sindrome di down cura

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date: gennaio 2015

La ricerca italiana dimostra di essere in prima fila negli sforzi per migliorare la qualità di vita delle persone con trisomia 21. Uno studio dell’Istituto italiano di tecnologia (Iit) di Genova, pubblicato su Nature Medicine, svela infatti che il bumetanide, un farmaco utilizzato comunemente come diuretico, potrebbe migliorare notevolmente i disturbi cognitivi legati a questa alterazione genetica. I risultati per ora sono stati ottenuti sul modello animale della patologia, ma visti i risultati incoraggianti, la sperimentazione su pazienti con sindrome di Down dovrebbe iniziare già nei prossimi mesi.

Il cervello delle persone con trisomia 21 è caratterizzato da reti neuronali che presentano difetti di comunicazione al livello delle sinapsi, i punti di contatto in cui gli impulsi nervosi passano da un neurone all’altro. I ricercatori dell’Iit hanno scoperto che questa anomalia, che causa l’insorgere di problemi cognitivi nei pazienti con sindrome di Down, è dovuta ad un’alterazione del funzionamento del neurotrasmettitore Gaba, una molecola che normalmente limita il flusso di informazioni che vengono scambiate tra neuroni, ma che in presenza di trisomia 21 funziona al contrario, provocando uno scambio eccessivo di informazioni a livello sinaptico.

“Il corretto scambio di informazioni tra i diversi gruppi di neuroni del nostro cervello dipende dal perfetto bilanciamento tra l’azione di neurotrasmettitori eccitatori ed inibitori” spiega Andrea Contestabile, uno dei ricercatori dell’Iit che ha coordinato studio. “Nella Sindrome di Down, l’azione inibitoria del Gaba si trasforma in eccitatoria e il flusso di informazioni tra neuroni diventa eccessivo e sregolato. Questa inversione dell’azione del Gaba è dovuta allo squilibrio di un elettrolita, lo ione cloruro”.

Contrastando l’alterazione del funzionamento di Gaba dovrebbe quindi essere possibile ristabilire, almeno in parte, il normale funzionamento del cervello. Una terapia di questo tipo dovrebbe però essere assunta a vita dai pazienti, e i farmaci noti fino ad oggi in grado di modulare l’azione del neurotrasmettitore presentavano tutti effetti collaterali troppo pesanti per essere utilizzati a lungo.

Nel nuovo studio, i ricercatori dell’Iit hanno quindi cercato un farmaco in grado di ristabilire il normale funzionamento di Gaba che fosse al contempo anche ben tollerato dall’organismo. La loro attenzione si è concentrata sull’bumetanide, un comune diuretico, che ha la particolarità di ridurre la concentrazione di ione cloruro presente nelle cellule del cervello. Il farmaco è quindi stato sperimentato su topi con un difetto genetico che provoca un deficit di apprendimento e memoria causato da un meccanismo simile a quello della trisomia umana.

“Il trattamento farmacologico ha determinato un completo recupero sia dei processi di comunicazione sinaptica che di memoria e apprendimento in animali adulti”, racconta Laura Cancedda, group leader presso il dipartimento di Neuroscienze all’Iit. “Questo risultato è di grande importanza dal punto di vista clinico, in quanto la Bumetanide è un farmaco noto, presenta pochi o nulli effetti collaterali ed è quindi un farmaco molto più sicuro di quelli precedentemente proposti”.

Vista l’importanza della scoperta, è già in programma una sperimentazione del farmaco su un gruppo di pazienti con sindrome di Down, che verrà svolta in collaborazione con l’Unità operativa di neuropsichiatria infantile dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù.

http://lasuposta.altervista.org/

Sempre dall’ospedale pediatrico romano è arrivata nelle scorse settimane un’altra importante scoperta sulla sindrome di Down. Uno studio pubblicato sull’European Journalof Immunology ha identificato infatti una specifica alterazione di alcune cellule immunitarie legata alla trisomia del cromosoma 21, che rende i portatori di questa alterazione genetica più suscettibili a molti tipi di infezioni. La ricerca ha permesso inoltre di comprendere perché le vaccinazioni sembrano meno efficaci nel bambini con sindrome di Down, suggerendo la necessità di stabilire programmi vaccinali ad hoc per questi piccoli pazienti.

via Wired.it

 

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