di procedura civile, emanato nel 1806, quello del commercio (1807), quello di procedura penale (1808) e il codice penale del 1810.
Le opposizioni realista e giacobina
La sera del 10 ottobre 1800 Napoleone, mentre assisteva ad un’opera al Théatre de la République, sarebbe dovuto cadere sotto le pugnalate di quattro sicari, ma il complotto fu sventato all’ultimo momento grazie ad una soffiata, che consentì alla polizia di intervenire arrestando i quattro attentatori proprio in teatro. L’evento passerà alla storia con il nome di congiura dei pugnali.
Poco dopo, la notte di Natale del medesimo anno Napoleone, la moglie e il suo seguito scamparono miracolosamente a un attentato dinamitardo nelle strade di Parigi, mentre si recavano all’Opera. Napoleone ne approfittò per mettere fuori legge i giacobini, molti dei quali vennero esiliati in Guyana, e disperdere i monarchici. L’opposizione non demordeva e, oltre ad una intensa attività libellistica, si ebbe notizia di attentati in preparazione contro di lui. Infatti egli era odiato sia dai giacobini, che dopo le misure di riconciliazione nazionale, quali l’amnistia generale ed il diritto al rientro per i nobili emigrati per scampare al terrore, temevano volesse restaurare la monarchia, sia dai realisti, che lo consideravano come l’usurpatore del legittimo sovrano Luigi XVIII.
Nel marzo 1804, per dare un segnale forte ai Borboni, che ancora complottavano per ritornare sul trono francese, Napoleone fece catturare a Ettenheim, cittadina dello stato del Baden situata presso il confine francese, il duca di Enghien, legato alla famiglia reale esiliata, che fu ingiustamente accusato di cospirazione contro il Primo Console e fucilato subito dopo. L’evento destò l’indignazione di tutte le corti europee per l’arrogante violazione della sovranità di uno stato estero da parte della Francia e per la sorte riservata al povero duca, e conferì un’ombra negativa all’immagine europea del Bonaparte, alla quale invece l’allora Primo Console teneva moltissimo. Il generale Moreau, implicato nel complotto realista ma idolo dei giacobini, venne invece condannato a soli due anni di carcere, successivamente condonati con la possibilità di espatriare negli Stati Uniti, da dove però Moreau ritornerà nel 1813 per unirsi all’esercito russo e morire durante la battaglia di Dresda.
Guerra in Europa, ascesa all’Impero
Durante l’assenza di Napoleone impegnato in Egitto, i francesi erano stati ripetutamente battuti in Italia e in Germania dagli austriaci (battaglia di Novi) a Cassano d’Adda e sul Reno. La nuova coalizione antifrancese aveva rovesciato la Repubblica Napoletana del 1799, fondata dai francesi, e quella Romana e la Repubblica Cisalpina. Il 6 maggio 1800, sei mesi dopo il colpo di Stato del 18 brumaio, Napoleone assunse nuovamente il comando dell’esercito francese. Con una marcia esemplare valicò le Alpi al passo del Gran San Bernardo, un’impresa che colse di sorpresa gli Austriaci, i quali vennero rapidamente battuti a Montebello, mentre Napoleone ritornava a Milano. Il 14 giugno 1800 si combatté la battaglia di Marengo. Fu la più celebre della battaglie napoleoniche in Italia, la più dura ma definitiva. Alle tre del pomeriggio Napoleone aveva perso: alle otto della sera il suo trionfo era completo. A rovesciare le sorti della battaglia fu il generale Desaix che, giunto sul campo con nuove truppe, annientò l’esercito austriaco del generale Melas, già certo della vittoria, ma morì in battaglia. A Milano venne provvisoriamente ricostituita la Repubblica Cisalpina che verrà sostituita dopo i Comizi di Lione dalla Repubblica Italiana (1802-1805)
La pace in Italia venne sancita con la pace di Luneville, che in pratica riconfermava il precedente trattato di Campoformio violato dagli Austriaci.
Nel 1802 venne proclamato Presidente della Repubblica Italiana (il patrizio milanese Francesco Melzi d’Eril ne fu nominato vice Presidente), titolo che conserverà sino al 17 marzo 1805 quando assumerà quello di Re d’Italia.
Con la pace di Amiens del 1802 anche l’Inghilterra firmava la pace con la Francia. Napoleone aveva distrutto la nuova coalizione antifrancese, assicurandosi anche l’appoggio dello zar di Russia Alessandro I. Per due anni l’Europa fu finalmente in pace.
