SCONTRO TRA CESARE E POMPEO

SCONTRO TRA CESARE E POMPEO

SCONTRO TRA CESARE E POMPEO


Cesare, ritornato dalla Spagna, propose a Crasso, suo finanziatore e creditore, ed a Pompeo, politicamente isolato, di costituire un’associazione a tre di carattere privato e convalidata da un solenne giuramento di reciproca lealtà, che avesse come fine il predominio sullo Stato (luglio del 60).

Ebbe così origine il primo triumvirato, che assicurò l’elezione di Cesare al consolato per il 59 e che lo sostenne nell’ottenere l’approvazione di leggi democratiche, le quali gli procurarono il favore del popolo, dei cavalieri e la simpatia dei provinciali.

Uscito di carica, Cesare chiese il proconsolato della Gallia Cisalpina e dell’Illiria e l’ottenne per cinque anni, con l’aggiunta in seguito anche della Gallia Narbonese. La scelta della Gallia rientrava nei piani ambiziosi e lungimiranti di Cesare: poiché gli avrebbe offerto l’occasione di conquistare un paese ricco di risorse naturali e di presentarsi a Roma nella luce di un grande trionfo, per aver sottomesso il più vicino e più temuto dei nemici romani. La conquista della Gallia venne compiuta dal 58 al 51 a.C., e ne resta una dettagliatissima descrizione nei suoi Commentari (De bello gallico).

A cavallo tra il 58 ed il 57 si assiste ad una gravissima crisi del triumvirato: ognuno agisce oramai per conto proprio incurante del fatto che la politica ingaggiata possa intaccare, in qualche modo, quella di un suo compagno: Crasso entra in evidente conflitto con Pompeo che prosegue la sua politica d’intesa con gli ottimati avvantaggiandosi dell’amicizia di Cicerone. Dei tre chi si trova nella migliore situazione è Giulio Cesare: la guerra vittoriosa che egli sostiene in Gallia gli procura, oltre alle ricchezze ed ad un aumento della fiducia da parte del popolo, la devozione delle milizie. Cesare era tenuto informato sulle vicissitudini di Roma e fa sapere a Crasso ed a Pompeo che è necessario riprendere l’unità, perché da soli si è perduti. Convoca quindi un convegno che è fissato a Lucca nell’aprile del 56 a.C.. In questo convegno Cesare riconcilia Crasso con Pompeo e rimette in sesto il triumvirato. Da qui la posizione di Cesare esce enormemente rafforzata in quanto la sua forza ed il suo prestigio vennero sottolineati in maniera inequivocabile. Infatti al concilio presero parte non solo cittadini romani, ma anche intellettuali e poeti che gli dimostravano una grande ammirazione. Ciò comportò l’arresto dei progetti fatti a discapito di Cesere da parte del senato che, cambiando clamorosamente tattica, tenta di farselo amico con lo scopo di separarlo dagli altri due.

Ora a Roma, non comandano che Pompeo, Crasso e, da lontano, Cesare. Il triumvirato ha quindi un enorme potere, ma ciò non basta a far cessare la sete di potere di Pompeo che volge ogni sua attività ad abbattere gli altri due ed a rimanere da solo padrone della res publica. Il suo maggiore rivale è quindi Cesare. Occorre strappargli la popolarità di cui gode e per far ciò Cesare organizza dei giochi per il popolo, non potendo in quel momento abbagliare con imprese militari. A facilitare tutto ciò contribuì involontariamente anche Crasso che morì, bramoso di allori militari, nel 53 a.C.. A questo punto Pompeo propose che a Cesare venga tolto il governo della Gallia e che venga richiamato in Italia, ma di fronte alla fiera opposizione degli amici di Cesare venne deliberato che sia Cesare sia Pompeo avrebbero dovuto dare una legione a testa a Roma causa la guerra contro i Parti. Chi da quest’ordine ebbe un’effettiva perdita fu solo Cesare che oltre a dover dare la sua legione dovette ridare a Pompeo quella che egli gli aveva prestato dopo il convegno di Lucca. Nonostante questi abili mosse politiche vennero proposte due rogazioni: la prima chiedeva il richiamo di Cesare dalla Gallia; la seconda le dimissioni di Pompeo. Messe ai voti la prima fu approvata, la seconda respinta.

