Sera d’ottobre di Giovanni Pascoli Approfondimenti

Sera d’ottobre di Giovanni Pascoli Approfondimenti


Da questa bellissima creazione del Pascoli : “Sera d’ottobre” venuta al mondo nel lontano 1894 io e mia figlia ci siamo incuriositi in quanto parlando di oltre un secolo fà ci siam posti delle domande e adesso mentre lui scrive io effettuo tramite l’aiuto del web degli approfondimenti su questa bellissima poesia che il Pascoli oggi grazie alla maestra Sarita ci ha donato.

Struttura e spiegazione della poesia

METRO
Strofe saffiche: 2 quartine composte ciascuna da 3 endecasillabi e 1 quinario. Rima: ABAB CDCD.

PARAFRASI
Lungo il viale vedi sulle siepi ai lati i ridenti cespugli di rosse bacche del ginepro: nei campi arati le vacche tornano tarde nelle stalle.
Per la strada viene un poveruomo che trascina tristemente il lento passo tra le foglie: nei campi una fanciulla canta a squarciagola una canzone popolare: “Fiori di Spine”.

SERA D’OTTOBRE di Giovanni Pascoli

Questa poesia, pervasa tutta di colori, di suoni e di figure tipicamente campestri, è certo assai lontana dalla viva esperienza degli scolari di città, perciò difficile ad essere intesa ed intimamente gustata. Affrontarla è rischioso, meglio dunque cercare di raggiungerla per vie indirette.
Una mattina, l’argomento di conversazione converge sul mese corrente: ottobre.
Esaurite le discussioni, il maestro affida ad ogni gruppo un particolare compito di osservazione: quello stesso pomeriggio, durante l’ultima ora del giorno, un gruppo osserverà il cielo, e gli altri, la strada: le piante della strada, le persone, gli animali; ogni gruppo dovrà tenere conto anche delle voci dei suoni.

La mattina dopo, a turno, ogni alunno di ciascun gruppo si alza e riferisce sugli elementi che egli stesso ha saputo trarre dall’oggetto di osservazione affidatogli. Compiuto il turno, i componenti del gruppo si pongono al lavoro: pare che complottino ed invece sono tutti intenti a coordinare le loro osservazioni, in modo da poterle poi trascrivere entro i limiti di uno o due periodi che rispecchino, con la maggiore aderenza possibile, la realtà.

Il lavoro è lungo, ma gioioso.

Per incidenza sarà bene aggiungere che intanto il maestro ha avuto così modo di introdurre nella conversazione alcuni vocaboli tratti dalla poesia a cui tende implicitamente il loro impegno. Gli alunni se ne sono subito impossessati e già li hanno usati con proprietà. E da quelli, altri ne sono scaturiti: sinonimi, e famiglie di parole, frasi, idiomatiche, qualche proverbio.

Alla fine, per ordine, ogni capogruppo si alza e legge la comune stesura del compito: ecco il cielo, ecco la strada: i colori, le sfumature, luci e ombre; gli alberi, le persone, le parole di saluto, sibili di motori frettolosi, rotolii di saracinesche che si abbassano, rintocchi lenti di campane.
L’ispettore (1), seguendo l’ordine di svolgimento, affigge gli elaborati sul pannello ove vengono esposte le esercitazioni collettive, quindi chiede: – Quale titolo pensate di dare a questo lavoro? – Le proposte non tardano; il maestro interviene; i titoli si approssimano e finalmente ecco quello che risponde allo scopo: « Sera d’ottobre, in città ». Si trascrive a colori sopra una striscia di carta e si affigge anche questo sul pannello.

Il maestro conclude poi la mattinata, ponendo una domanda: – Nessuno di voi ha mai trascorso una serata d’ottobre in campagna? ma ne riparleremo domani; la campanella è già suonata da un pezzo.

Ne riparlano, ma dalla conversazione emergono soltanto scarsi e scoloriti elementi.

Si avverte così la necessità di recarsi in campagna.

Nei giorni che seguono, uno dopo l’altro, tutti raggiungono la campagna e ne tornano ricchi di notizie e di doni.

– Com’è bello il tramonto in campagna; quanti colori nel cielo!

– E che silenzio a quell’ora! Io tendevo l’orecchio, macchè, neanche una voce.

– Che aria buona e che odore di terra rimossa!

Intanto sulla cattedra si ammucchiano foglie ingiallite, rami carichi di bacche e pagine di taccuini su cui appaiono schizzi di casolari, di contadini e di animali intenti al lavoro.
Giampiero ha portato alcune fotografie scattate in campagna: due mucche che trascinano l’aratro, una massaia che governa i polli, una giovinetta che ritorna dai campi: sorregge sulla testa una gerla colma di erba. Quanti commenti su queste fotografie e quanti spunti se ne traggono: le mucche ci rimandano a « Il bove » di Carducci, la massaia a « Galline » di Pascoli, la giovinetta a «Il sabato del villaggio» di Leopardi: immagini che nella discussione si animano, palpitano, vivono.

Roberto, invece, ha trascritto le parole di un canto che un vecchio contadino ripeteva, trinciando il foraggio: uno stornello.

Che cos’è lo stornello? Cercano quelli celebri, ne studiano la composizione e la metrica. Poi anch’essi tentano di comporne alcuni. Ci riescono ed Enrico li canta, dopo averne appreso il motivo dall’ascolto di un disco.

Durante la libera attività, gli alunni copiano dal vero foglie e bacche, traggono dagli scritti scenette vivaci e fresche di colori; i poeti compongono stornelli per tutti, perfino per la custode.

– Nessuno che durante la gita di ricognizione si sia, per caso, imbattuto in qualche mendico?

Nessuno.

Luigi però ne conosce uno: ogni lunedì va a suonare il campanello di casa sua. La domenica, Mario fa l’elemosina a quello che si trova sempre vicino al portale della chiesa.

E si delinea anche questa figura.

Finalmente, una mattina, subito dopo la preghiera, il maestro prende a parlare; con poche parole riconduce dinanzi agli occhi della scolaresca gli elementi ormai noti, ricomposti in una scena di agreste semplicità; quindi, nel silenzio fervido di attesa, legge «Sera d’ottobre». Su quello scenario, la poesia di Giovanni Pascoli si fonde ed armonizza mirabilmente.
L’incanto misterioso di certi istanti di vita di scuola è certo irrepetibile: né parole, né colori potrebbero renderlo con evidenza, forse nemmeno la musica riuscirebbe a ripeterlo con adeguata suggestività.

E dopo? Ancora silenzio.

Gli alunni hanno piegato la testa sulle braccia incrociate sopra il tavolo e pare che nemmeno respirino: che cosa vive in loro? La bellezza: istante di inconfondibile, purissima gioia, respiro lene e profondo dell’anima che sboccia e sorride al raggio vivificante dell’arte. Poi esplodono, eppur si contengono. Si alzano, discutono. Tutto ora appare evidente: « Sera d’ottobre, in città », per giungere a capire e a godere quella descritta dal Poeta. E se la sono trovata dentro, senza una parola di commento, come scandita, per la prima volta, dal ritmo dei loro cuori, E si sentono indicibilmente felici.
Sono accesi.
Le energie accumulate dal « fare per farsi » e quindi dal ricercare, dall’osservare, dal riflettere e rielaborare, hanno determinato la scintilla: l’intuizione degli argomenti da trattar è fluida e calda come bronzo fuso e pronto per la colata.

Ed or sì accingono al lavoro: la libera rielaborazione dell poesia «Sera d’ottobre » di Giovanni Pascoli.

C’è chi mette insieme una serie di quadretti ove la parola rispecchia i colori, ripete i suoni, ricostruisce le immagini con una immediatezza ed una invèntiva sorprendenti, e i segni d’interpunzione sono, ad uno ad uno, parte integrante del pensiero che su quelli si struttura, si ordina e si esprime sotto l’impulso originale, inconfondibile del proprio sparito. C’è, invece chi i quadretti ricostruisce, usando matite, pennelli, tempere. E qui sono le linee e i colori che esprimono, in plastiche sintesi le intuizioni che han condotto l’animo ad accendersi ed espandersi in quel linguaggio pittorico che, come la parola, tende decisamente alla compiutezza della forma, alla gentilezza dell’arte.

E di poi, in un secondo tempo, gli scolari, eccoli tutti intesi ad una revisione critica degli elaborati: se li scambiano, li leggono o li osservano; sull’elaborato del compagno o su un foglietto aggiuntivo, ognuno trascrive il proprio commento, le annotazioni, il giudizio. Infine, ecco, ciascun quadretto è come un piccolo, breve poema che comprova il personale apprendimento, vivo ed efficiente, nell’ambito di una teologia pedagogica che guida e sostiene sempre chi ha il cuore aperto alla verità, perciò pronto ed atto all’amore.

/ 5
Grazie per aver votato!