Nel 1802 Napoleone vendette una parte del Nord America agli Stati Uniti come parte dell’Accordo sulla Louisiana: egli aveva appena fronteggiato un grosso problema militare quando l’esercito, mandato a riconquistare Santo Domingo, dopo aver affrontato la rivolta capeggiata da Toussaint L’Ouverture, fu colpito dalla febbre gialla. La rivolta fu comunque stroncata. Con le forze dell’Ovest in condizioni tali da non poter agire, Napoleone capì che non avrebbe potuto difendere la Louisiana e decise di venderla (8 aprile 1803). Egli ristabilì, nel 1802, la schiavitù nelle colonie francesi.
Dopo che Napoleone ebbe allargato la sua influenza alla Svizzera e alla Germania, una disputa su Malta fornì all’Inghilterra il pretesto nel 1803 per dichiarare guerra alla Francia e fornire sostegno ai monarchici francesi che a lui si opponevano.
Autoincoronazione in Notre-Dame
Ormai console a vita, Napoleone era in pratica sovrano assoluto della Francia. Il 18 maggio 1804 il Senato lo proclamò imperatore dei francesi. Il 2 dicembre dello stesso anno, nella cattedrale di Notre-Dame a Parigi, fu celebrata la cerimonia di incoronazione: dopo che le insegne imperiali furono benedette da papa Pio VII, Napoleone incoronò prima sé stesso imperatore dei francesi, e quindi imperatrice sua moglie Joséphine de Beauharnais. Sono apocrife le voci secondo cui Napoleone avrebbe strappato la corona dalle mani del Papa durante la cerimonia, per non assoggettarsi all’autorità pontificia: Pio VII si aspettava la mossa e non toccò mai la corona con le sue mani
Successivamente, il 26 maggio 1805 nel Duomo di Milano, Napoleone fu incoronato Re d’Italia con la Corona Ferrea, custodita nel Duomo di Monza a partire dal 1946.
Rinasceva in Francia la monarchia, ma non era la stessa monarchia rovesciata nel 1792, privata dei poteri già nel 1789. Napoleone non era «re di Francia e di Navarra per grazia di Dio», come citavano le formule dell’Ancien Régime, ma «Imperatore dei francesi per volontà del popolo». Fu in sostanza un nuovo re dei francesi, tanto che da lui hanno origine molte delle attuali monarchie moderne europee; e fu in effetti una monarchia, poiché Napoleone era padrone assoluto, anche se una monarchia che però non si rifaceva alla nobiltà feudale dell’Ancien Régime, ma nella quale si attuavano alcuni princìpi illuministici della borghesia.
La conquista dell’Europa
Nel 1805 si formò in Europa la terza coalizione contro Napoleone; egli aveva trascorso l’ultimo anno sulle coste della Normandia, a preparare una vasta operazione militare con l’alleanza della Spagna contro l’Inghilterra ma, comprendendo la situazione troppo sfavorevole, tornò improvvisamente sui suoi passi e si mise al comando della Grande Armata che, a marce forzate, giunse rapidamente nel cuore dell’Europa per sconfiggere le forze nemiche sul continente. Napoleone aveva fatto bene i suoi conti: il 21 ottobre, infatti, a largo di Trafalgar la flotta francese comandata dal mediocre ammiraglio Pierre-Charles Villeneuve veniva completamente annientata dagli inglesi al comando di Horatio Nelson, che morì durante lo scontro, colpito da un tiro di moschetto. Svanivano per sempre i sogni di invasione dell’Inghilterra.
Le forze coalizzate prevalentemente austriache e russe (sotto il nuovo zar Alessandro I), anche se con la neutralità della Prussia, erano numericamente soverchianti ma divise. Due i fronti interessati: quello germanico, dove Napoleone in persona guidava la Grande Armée e quello italiano dove il generale Masséna guidava l’Armée d’Italie. A nulla valsero la resa del generale nemico Mack ad Ulm (20 ottobre), la battaglia di Caldiero (30 ottobre) e la conquista di Vienna da parte di Gioacchino Murat: il grosso dell’esercito nemico rimaneva infatti intatto. Il 2 dicembre 1805, tuttavia, anniversario della sua incoronazione, Napoleone mise fine alla terza coalizione nella battaglia di Austerlitz. Rimasta nella storia come il suo capolavoro strategico, con la battaglia di Austerlitz Napoleone divenne padrone dell’Europa. Il giorno dopo i sovrani d’Europa chiesero la pace. L’Austria perdeva anche Venezia, che veniva unita al regno d’Italia, e perdeva ogni controllo sulla Germania, che ora si ricostruiva come Confederazione del Reno, primo seme dell’unità tedesca sotto il controllo diretto di Napoleone. Si racconta che, dopo aver appreso di Austerlitz, il primo ministro inglese William Pitt avesse chiesto a una nipote di arrotolare la carta dell’Europa esposta in un corridoio di casa. «Non ci servirà per almeno dieci anni».