Messa in giro la voce che Cesare stava marciando verso Roma alla testa di quattro legioni, Pompeo prese il comando delle due truppe destinate alla guerra contro i parti ed arruolò vari mercenari in tutta Italia “per il bene della repubblica”. Cesare fece sapere tramite “emissari” che era pronto a lasciare il comando della Gallia a patto che fino alla sua designazione al secondo consolato, gli siano lasciate due legioni ed il comando della Cisalpina e dell’Illiria. Per tutta risposta il senato affermò che se Cesare non avesse deposto il comando entro un termine stabilito, sarebbe stato dichiarato nemico della repubblica. Accadde allora ciò che Cesare aspettava per intervenire: i partigiani di Pompeo tumultarono e scagliarono atroci ingiurie contro i tribuni, ed i consoli ordinarono che fossero scacciati dalla Curia. Fu questo il “casus belli”.

Il senato si riunì fuori dalle mura al cospetto di Pompeo, a cui fu affidato il comando supremo delle truppe e messa a disposizione il tesoro dello stato, dichiarando la repubblica in pericolo. Il primo marzo del 49 a.C. scadeva il mandato in Gallia e dunque Cesare sarebbe dovuto tornare a Roma da privato cittadino. Egli, rifiutando quell’ordine, inizia la sua ribellione. Anche se aveva con se solo una legione (5000 fanti e 300 cavalli) contava molto sulle due legioni che aveva ceduto per la guerra contro i parti, sui veterani congedati e sul popolo. Cesare giunse così alla riva destra del Rubicone , un piccolo fiume povero d’acque che segnava il confine tra l’Italia e la Cisalpina, e lo oltrepassò citando la celebre frase “alea iacta est” (il dado è tratto) (De bello civili). Il giorno successivo il grande ribelle si impadroniva di Rimini, con l’intenzione di marciare su Pesaro ed Arezzo per poi dirigersi a Roma. Pompeo, anziché marciare a comando delle sue truppe contro Cesare, abbandonò Roma trasferì il governo nel mezzogiorno d’Italia. A Brindisi il proconsole delle Gallie invitò Pompeo ad un incontro ma questi, affermando che ce la poteva fare senza autorizzazione del senato, rifiutò l’invito, per poi scappare una volta che Cesare prese d’assedio la città. Conquistata Brindisi, Cesare si diresse a Roma dove era stato nominato dittatore. Arrivatovi esercitò la dittatura per soli 11 giorni, in conformità della situazione, e si fece eleggere console per l’anno 48 a.C., partì poi per la Tessaglia. Pompeo intanto aveva radunato un grande esercito e posto il campo in cima ad un promontorio. L’esercito di Cesare era meno della metà di quello di Pompeo (ben nove legioni con 7000 cavalieri, soldati, mercenari, ecc..) che però era composto da uomini trovati in vari luoghi, senza spirito, grinta e, soprattutto, organizzazione e fu per questo che Cesare distrusse tale esercito con perdite praticamente nulle; ma anche qui Pompeo riuscì a scappare. Andò in Silicia dove sperò di trovare aiuto dal re Tolomeo Aulete, che aveva aiutato ad ottenere tale carica. Ottenuto l’aiuto richiesto, scese dalla nave con una scialuppa, accompagnato da tre suoi “amici” (il generale Achilla, Salvio e L. Settimio), e da un suo liberto (di nome Filippo); ma appena stava scendendo sulla costa i tre lo uccisero e lo decapitarono. A questo punto il re Aulete mosse contro i pompeiani, che levarono l’ancora e si dileguarono. Cesare intanto, ignaro di tutto, inseguiva ancora Pompeo facendo vela per Alessandria dove, sbarcato, gli venne fatta vedere la testa di Pompeo. Inaspettatamente addolorato, Cesare tornò a Roma, dove il senato lo aveva dichiarato dittatore. Appena giunto l’anarchia che si era creata scomparve.

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