SINTESI RIVOLUZIONE INDUSTRIALE

SINTESI RIVOLUZIONE INDUSTRIALE

SINTESI RIVOLUZIONE INDUSTRIALE


Lo sviluppo del fenomeno delle enclosures
Il fenomeno delle enclosures nato in Inghilterra già a partire dal 1300 consiste nella tendenza dei signori di trasformare in proprietà privata territori destinati ad uso comune sottraendoli ai piccoli proprietari e ai contadini. Sviluppatosi nella seconda metà del Cinquecento con la politica economica di Elisabetta I (1533-1603) si diffuse enormemente nel corso del XVIII secolo: la crescita della domanda di prodotti alimentari dovuta all’incremento demografico spinse molti capitalisti a concentrare nelle proprie mani vasti appezzamenti di terreno e ad adibirli a coltivazioni intensive. Questo processo, se da una parte aumentò la produzione di beni agricoli e rese più produttivo l’allevamento del bestiame, ebbe gravi conseguenze in campo sociale:
i piccoli proprietari terrieri e i contadini furono costretti a lasciare terre e i villaggi e
a cercare fortuna nelle città dove verranno impiegati nelle sempre più numerose industrie. A differenza di altri stati poi, come per esempio la Francia, in Inghilterra non si creò una frattura di interessi tra capitalisti borghesi e proprietari terrieri aristocratici.

La rivoluzione agricola

La pratica delle enclosures (recinzioni da parte di privati di terreni pubblici) sempre più in crescita nel XVIII secolo aveva determinato la nascita di moderne fattorie, le farm, volte a intensificare la produzione agricola e a razionalizzare e tecnicizzare l’allevamento di bestiame destinato alla produzione di lana e latticini, materie prime per le industrie. Grande innovazione in campo agricolo fu l’ottimizzazione della rotazione triennale in seguito alla scoperta della capacità fertilizzante delle leguminose da prato. La rotazione triennale, introdotta nel Medioevo a sostituzione del sistema biennale di tradizione romana, che lasciava a maggese solo un terzo del terreno, fu considerata fino alla prima metà del Settecento la tecnica di coltivazione più intensiva; alcuni proprietari terrieri inglesi scoprirono però che quel terzo di terreno sarebbe stato reso più fertile se coltivato con alcune leguminose da prato come l’erba medica e il trifoglio che avevano la proprietà di restituire alla terra l’azoto sottratto dai cereali. Oltre ad essere un buon fertilizzante le leguminose, una volta essiccate, fornivano il foraggio per il bestiame.

Le nuove macchine agricole

Varie furono le cause che determinarono la rivoluzione agraria avvenuta in Inghilterra nel corso del XVIII secolo: oltre alla crescita di domanda di beni alimentari, al miglioramento delle tecniche di coltivazione, ai lavori di irrigazione e bonifica e alla diffusione di alcuni importanti prodotti di provenienza americana (patata, pomodoro, mais) non bisogna dimenticare l’introduzione di nuove macchine agricole che ridussero in modo drastico tempi e fatica del lavoro nei campi. L’aratro prima in legno fu sostituito dall’aratro metallico che garantiva un lavoro più preciso e resisteva più a lungo; furono introdotte le trebbiatrici che separavano i chicchi di grano dalla spiga e li ripulivano dalla paglia, le sarchiatrici utili a sminuzzare il terreno in modo da ripulirlo dalle erbacce e far respirare maggiormente la pianta e dal 1770 anche la seminatrice meccanica che permetteva lo spargimento e l’interramento del seme.

L’incremento demografico del XVIII secolo

Nel Settecento non esistevano ancora le anagrafi di stato e le nascite e le morti erano segnate nei registri dei parroci spesso non proprio scrupolosi. Comunque, anche se le fonti demografiche dell’epoca non possono essere considerate così precise, ci forniscono la tendenza generale di un aumento o di una diminuzione della popolazione. Nel corso del secolo, in quasi tutti i paesi europei, anche se in quantità differente, si assiste ad una crescita demografica probabilmente dovuta al progresso medico-sanitario, alla diminuzione delle carestie e delle epidemie, al miglioramento dell’alimentazione e alla diminuzione delle guerre e comunque alla fine dei conflitti che coinvolgevano anche la popolazione civile. Tale fenomeno si verificò soprattutto in America dove le possibilità di terre e di impiego favorirono i matrimoni e l’ampliamento dei nuclei familiari. In Europa i progressi demografici furono più lenti in Francia, in Spagna e in Italia dove l’agricoltura era più arretrata, molto più sensibili in Olanda, Irlanda e soprattutto in Inghilterra e Galles.

Cause e conseguenze della crescita demografica in Inghilterra

Lo sviluppo demografico che nel corso del Settecento coinvolse gli Stati Uniti e tutta l’Europa fu particolarmente sensibile in Inghilterra e in Galles (la popolazione crebbe dai 5,5 milioni del 1700 ai 6,5 milioni del 1750, ai 9 milioni del 1801). Contribuirono a tale fenomeno l’introduzione dei tuberi da foraggio che permise di allevare più bestiame nei mesi invernali, la maggiore coltivazione del frumento rispetto ad altri cereali meno nutritivi, la maggiore igiene personale grazie anche alla costruzione nelle città di fognature e acquedotti, l’uso del mattone, dell’ardesia e della pietra invece del legno e della paglia nella costruzione delle case. Come conseguenza l’incremento demografico fece crescere la domanda di beni alimentari e di prodotti artigianali e quindi stimolò lo sviluppo di tutti i settori produttivi da quello agricolo a quello tessile. In campo agricolo si cercò di migliorare lo sfruttamento intensivo del terreno tramite tecniche di coltivazione sempre più razionali e andò sempre più crescendo il fenomeno delle enclosures nato nella seconda meta del Cinquecento (recinzioni da parte di privati di terreni prima di uso comune).

Le innovazioni nel settore tessile
Uno dei settori produttivi che nel corso del XVIII secolo subì maggiori trasformazioni fu quello tessile. L’incremento demografico e un generale miglioramento del tenore di vita avevano causato un incredibile aumento della domanda di capi di vestiario. Si sentì la necessità così di incrementare la materia prima migliorando le tecniche di allevamento, ma anche di velocizzare i tempi di produzione. In Inghilterra si ottennero grandi risultati grazie alle invenzioni di nuove macchine tessili: nel 1733 John Kay brevettò la spoletta volante che permetteva al telaio di tessere una tela doppia rispetto a quella ottenibile nello stesso tempo con un telaio tradizionale; nel 1767 James Hargraves inventò la spinning jenny, una filatrice meccanica che permise la produzione automatica del filo di cotone e che metteva in moto da 7 a 80 fusi; nel 1769 Richard Arkwright inventò il filatoio ad acqua, macchina mossa interamente dalla forza idraulica, e riuscì a organizzare la prima grande filanda che concentrava un elevato numero di operai; infine nel 1785 Edmund Cartwright brevettò il primo telaio meccanico.

James Watt e la macchina a vapore

Il più grande impulso alla prima rivoluzione industriale inglese fu dato dall’ingegnere scozzese James Watt (1736-1819) che nel 1765 inventò la macchina a vapore. Watt prese spunto per la sua invenzione dalla macchina inventata da Thomas Newcomen (1663-1729) nel 1698 che consentiva il pompaggio delle acque dal fondo delle miniere e che migliorò le condizioni di lavoro dei minatori (fu chiamata Miner’s friend, l’amica del minatore). Con l’introduzione del motore a vapore veniva così per la prima volta utilizzata una fonte di energia stabile che consentiva alle macchine di avere tempi di produzione costanti; prima regolato dall’uomo, il ritmo di lavoro era ora imposto dalle macchine e quindi dall’imprenditore industriale. Da un’industria manifatturiera a domicilio diffusasi nel Seicento si passò ad un’industria di tipo capitalista in cui l’imprenditore sceglieva di investire i propri capitali in una fabbrica dove veniva concentrato il lavoro di più macchine. Anche molti piccoli proprietari terrieri preferirono lasciare la campagna per cimentarsi nel mondo dell’industria grazie ai finanziamenti delle banche.