L’anno seguente Napoleone sconfisse la Prussia nella battaglia di Jena (14 ottobre 1806).
La quarta coalizione, comandata dalla Prussia, venne sconfitta il 14 giugno 1807 sulle gelide pianure di Friedland, dopo i rovesci alterni della sanguinosissima battaglia di Eylau: lo zar Alessandro I fu costretto a firmare la pace, nell’incontro di Tilsit. In quell’incontro l’Europa venne ufficiosamente divisa in zone d’influenza: si decise, in una nota segreta allegata al tratto di Tilsit, che i territori tra il fiume Elba e il Memel avrebbero formato la barriera di divisione tra i due grandi imperi. Rimaneva aperta la questione della Polonia, che Napoleone voleva rendere indipendente, contrariamente alle intenzioni dello zar.
Quando il papa rifiutò di aderire all’embargo nei confronti dell’Inghilterra, dichiarando che le sue qualità di pastore universale gli imponevano la neutralità, Napoleone fece occupare Roma dal generale Miollis e il 7 maggio 1809 ordinò l’annessione dello Stato Pontificio all’Impero francese. Il papa rispose con una bolla di scomunica e Napoleone ordinò a Miollis di precedere all’arresto del pontefice. Provvide subito il generale Radet che lo fece trasportare, insieme con il Segretario di Stato cardinale Bartolomeo Pacca, a Grenoble, indi a Fontainebleau, dove Napoleone riuscì solo quattro anni dopo a strappargli l’approvazione di un nuovo Concordato.
Il blocco continentale e la conquista della Spagna
Per mettere in ginocchio l’Inghilterra, unica potenza ancora in armi contro la Francia, Napoleone avviò un embargo. Tuttavia questo embargo, chiamato Blocco Continentale (poiché, nelle intenzioni del Bonaparte, tutta l’Europa continentale avrebbe dovuto aderire all’embargo contro le isole britanniche) non diede i risultati sperati. Il fallimento del blocco fu dovuto al fatto che molti paesi europei non vi aderirono completamente, continuando a mantenere scambi commerciali con il nemico. Napoleone, per colpire il Portogallo che manteneva aperti alla flotta inglese i suoi porti, invase la Spagna ed il Portogallo stesso, mentre più tardi l’uscita dal blocco della Russia costringerà Napoleone a imbarcarsi in una campagna catastrofica.
Nel 1808, sfruttando un diverbio nella famiglia reale spagnola tra il re Carlo IV e il figlio, il principe delle Asturie Ferdinando, Napoleone costrinse entrambi ad abdicare e mise sul trono di Spagna il fratello Giuseppe, facendola così entrare nell’orbita dell’Impero francese. Le truppe francesi conquistavano intanto il Portogallo, ma la situazione divenne presto problematica. Gli inglesi, infatti, sbarcarono in Portogallo truppe al comando del generale sir Arthur Wellesley futuro duca di Wellington, che liberò il Portogallo e rese difficile la campagna in Spagna. Qui, infatti, la popolazione era insorta contro l’occupazione francese e aveva iniziato una durissima guerriglia che mise in ginocchio l’esercito occupante, costringendo il re Giuseppe alla fuga, e richiese l’intervento diretto di Napoleone. Il 4 dicembre Madrid si arrendeva all’imperatore, ma la Spagna rimase una spina nel fianco poiché Napoleone fu raggiunto dalle notizie della nascita di una nuova coalizione.
Tra il 5 e il 6 luglio 1809 Napoleone sconfisse la quinta coalizione a Wagram, dopo aver occupato Vienna e il palazzo di Schönbrunn. L’Austria subì pesantissime condizioni di pace: il Trentino-Alto Adige/Sud Tirolo, la Baviera, l’Istria e la Dalmazia furono perse. L’indennizzo di guerra fu enorme. Ma la sconfitta del nemico fu definitiva.
