Seneca Naturales Quaestiones
Quando si accinge a scrivere le Naturales quaestiones, Lucio Anneo Seneca, è ormai vecchio e vicino alla morte. Non stupisce quindi che quest’opera sia un componimento di forte intensità e profonda riflessione. Davanti alle bellezze naturali e ai profondi misteri della Natura egli prova un’estatica e commossa ammirazione e non perde occasione, da filosofo stoico, di riconoscere, in ogni cosa che colpisce l’animo e la mente dell’uomo, la grandezza di Dio. La necessità di comprendere i fenomeni naturali è quindi, per Seneca, un mezzo per giungere alla salvezza e alla perfezione che avvicina l’uomo all’onnipotente. Alcuni suoi atteggiamenti verso lo studio delle scienze naturali sono ispirati da una curiosità ed un interesse che possono definirsi, sotto certi aspetti, scientifici, pur non essendo certo la scientificità di Seneca intesa in termini moderni. Da giovane aveva già scritto un volume sui terremoti e d’altre opere ci sono giunti solo i titoli, ma dal momento che la precedente produzione scientifica senecana è andata perduta, le Naturales quaestiones, oltre che naturalmente qualche altro accenno contenuto nelle Lettere a Lucilio, si offrono come unico e prezioso strumento per la ricostruzione della concezione della scienza maturata e praticata da Seneca. La filosofia e la scienza, per Seneca coincidono, poiché entrambe hanno, come loro compito principale, quello di guidare l’uomo verso il suo perfezionamento morale. Nelle Naturales quaestiones è presente anche un certo sperimentalismo, ma si tratta però di un approccio deduttivo, non induttivo. Esso, infatti, non ha lo scopo di individuare nuove leggi di natura, ma piuttosto quello di confermare osservazioni già fatte, verificare ipotesi già ampiamente formulate da altri. La sua scientificità si può riconoscere infine nel ricorso ad un’attenta osservazione dei fenomeni che si vogliono studiare e ad una profonda riflessione critica, consapevole che l’errore è sempre possibile e quindi è continuamente necessario rivedere le conclusioni a cui si è giunti. Ciò lo porta a criticare delle teorie presentate da altri, anche da coloro che sono considerati autorevoli maestri. Ad esempio critica Aristotele e i suoi seguaci che si ostinano a considerare le comete come masse di gas che si accendono e si spengono all’improvviso, all’interno dell’atmosfera terrestre, mentre lui le annovera << tra le opere eterne della natura>>, e alle possibili critiche risponde: << verrà un giorno in cui il passare del tempo e l’esplorazione assidua di lunghi secoli porterà alla luce ciò che ora ci sfugge>> (libro VII). Così è stato. Vediamo come Seneca ha quindi fiducia nel progresso della conoscenza. Se il progresso scientifico appare muoversi con lentezza, la causa è da individuarsi dalla mediocrità dei propri contemporanei. Si tratta di una posizione del tutto isolata all’interno di un panorama culturale che considera ormai inutile la ricerca scientifica, se non nei termini di catalogazione di quanto già si sa, e ritiene che ogni possibile scoperta sia stata effettuata. La fisica rappresentata da Seneca è la fisica stoica che, a differenza di quella democritea, prevede un solo principio unificante che governa la totalità dell’esistente, il “logos”, o “neuma” o “fuoco”. Tale principio, immanente alla realtà, dà forma alla materia e contiene i “semi” generatori di tutte le cose, grazie ai quali la materia si differenzia e si qualifica nella varietà delle forme che noi percepiamo. Questa visione deterministica e finalistica postula la divisibilità della materia all’infinito, ed esclude l’esistenza d’invisibili (gli atomi), ponendosi quindi in netta opposizione con il più scientifico meccanicismo democriteo (presente anche nella filosofia epicurea, esposta nel De rerum natura). Gli argomenti delle Naturales questiones sono prevalentemente di geografia fisica e astronomica. L’opera si compone di sette libri, anche se le moderne edizioni dividono in due sezioni il quarto libro (IV a e IV b):
Il richiamo alla morale è costantemente presente in ogni argomento trattato. Per esempio, lo specchio non deve essere strumento di vanità, ma al contrario esso deve essere utilizzato per conoscere più approfonditamente gli oggetti che ci circondano, e noi stessi: << gli specchi furono inventati perché l’uomo si conoscesse, perché da quest’invenzione ricavasse molti benefici, prima la cognizione di sé, poi consigli per alcune riflessioni: Il bello per evitare la cattiva reputazione, il brutto perché sapesse che tutto ciò che manca al corpo si può riscattare con le virtù…per questi scopi la natura ci ha concesso la facoltà di vederci riflessi.>> Questa attenzione all’aspetto etico ha una sua attuale validità, se si pensa ai gravi interrogativi che le moderne scoperte della scienza pongono alle moderne coscienze. La conoscenza disinteressata della natura, esaltata da Seneca, può dare all’uomo la capacità di elevarsi dal suo stato primitivo, dargli la consapevolezza d’essere parte privilegiata dell’universo (marcato antropocentrismo). Egli potrà conquistare questa meta, se saprà sfruttare appieno gli strumenti che ha ricevuto in dono, per indagare, con animo sgombro da paure, le meraviglie che lo circondano. |