Le nuove materie prime: il ferro e il carbon coke

Il primo grande sviluppo industriale realizzatosi in Inghilterra a partire dalla seconda metà del XVIII secolo fu possibile anche grazie alla scoperta del chimico Abraham Darby che nel 1735 riuscì a produrre il coke tramite un processo di distillazione del carbon fossile. L’alto potere calorifico di questo materiale di consistenza rigida e spugnosa lo rendeva molto adatto ad essere usato negli altiforni e andò ben presto a sostituire il carbone di legna. Le fonderie, prima costruite vicino ai boschi da dove i contadini traevano il legno con conseguenti problemi di trasporto, si iniziarono a concentrare intorno ai bacini carboniferi. Il coke risultò ottimo in siderurgia per la lavorazione della ghisa e del ferro e provocò una forte diminuzione dei costi e un deciso aumento della produzione di questi materiali (ca.20.000 tonnellate nel 1720, 70.000 nel 1788 e 250.000 nel 1806). La maggiore disponibilità di ferro a basso costo e la sua migliore qualità permisero di costruire con questo metallo oggetti prima fabbricati in legno: aratri, telai, scafi delle navi fino ad arrivare alle strade ferrate e alla locomotiva.

Liberismo
Fondatore del liberismo fu l’economista scozzese Adam Smith con il saggio Indagine intorno alla natura e alle cause della ricchezza delle nazioni (1776). In questa opera, Smith riprendeva alcuni concetti della fisiocrazia, in particolare la convinzione che i governi dovessero assicurare la libertà di commercio, ma indirizzava i suoi studi non più sull’agricoltura, bensì sull’attività manufatturiera, ritenuta il fondamento della ricchezza delle nazioni. Le sue teorie si basavano sull’assunto che andasse abolito qualsiasi vincolo al libero dispiegarsi delle forze economiche, le quali avrebbero trovato in se stesse l’equilibrio più conveniente sia per i consumatori sia per i produttori. Fu perciò contrario ai dazi, ai monopoli, ai controlli statali sui prezzi, ai vincoli corporativi, ma soprattutto a qualsiasi intervento dello Stato sull’economia. Le teorie liberiste furono poi approfondite da altri studiosi (Malthus, Ricardo, Bentham, Stuart Mill) nel corso dell’Ottocento e incontrano tuttora un vasto seguito

La nascita dell’opinione pubblica
Per “opinione pubblica” si intende l’orientamento di pensiero che su un particolare argomento, in genere connesso alla politica o all’economia, viene a formarsi tra i cittadini. Di fatto, è pressoché impossibile che possa sussistere un'”opinione pubblica” in assenza di strumenti che diffondano le opportune informazioni, perciò la sua nascita coincide con quella dei giornali quotidiani e quindi risale agli anni a cavallo fra Seicento e Settecento per le nazioni più progredite, come Inghilterra, Francia, Prussia. Il primo quotidiano fu fondato a Lipsia nel 1670, seguito poi dagli inglesi “Daily Courant” (1702) e “The Spectator” (1711). A formare l’opinione pubblica contribuirono inoltre, sempre in epoca illuministica, i caffè, i salotti culturali, i club e l’abbondante pubblicistica circolante sotto forma di pamphlet. Un ruolo fondamentale svolse qualche anno più tardi l’Enciclopedia di Diderot e D’Alambert. In ogni caso, nel corso del Settecento, il fenomeno riguardò soltanto un’esigua minoranza della popolazione.

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