La nuova Europa di Napoleone
Nel 1810, l’Europa era definitivamente ridisegnata secondo il volere napoleonico. I territori sotto il diretto controllo francese si erano espansi ben oltre i tradizionali confini pre-1789; il resto degli Stati europei era o suo satellite o suo alleato. Il regno d’Italia era nominalmente governato da Napoleone, ma retto dal viceré Eugenio Beauharnais (figlio di primo letto della moglie di Napoleone Joséphine); il principato di Lucca e Piombino (fino al 1809), e quindi buona parte della Toscana (dal 1809), era governata dalla sorella Elisa, andata in sposa al principe còrso Felice Baciocchi; alla sorella Paolina, sposata col principe Camillo Borghese, andò il ducato di Guastalla, poi ceduto al regno d’Italia; il fratello maggiore Giuseppe riceveva il trono di Spagna; il fratello Luigi riceveva il trono d’Olanda, dopo aver sposato Hortense de Beauharnais, figlia della moglie di Napoleone Joséphine; il fratello Girolamo ebbe il regno di Westfalia; il generale Gioacchino Murat, poi maresciallo dell’Impero, ebbe il regno di Napoli, dopo aver sposato la sorella di Napoleone, Carolina; il maresciallo Bernadotte ebbe il trono di Svezia, ma ben presto tradì il suo ex capo entrando nella coalizione che lo avrebbe detronizzato.La Confederazione del Reno era di fatto sotto il controllo di Napoleone.
Dopo la pace di Schönbrunn, Napoleone e l’austriaco Metternich si erano accordati per un matrimonio di Stato. Il 14 dicembre 1809, Napoleone divorziò da Joséphine de Beauharnais, la moglie certo infedele ma amatissima: i due rimasero sempre legati fino alla morte di quest’ultima, avvenuta durante l’esilio di Napoleone all’Elba. Il 1º aprile 1810 Napoleone sposò la figlia dell’imperatore d’Austria, Maria Luisa di Asburgo, nipote di Maria Antonietta, la regina decapitata durante la Rivoluzione (il che provocò non poche polemiche in Francia). Con questo matrimonio l’Austria si era legata a Napoleone, il che portava alla creazione di un’alleanza pressoché indissolubile. Napoleone ebbe un erede legittimo da Maria Luisa, nato dopo un parto difficile il 20 marzo 1811. Tuttavia l’erede dell’Impero, Napoleone Francesco, detto il re di Roma (Napoleone II), non salì in realtà mai al trono: Napoleone fu detronizzato pochi anni dopo e Napoleone II morì successivamente a soli 21 anni.
La campagna di Russia
Nonostante gli accordi stabiliti a Tilsit, lo zar Alessandro I di Russia aveva cominciato a temere Napoleone e rifiutò di collaborare con lui riguardo al Blocco Continentale, per non danneggiare l’economia russa. Fu questa la principale causa che spinse Napoleone a invadere la Russia nel 1812 con ben 655.000 uomini, solo un terzo dei quali francesi. I russi, comandati da Kutuzov, decisero la tattica della ritirata piuttosto che scontrarsi contro il preponderante esercito napoleonico. Il 12 settembre nei dintorni di Mosca ebbe luogo la battaglia di Borodino: i russi, sconfitti, ripiegarono e Napoleone entrò a Mosca, convinto che Alessandro avrebbe negoziato la pace. Stabilitosi nel Cremlino, Napoleone non poteva immaginare che la città completamente vuota nascondesse in realtà un’insidia: nella notte Mosca cominciò a bruciare, essendo state appiccate le fiamme da alcuni russi nascosti nelle case. Napoleone, che aveva tentato a più riprese di venire a un accordo con Alessandro I senza riuscire neanche a far ricevere i suoi messi, perdendo così tempo prezioso per la ritirata, vista la prossimità dell’inverno, si rese conto della necessità di ritirarsi. Diede perciò ordine di iniziare la ritirata, (e di far saltare il Cremlino che solo per una miracolosa pioggia fu salvato): era rimasto in Mosca non più di trentacinque giorni.
La Grande Armata francese soffrì gravi perdite nel corso della rovinosa ritirata; la spedizione era iniziata con circa 700.000 uomini (di cui poco meno della metà erano francesi) e 200.000 cavalli, alla fine della campagna poco più di 18.000 uomini raggiunsero Vilna rimanendo nei ranghi; a questi si aggiunsero poi quarantamila isolati nei giorni successivi. In totale più di 400.000 furono i morti e 100.000 i prigionieri. Residuarono inoltre solo 10.000 cavalli. Tra il 25 e il 29 novembre, infatti, i resti dell’armata, distrutta dal prima caldo e poi dal freddo (il cosiddetto “generale Inverno”)vennero in gran parte annientati dai russi durante il passaggio della Beresina. Intanto, Napoleone era stato raggiunto dalla notizia che a Parigi il generale Malet aveva diffuso la notizia della morte dell’imperatore e tentato un colpo di Stato. Angosciato delle notizie di tradimento (Talleyrand e Fouché stavano ormai tramando col nemico), Napoleone abbandonò precipitosamente la Russia lasciando il comando a Gioacchino Murat e ad Eugenio Beauharnais e tornando nella capitale, dove iniziava a ricostruire un nuovo esercito di 400.000 uomini, in realtà giovanissimi e male addestrati. Le potenze europee, consce dell’atroce disfatta di Russia, sollevarono la testa e formarono una nuova coalizione.
La sconfitta di Lipsia, l’abdicazione e l’esilio all’Elba
La prima a unirsi alla vittoriosa Russia fu la Prussia che, abbandonando l’alleanza con Napoleone, si schierò a fianco dell’Inghilterra. Era la settima coalizione. Napoleone non si fece cogliere impreparato, e sconfisse i prussiani prima a Lützen e poi a Bautzen nel maggio 1813. Ma l’insidia più grande era l’Austria, la quale – non rispettosa dei patti – era pronta a scavalcare anche un matrimonio di stato come quello di Napoleone con Maria Luisa pur di sconfiggere l’odiato nemico. Nel corso di un memorabile e burrascoso incontro bilaterale a Dresda, Napoleone e Metternich non riuscirono a giungere a un accordo, e il 12 agosto l’Austria si univa alla coalizione antifrancese. Dopo un’ultima vittoria francese proprio a Dresda, le forze napoleoniche si scontrarono con gli eserciti congiunti di Austria, Russia, Prussia e Svezia (l’esercito di quest’ultima era comandato dall’ex maresciallo francese Bernadotte) nella battaglia di Lipsia, detta “battaglia delle Nazioni” perché vi parteciparono eserciti di tutta Europa. L’inesperto esercito francese, formato in gran parte da giovani reclute, la defezione dei contingenti tedeschi e le soverchianti forze nemiche furono i fattori che determinarono la sconfitta di Napoleone a Lipsia. L’esercito francese fu costretto a una rovinosa ritirata attraverso la Germania in piena insurrezione contro l’occupazione napoleonica, mentre anche l’Olanda si rivoltava e la Spagna era ormai persa.
Rientrato precipitosamente a Parigi, Napoleone doveva subire ora l’insubordinazione di tutti i corpi politici: le Camere denunciarono solo ora la sua tirannia, la nuova nobiltà da lui creata gli girò le spalle, il popolo ormai stanco della guerra rimase freddo, i marescialli dell’Impero cominciarono a defezionare: tra i principali, Gioacchino Murat che passò al nemico per conservare il regno di Napoli.
Il giorno di Natale del 1813 la Francia veniva invasa dagli eserciti della coalizione. Un mese dopo, il 25 gennaio 1814, consegnato al fratello Giuseppe il controllo di Parigi e alla moglie Maria Luisa la reggenza, salutato il piccolo figlio che non avrebbe mai più rivisto, Napoleone si metteva al comando di un esercito di 60.000 veterani della Vecchia Guardia[35]. Per due mesi, Napoleone tenne testa al nemico in quella che sarà definita da alcuni la sua campagna più brillante, vincendo a Brienne (proprio dove aveva studiato l’arte militare), a Champaubert, Montmirail, Chateau-Thierry, Vauchamps, Mormant, Villeneuve, Montereau, Craonne, Laon. Sconfitto infine dalle forze prussiane del feldmaresciallo von Blücher, da quella austriache e da quelle russe di Wintzingerode, consapevole di non poter anticipare le truppe nemiche in marcia su Parigi, Napoleone ripiegò su Fontainebleau ove, appresa la notizia del tradimento del generale Marmont che si era arreso con le sue truppe agli alleati, e scoraggiato dall’atteggiamento rinunciatario del maresciallo Michel Ney, il 4 aprile annunciò ufficialmente la sua intenzione di chiedere la pace.
Intanto il fratello Giuseppe era capitolato e il nemico era entrato vittorioso in Parigi con alla testa lo zar Alessandro I il 31 marzo, che il giorno successivo aveva già fatto affiggere sui muri di Parigi il suo proclama indirizzato al popolo francese.
A Fontainebleau Napoleone passò giorni duri e difficili. Gli giunse notizia che il nemico aveva rigettato la sua proposta di pace che stabiliva il ritorno ai «confini naturali» della Francia. Lo zar Alessandro I gli impose l’abdicazione. Egli, dopo aver più volte tentennato, decise di abdicare in favore del figlio e della reggenza di Maria Luisa. Ma il nemico decise per un’abdicazione totale, poiché Talleyrand aveva già preso accordi per restaurare sul trono i Borboni. Napoleone, indignato, minacciò di rimettersi alla testa dei suoi eserciti e marciare su Parigi, ma i marescialli lo costrinsero a cedere. L’abdicazione divenne effettiva il 6 aprile.
