Sì lungiamente m’à tenuto Amore PARAFRASI

Sì lungiamente m’à tenuto Amore PARAFRASI


Sì lungiamente m’à tenuto  Amore                          1
e costumato alla sua segnoria,
che sì com’elli m’era forte in pria,                            3
così mi sta soave ora nel core.
Però quando mi tolle sì ‘l valore
che li spiriti par che fuggan via,                                6
allor sente la frale anima mia
tanta dolcezza, che ‘l viso ne smore.
Poi prende Amore in me tanta virtute,                       9
che fa li miei spirti gir parlando,
ed escon for chiamando
la donna mia, per darmi più salute.                         12
Questo m’avene ovunque ella mi vede,
e sì è cosa umil, che nol si crede.


PARAFRASI

Si tratta di una canzone di una sola stanza (monostrofica) e di soli quattordici versi, con il seguente schema delle rime: ABBA ABBA (a) CDdCEE (si vedano le considerazioni sulle canzoni e sulla poesia per musica presenti nell’U.T. Istituzioni letterarie, a cura di Natascia Tonelli). Questa canzone a noi interessa per quello che Dante scrive ai versi 9-12: la forza («virtute») di Amore lo spinge a «gir parlando»; lo spinge, cioè, a scrivere del suo amore per la donna («chiamando / la donna mia»).

Com’è noto, la Vita nuova è una raccolta di trentuno liriche in vario metro, di età giovanile (scritta verosimilmente tra il 1292 e il 1294), tenute assieme (diremmo ‘cucite’ assieme) da una prosa che a tratti è autobiografica, a tratti invece è didattica, esplicativa, digressiva, erudita, ecc. Per questa sua forma mista (poesia e prosa) la Vita nuova è stata definita “prosimetro” (cfr. quanto si legge nell’U.T. Istituzioni letterarie, a cura di Natascia Tonelli, sul primo prosimetro della letteratura italiana). Dante, sotto la finzione narrativa di una storia d’amore (straordinaria), dispone cronologicamente testi e momenti importanti della sua esperienza intellettuale e poetica di circa un decennio (tra il 1283, data di composizione del primo sonetto dell’opera, e il 1291, anniversario della morte di Beatrice, la donna amata – e cantata – da Dante, e data di composizione dell’ultimo sonetto della Vita nuova).

Anche nella tradizionale iconografia dantesca, il poeta viene raffigurato generalmente seduto e ‘illuminato’ da un fascio di luce (l’ispirazione) che gli giunge dall’alto (dal cielo), a indicare visivamente l’origine divina della sua poesia.
Analogo concetto viene ribadito da Dante qualche anno dopo, nella Commedia, precisamente nel canto XXIV del Purgatorio: