SCUOLA CINICA

SCUOLA CINICA

SCUOLA CINICA

La scuola cinica fu fondata da Antistene di Atene ma divenne famosa nell’antichità soprattutto per opera di un seguace, Diogene di Sinope, un personaggio piuttosto originale, sulla cui vita si raccontano numerosi aneddoti. Il nome cinico derivò probabilmente dalla sede della scuola situata nella piazza ateniese del Cinosarge (che alla lettera significa “cane agile”): tra l’altro il cane, per la semplicità e naturalità della sua vita, fu preso a modello da questi filosofi-saggi.
Anche i cinici, come i megarici, negarono la possibilità di costruire un vero sapere e una vera scienza: essi quindi riproposero quelle tesi paradossali secondo cui era impossibile formare definizioni e giudizi che non fossero quelli di identità (il cane è il cane).
Molto nota fu la critica di Antistene alla metafisica platonica delle idee. Come vedremo, Platone sosteneva che per ogni ente del mondo esistesse in corrispondenza un modello ideale, universale ed eterno, che egli chiamò idea: ad esempio, se nella realtà esisteva il cavallo fisico e sensibile, ad esso corrispondeva, sul piano metafisico e intellegibile, l’idea o essenza pura del cavallo, senza la quale il cavallo concreto non sarebbe esistito. Pertanto esisteva un modello ideale unico in corrispondenza di qualsiasi ente fisico-sensibile: ad esempio, all’idea di uomo, essenza metafisica eterna, corrispondevano tutti gli esseri umani passati, presenti e futuri.
Tali idee coincidevano, sul piano del linguaggio e del pensiero umano, con i termini universali di genere e specie, ossia con i nomi comuni della grammatica (cane, uomo, albero ecc.).
Antistene criticò aspramente questa teoria e sostenne che le cosiddette idee di Platone non esistessero da nessuna parte, poiché la realtà era formata solo da individui singolari (questo o quel cavallo) e non da presunte essenze ideali: quindi erano reali e veri solo i singoli individui concreti e non le essenze generiche ed astratte che li designavano e li classificavano.
Antistene infatti, in polemica con Platone, affermò: “oh Platone, vedo il cavallo ma non la cavallinità” oppure “vedo l’uomo, ma non l’umanità”.
I nomi di genere e specie erano dunque solo predicati logici che venivano usati dall’uomo per indicare individui simili tra loro, ma ad essi non corrispondeva alcuna essenza metafisica comune. Ne derivava che anche per i cinici le definizioni erano “impossibili” (in quanto riguardavano le essenze). Se dunque la scienza era in un certo senso “impossibile”, allora diventava fondamentale il problema etico, ossia la ricerca del bene e della felicità.
Il vero saggio doveva “badare a se stesso”, ossia raggiungere una propria autarchia (autosufficienza), vivendo “in compagnia di se stesso”: la vita sociale e politica, le convenzioni, le passioni e le attrattive del mondo vennero decisamente svalutate e considerate alla stregua di orpelli superflui e negativi, in quanto allontanavano dalla saggezza e dal vero bene.
Il vizio peggiore venne identificato nella ricerca del piacere fisico-sensibile, quindi nell’amore, tanto che Antistene arrivò ad affermare che, se avesse incontrato Afrodite (Dea dell’amore), l’avrebbe strozzata con le sue mani.
Pertanto l’ideale autarchico ed ascetico dei cinici si espresse soprattutto nella ricerca di uno stile di vita basato sulla naturalità: bisognava vivere secondo natura, cioè come gli animali, che non avevano bisogno di beni, di potere, di onori, di cose inutili, ma erano autosufficienti e felici.
Per realizzare tale condizione però, che risultava difficile da conquistare in quanto negava le passioni, il saggio doveva allenarsi, sforzarsi, esercitarsi, cioè praticare l’askesis (= esercizio) della volontà, da cui è derivato il termine ascesi: per questo motivo Ercole, con le sue celebri fatiche, divenne il loro ideale.

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