Il 12, Napoleone ingerì una forte dose di veleno ma miracolosamente si salvò.
Dopo un memorabile addio alla Vecchia Guardia, Napoleone subì il dramma della fuga quando, attraversando la Francia del sud, fu costretto a indossare un’uniforme austriaca per non finire linciato dalla folla. Imbarcatosi precipitosamente su un bastimento inglese, il 4 maggio 1814 sbarcò all’isola d’Elba, dove il nemico aveva deciso di esiliarlo, pur riconoscendogli la sovranità sull’isola e il titolo di Imperatore.
Stabilitosi a Portoferraio nei dieci mesi di esilio Napoleone non rimase inoperoso ma costruì infrastrutture, miniere, strade, difese, mentre il Congresso di Vienna che doveva disegnare la nuova Europa della Restaurazione ipotizzava di esiliarlo nell’oceano.
I “Cento giorni”
Pur impegnato nei lavori sull’Elba, Napoleone continuava a ricevere notizie della situazione francese. Il nuovo sovrano, Luigi XVIII Borbone, era inviso alla popolazione: nel solco della Restaurazione, Luigi stava lentamente smantellando tutte le conquiste della Rivoluzione legittimate da Napoleone. Queste notizie, aggiunte alla voce ormai certa che i nemici fossero prossimi a trasferirlo lontano dall’Europa, portarono Napoleone ad agire. Imbarcatosi in gran segreto con uno sparuto gruppo di granatieri su un bastimento, l’imperatore eluse la sorveglianza inglese e il 1º marzo 1815 sbarcò in Francia nel golfo di Cannes. Iniziavano i leggendari “Cento giorni”. La popolazione lo accolse con un entusiasmo sorprendente, e gli eserciti inviatigli contro da Luigi invece di fermarlo si unirono a lui. Il maresciallo Ney, che Napoleone stesso aveva definito «il più prode dei prodi» dopo le sue eroiche imprese nella ritirata di Russia, giurò allora al sovrano borbone che avrebbe condotto Napoleone a Parigi «in una gabbia di ferro». Ma quando i due eserciti si trovarono l’uno di fronte all’altro Napoleone si fece incontro all’esercito avversario e gridò «Chi vuole sparare al suo Imperatore è libero di farlo», fu accolto da un tripudio e lo stesso Ney crollò tra le sue braccia (sfortunatamente per lui, in seguito alla sconfitta di Napoleone a Waterloo, pagò con la fucilazione il voltafaccia). Il 20 marzo Napoleone entrò trionfalmente a Parigi, mentre Luigi era fuggito in gran fretta sotto suggerimento di Talleyrand, il quale al Congresso di Vienna spinse le teste coronate a riprendere la spada contro il despota.
Riorganizzato in gran fretta l’esercito, Napoleone chiese ai nemici nuovamente coalizzatisi la pace alla sola condizione di mantenere il trono di Francia: non venne ascoltato. Intanto, in campo politico, l’imperatore aveva ben compreso i limiti del suo governo precedente e aveva promulgato una costituzione maggiormente liberale, ritornando più fedelmente ai principi del 1789. Per evitare una nuova invasione del suolo patrio, Napoleone fece la prima mossa spostando il conflitto nel Belgio. Il suo piano prevedeva una manovra su due ali che avrebbero diviso e annientato i prussiani e gli inglesi prima che, superiori di numero, potessero congiungersi. L’ala destra da lui comandata impegnò quindi i prussiani di von Blücher a Ligny e il maresciallo Ney attaccò gli inglesi di Wellington a Quatre Bras, ma nessuno dei due combattimenti ebbe esito determinante. Così si giunse al fatale 18 giugno 1815, «la giornata del destino» descritta anche da Victor Hugo, quella della battaglia di Waterloo. Il piano strategico generale di Napoleone venne mandato all’aria dall’inefficienza dei suoi marescialli, principalmente Grouchy, il quale era stato inviato a distruggere la colonna prussiana sfuggita alla battaglia di Ligny, ma in pratica commise l’errore di inseguire solo la retroguardia delle forze prussiane che si erano intanto riorganizzate e che, grazie alla loro determinazione, riuscirono a ricongiungersi con Wellington proprio nel bel mezzo della battaglia di Waterloo sì che le forze inglesi del duca di Wellington, unitesi a quelle prussiane, colsero l’opportunità di sconfiggere i francesi.
