SEI PERSONAGGI IN CERCA D’AUTORE RIASSUNTO

SEI PERSONAGGI IN CERCA D’AUTORE RIASSUNTO

Dramma di Luigi Pirandello


Concepito come romanzo fin dal 1911, divenne poi un dramma e fu rappresentato per la prima volta nel 1921 a Roma. Alla prima il pubblico uscì dal teatro inorridito al grido “manicomio, manicomio”. Solo tre mesi dopo, al Teatro Manzoni di Milano, fu tale il successo, che il dramma fu subito tradotto in più lingue ed entrò d’obbligo nei repertori delle maggiori compagnie teatrali.

Sei personaggi, creati da un autore che li ha poi abbandonati non riuscendo a realizzare per la scena il loro dramma, si presentano su di un palcoscenico ove una compagnia di attori sta provando un’opera e chiedono al capocomico di mettere lui in scena la loro vicenda. Il capocomico, dopo varie resistenze, accetta e chiede agli attori di impersonare i sei personaggi: il Padre, la Madre, il Figlio, la Figliastra, il Giovinetto e la

Bambina. Ma ognuno dei personaggi non si riconosce nella interpretazione prestata dal relativo attore, e da qui nasce una serie di contrasti fra personaggi e attori, aggrava-ti dalle rimostranze del Padre, della Madre e della Figliastra che pretendono, ciascuno, che la propria specifica situazione sia al centro del dramma.

La loro vicenda può essere così sintetizzata.

La Madre, dopo aver dato un figlio al Padre, li abbandona entrambi per legarsi ad un altro uomo, col quale ha tre figli. Alla morte di costui la nuova famiglia vive in ristrettezze e la figlia è costretta a darsi alla prostituzione. La Madre scopre che fra i clienti della figlia c’è il suo primo marito e questi, per farsi perdonare il vizio, riprende in casa la moglie con i suoi nuovi figli. I rapporti fra i vari componenti della famiglia sono di natura conflittuale e funestati da varie sciagure: la Bambina muore annegata in una vasca, il Giovinetto si suicida con un colpo di pistola, mentre il Padre e la Madre non sanno liberarsi delle loro colpe, il Figlio disprezza la Figliastra che rappresenta la vergogna del Padre.

Il dramma si conclude con la interpretazione che danno attori e personaggi della morte del giovinetto:

LA PRIMA ATTRICE: E’ morto! Povero ragazzo! E’ morto! Oh che cosa

IL PRIMO ATTORE: Ma che morto! Finzione! finzione! Non ci creda!

ALTRI ATTORI DA DESTRA: Finzione? Realtà! realtà! E’ morto!

ALTRI ATTORI DA SINISTRA: No! Finzione! Finzione!

IL PADRE: Ma che finzione! Realtà, realtà, signori! realtà!

IL CAPOCOMICO: Finzione! realtà! Andate al diavolo tutti quanti!

Luce! Luce! Luce!

La tragedia è il culmine filosofico del teatro pirandelliano. Nell’opera, anche se sono presenti tutti i punti fondamentali del pensiero di Pirandello (la critica alla socie-tà, la critica alla famiglia, l’indagine sociologica dell’incomunicabilità e la filosofia del flusso perenne), l’autore inserisce una nuova accusa, questa volta interna al mondo del-l’arte: l’incomunicabilità fra chi scrive e chi rappresenta un testo. In altre parole l’incomunicabilità entra anche nella letteratura, infatti la rappresentazione scenica di un’opera non sarà mai quella voluta dallo scrittore perché gli attori tenderanno a rap-presentare i personaggi in base alla loro personale visione. La realtà originaria viene quindi falsificata anche nell’arte. Il cerchio ormai è completo, l’incomunicabilità è un fatto ontologico dell’essere umano che abbraccia la vita reale, ma anche la rappresentazione di essa. Le parole del padre spiegano filosoficamente ciò che i vari personaggi avevano cercato di far capire agli attori. L’interpretazione che gli attori facevano della vita dei personaggi era stata oggetto di critica da parte di essi. I personaggi non si riconoscevano negli attori perché essi tendevano a fare più una caricatura delle loro vite che a metterle realmente in scena. Il padre spiega al capocomico l’impossibilità intrinseca di una reale interpretazione. L’uomo, ciò che noi crediamo reale, in realtà non lo è, il personaggio invece è reale. Questo ribaltamento del senso comune si fonda sulla filosofia del flusso perenne, infatti l’uomo non ha una sua identità ben definita, quello che è oggi, domani potrebbe non essere, invece il personaggio ha un carattere ben definito e non può cambiare, perciò al contrario della persona può essere realmente defini-to, quindi reale. La conclusione di questo ragionamento è che l’uomo può essere tutto e nessuno, invece il personaggio sarà sempre qualcuno perché la sua storia si è ormai conclusa, è stata scritta una volta per tutte e non può essere cambiata.

Ma la realtà dei personaggi implica anche la tragicità dell’esistenza, perché al con-trario dell’uomo il personaggio non può più tornare indietro, è definito per sempre nel bene o nel male. Rivive ogni istante della sua storia, come una condanna dantesca, il passato, il presente e il futuro. Questa nuova interpretazione è evidente nei personaggi del figlioletto e della bambina, essi non parlano perché, anche se presenti, sono morti. La loro storia è conclusa e rivive in ogni istante.

Se la tragicità della vita era l’incomunicabilità derivata dalla filosofia del flusso perenne, la condanna senza appello si ha quando, e qui nella commedia è palese, la vi-ta si rapprende in forme stabilite. Allora l’uomo, personaggio o individuo, muore pur continuando la sua esistenza. Il nessuno ha ancora possibilità di cambiare, chi è qualcuno è irrimediabilmente perso nel suo personaggio.