Napoleone compì non pochi errori, tra cui quello di affidarsi ai generali Davout, Grouchy e a Ney (l’eroe di Borodino), famoso per ardimento ma non per la sua sapienza strategica, il cui comportamento inutilmente focoso fu fra i fattori determinanti della disfatta. Ultimo ad arrendersi fu il giovane generale della Guardia imperiale Cambronne che, sacrificando l’intera Guardia, consentì al resto dell’esercito sconfitto di ritirarsi senza ulteriori danni alla volta di Parigi.
Napoleone schierò le sue ultime forze in quadrati e iniziò una lenta, ordinata ma drammatica ritirata. «Wellington è un pessimo generale. Stasera ceneremo a Bruxelles», aveva dichiarato la mattina della battaglia. In serata, l’imperatore era sulla strada di ritorno per Parigi conscio della certezza della fine di ogni suo sogno.
Impostagli dalla Camera la nuova abdicazione, sotto le pressioni del potente Fouché («Avrei dovuto farlo impiccare prima», sbottò Napoleone), egli dichiarò di immolarsi «in olocausto per la Francia» e chiese invano che venisse rispettata la sua volontà di porre sul trono all’età giusta suo figlio Napoleone II. Le forze nemiche, viceversa, entrarono a Parigi e rimisero sul trono Luigi XVIII. Napoleone si rifugiò al castello di Malmaison, la vecchia casa dove aveva abitato con la moglie Joséphine, morta da poco. La sua intenzione era di fuggire negli Stati Uniti, ma rifiutò di travestirsi come sarebbe stato necessario per sfuggire alla cattura, perché ciò avrebbe infamato il suo onore. Invece, con un gesto storico, il 15 luglio 1815 Napoleone si arrese agli inglesi salendo a bordo della nave HMS Bellerofont. Chiese di essere deportato in Inghilterra, ma i nemici ne avevano già deciso l’esilio a Sant’Elena, piccola isola nel mezzo dell’Oceano Atlantico.
L’esilio a Sant’Elena e la morte
Il 16 ottobre 1815 la nave da battaglia inglese HMS Northumberland giunse a Sant’Elena col prezioso carico. Ivi, con un piccolo seguito di fedelissimi, fu trasferito nel villaggio interno di Longwood, ove rimase fino al decesso.
Napoleone dettò le sue memorie ed espresse il suo disprezzo per gli inglesi, personificati nell’odiosa figura del “carceriere” di Napoleone sir Hudson Lowe (che dal trattamento duro riservato a Napoleone non trasse alcun vantaggio per la sua carriera, anzi fu accusato di essere stato troppo severo nei confronti dell’imperatore francese). Egli dettò al conte de Las Cases il Memoriale di Sant’Elena e nella seconda metà dell’aprile 1821 scrisse lui stesso le sue ultime volontà e molte note a margine (per un totale di 40 pagine).
I dolori allo stomaco di cui già soffriva da tempo, acuitisi nel clima inospitale dell’isola e con il duro regime impostogli, lo condussero alla morte il 5 maggio 1821 alle ore 17:49. Le ultime parole di Napoleone furono Francia e testa dell’armata[47]. Egli chiese di essere seppellito sulle sponde della Senna, ma fu invece seppellito a Sant’Elena come stabilito già l’anno prima dal governo inglese. Il governatore Lowe e i suoi uomini gli tributarono gli onori riservati a un generale.
L’autopsia accertò che la causa fu in effetti un tumore dello stomaco.
Il 19 luglio 1821, poco dopo aver appreso la notizia della morte di Napoleone, Alessandro Manzoni scrisse la famosa ode Il cinque maggio, che ebbe una forte risonanza in tutta Europa e che fu tradotta in tedesco da Johann Wolfgang Goethe.
« Ei fu. Siccome immobile, dato il mortal sospiro, stette la spoglia immemore orba di tanto spiro,così percossa, attonita la terra al nunzio sta, muta pensando all’ultima ora dell’uom fatale; né sa quando una simile orma di pie’ mortale la sua cruenta polvere a calpestar verrà. »
(da Il cinque maggio di Alessandro Manzoni)
Il secondo funerale a Parigi
Il 2 agosto 1830, nove anni dopo la morte di Napoleone, il re Borbone Carlo X fu costretto ad abdicare e la corona venne concessa a Luigi Filippo d’Orléans di idee più liberali. La statua dell’imperatore fu restaurata sulla colonna di Place Vendôme e vi furono richieste del rientro in patria delle spoglie mortali. Il figlio cadetto del re, il Principe di Joinville, venne incaricato di riportare le spoglie dell’imperatore in Francia e questi, dopo aver ottenuto il permesso dei britannici, diresse una spedizione a Sant’Elena per riportare la salma a Parigi. L’8 ottobre 1840 venne riesumata la salma che si rivelò intatta (anche per l’effetto conservante dell’arsenico secondo alcuni autori), vestita nell’uniforme di colonnello dei cacciatori della guardia. Ricomposto il corpo in una bara di ebano, l’imperatore iniziò il suo viaggio di ritorno in Francia, dove arrivò a Cherbourg il 29 novembre, salutato dalle salve di cannone del forte e delle navi militari presenti.
Il 15 dicembre 1840 ebbe luogo il funerale solenne a Parigi celebrato con tutti gli onori del rango imperiale. Disposto il feretro su di un carro trainato da 16 cavalli, scortato dai Marescialli di Francia Oudinot e Molitor, l’ammiraglio Roussin e il generale Bertrand, a cavallo, sui quattro lati, il corteo funebre passò sotto l’arco di trionfo, tra due file di insegne con l’aquila imperiale, salutato dalle salve di cannone e accolto dalla famiglia regnante in nome della Francia. Il generale Bertrand che aveva fedelmente accompagnato Napoleone all’Elba e a Sant’Elena venne incaricato dal Re di porre la spada e il copricapo dell’imperatore sulla bara, ma non vi riuscì per l’emozione e fu sostituito dal generale Gourgaud. Più tardi, nel 1843 Giuseppe Bonaparte inviò il gran collare, il nastro, e le insegne della Legion d’Onore che suo fratello aveva indossato.
La tomba monumentale
I resti di Napoleone riposano in un monumento posto in una cripta a cielo aperto ricavata nel pavimento della cattedrale di Saint-Louis des Invalides, esattamente sotto la cupola dorata. Il monumento, concepito dall’architetto Louis Visconti, venne terminato nel 1861, consiste in un immenso sarcofago di quarzite rossa della Finlandia, che contiene le 6 bare entro cui è stato chiuso il corpo di Napoleone: dalla più interna alla più esterna abbiamo una bara in lamiera e poi una in mogano, due bare in piombo, una di ebano e l’ultima in legno di quercia. Intorno al sarcofago c’è un loggiato circolare decorato con enormi statue raffiguranti dodici Vittorie.
Il trasferimento dalla cappella di Saint-Jérôme dove era stata deposta la salma nel 1840, alla cripta sala centrale della cattedrale di Saint-Louis des Invalides venne effettuato con cerimonia non pubblica il 2 aprile 1861, alla presenza dell’imperatore Napoleone III. La maschera funeraria è conservata invece presso l’Accademia degli Euteleti a San Miniato in provincia di Pisa, città dove gli antenati dell’imperatore avevano risieduto.
All’interno della cripta è presente anche la tomba del figlio di Napoleone, Napoleone Luigi.
I figli
Napoleone ebbe un solo figlio legittimo, il già citato Napoleone Francesco (1811 – 1832), avuto dalla seconda moglie Maria Luisa d’Austria (1791 – 1847).
Tuttavia sono noti per certo almeno due figli illegittimi:
* Carlo, conte Léon (1806 – 1881) avuto da Luisa Caterina Eleonora Denuelle de la Plaigne (1787 – 1868), lettrice della principessa Carolina Bonaparte, già sposata a Jean-Honoré François Revel e da questi divorziata pochi mesi prima della nascita di Carlo;
* Alessandro Floriano Giuseppe, conte Colonna-Walewski, (1810 – 1868), avuto da Maria Laczynska (1786 – 1817), giovane polacca, moglie dell’anziano conte Attanasio Colonna di Walewice-Walewski, meglio nota con il nome di Maria Walewska, della quale Napoleone fu sinceramente innamorato
Si scrisse inoltre che il filosofo, giornalista e uomo di stato francese, Jules Barthélemy-Saint-Hilaire (1805 – 1895), di cui si ha certezza che fosse un figlio naturale ma del quale non si conosce neppure il nome della madre, fosse figlio illegittimo di Napoleone Bonaparte, ma non vi è alcuna certezza storica in merito.
Onorificenze
Grand maître de la Légion d’honneur (Gran Maestro della Legion d’onore)
Fonte: wikipedia
STORIA DI NAPOLEONE BONAPARTE