SALVATORE QUASIMODO OPERE E VITA

SALVATORE QUASIMODO OPERE E VITA

SALVATORE QUASIMODO OPERE E VITA


Salvatore Quasimodo (Modica, 20 agosto 1901 – Napoli, 14 giugno 1968) è stato un poeta italiano la cui poetica muove dall’ermetismo, premio Nobel alla letteratura 1959

Biografia

Salvatore Quasimodo nacque a Modica, in provincia di Ragusa, il 20 agosto del 1901. Il padre era ferroviere e dunque era costretto a spostarsi frequentemente con la propria famiglia. Il piccolo Salvatore frequentò le prime classi a Gela dove probabilmente scrisse le prime poesie. Subito dopo il catastrofico terremoto del 1908 andò a vivere a Roccalumera, un piccolo paese che si affaccia sul Mar Ionio in provincia di Messina, dove Gaetano Quasimodo era stato chiamato per riorganizzare la locale stazione. Prima dimora della famiglia, come per tanti altri superstiti, furono i vagoni ferroviari. Un’esperienza di dolore tragica e precoce che avrebbe lasciato un segno profondo nell’animo del poeta. Nella città dello Stretto Quasimodo compì gli studi fino al conseguimento, nel 1919, del diploma presso l’Istituto Tecnico “A. M. Jaci”, sezione fisico-matematica. All’epoca in cui frequentava lo “Jaci” risale un evento di fondamentale importanza per la sua formazione umana e artistica: l’inizio del sodalizio con Salvatore Pugliatti e Giorgio La Pira (compagni di scuola superiore), che sarebbe poi durato tutta la vita. Negli anni messinesi Quasimodo cominciò a scrivere versi, che pubblicava su riviste simboliste locali. Nel 1919, appena diciottenne, Quasimodo lasciò la Sicilia con cui avrebbe mantenuto un legame edipico, e si stabilì a Roma. In questo periodo continuò a scrivere versi che pubblicava su riviste locali soprattutto di Messina e trovò il modo di studiare, sempre a Roma, il latino e il greco presso il religioso Mariano Rampolla del Tindaro (fratello di Federico già professore di italiano del Quasimodo a Messina e nipote dell’omonimo e più noto Monsignor Mariano Rampolla del Tindaro). L’assunzione al Ministero dei Lavori Pubblici, con assegnazione al Genio Civile di Reggio Calabria, assicurò finalmente a Quasimodo la sopravvivenza quotidiana. Ma l’attività di geometra, per lui faticosa e del tutto estranea ai suoi interessi letterari, sembrò allontanarlo sempre più dalla poesia e, forse per la prima volta, Quasimodo dovette considerare naufragate per sempre le proprie ambizioni poetiche. Tuttavia, il riavvicinamento alla Sicilia, i contatti ripresi con gli amici messinesi della prima giovinezza, soprattutto il “ritrovamento” con Salvatore Pugliatti, insigne giurista e fine intenditore di poesia, valsero a riaccendere la volontà languente, a far sì che Quasimodo riprendesse i versi del decennio romano, per limarli e aggiungerne di nuovi. Nasceva così in ambito messinese il primo nucleo di Acque e terre. Nel 1929 Quasimodo si recò a Firenze, dove il cognato Elio Vittorini lo introdusse nell’ambiente di Solaria, una rivista fondata nel 1926 da Alberto Carocci, facendogli conoscere i suoi amici letterati, da Alessandro Bonsanti, ad Arturo Loira, a Gianna Manzini, a Eugenio Montale, che intuirono subito le doti del giovane siciliano. E proprio per le edizioni di “Solaria”, che aveva pubblicato alcune liriche di Quasimodo, uscì nel 1930 Acque e terre, il primo libro della storia poetica di Quasimodo, accolto con entusiasmo dai critici dell’epoca, che salutarono la nascita di un nuovo poeta. Nel 1932 vinse il premio dell’Antico Fattore, patrocinato dalla rivista e nello stesso anno, per le edizioni di “circoli”, uscì Oboe sommerso. Nel 1934 Quasimodo si trasferì a Milano, che segnò una svolta particolarmente significativa nella sua vita e non solo artistica. Accolto nel gruppo di “corrente” si ritrovò al centro di una sorta di società letteraria, di cui facevano parte poeti, musicisti, pittori, scultori. Nel 1936 Quasimodo pubblicò con Giovanni Scheiwiller Erato e Apòllion (prefazione di Sergio Solmi) ancora un libro fortunato con cui si concluse la fase ermetica della sua poesia. Nel 1938 lasciò il lavoro al Genio Civile e iniziò l’attività editoriale come segretario di Cesare Zavattini, che più tardi lo farà entrare nella redazione del settimanale il “Tempo”. Sempre 1938, per le Edizioni “Primi Piani” uscì la prima importante raccolta antologica Poesie, con un saggio introduttivo di Oreste Macrì, che rimase tra i contributi fondamentali della critica quasimodiana. Il poeta intanto collaborava alla principale rivista dell’ermetismo, la fiorentina Letteratura. Nel 1939-40 Quasimodo mise a punto la traduzione dei lirici greci, che uscì nel 1942 nelle Edizioni di Corrente e che, per il suo valore di originale opera creativa, sarà poi ripubblicata e riveduta più volte. Sempre nel 1942 presso Mondadori uscì Ed è subito sera. Nel 1941 gli venne concessa, per chiara fama, la cattedra di Letteratura Italiana presso il Conservatorio “G. Verdi” di Milano. Insegnamento che terrà fino all’anno della sua morte. Durante la seconda guerra mondiale, nonostante mille difficoltà, Quasimodo continuò a lavorare alacremente: mentre continuava a scrivere versi, tradusse parecchi Carmina di Catullo, parti dell’Odissea, Il fiore delle Georgiche, il Vangelo secondo Giovanni, l’Edipo re di Sofocle (tutti lavori che vedranno la luce dopo la liberazione). Un’attività questa di traduttore, che Quasimodo portò avanti negli anni successivi, parallelamente alla propria produzione e con risultati eccezionali, grazie alla raffinata esperienza di scrittore. Numerosissime le sue traduzioni: da John Ruskin, a Eschilo, Shakespeare, Molière, dall’Antologia Palatina, alle Metamorfosi di Ovidio; e ancora da Cummings, a Neruda, Aiken, Euripide, Éluard. Nel 1947, edita da Mondadori, uscì la sua prima raccolta del dopoguerra, Giorno dopo giorno, libro che segnò una svolta nella poesia di Quasimodo, al punto che si parlò e si continua a parlare di un primo e un secondo Quasimodo. Di fatto l’esperienza tragica e sconvolgente della seconda guerra mondiale, il profondo convincimento che l’imperativo categorico fosse quello di “rifare l’uomo” e che ai poeti spettasse un ruolo importante in questa ricostruzione, fecero sì che Quasimodo sentisse inadeguata ai tempi una poesia troppo soggettiva, rinunciasse al trobar clus della sua prima maniera e si aprisse a un dialogo più aperto e cordiale, soffuso di umana pietà, rimanendo però fedele al suo rigore, al suo stile. Quest’ultimo aspetto spiega da un lato perché la poesia resistenziale di Quasimodo supera quasi sempre lo scoglio della retorica e si pone su un piano più alto rispetto all’omologa poesia europea di quegli anni; dall’altro, che non c’è vera rottura: solo che, rimanendo coerente con le proprie ragioni poetiche, il poeta, sensibile al tempo storico che viveva, accoglieva temi sociali ed etici e di conseguenza variava il proprio stile. Dal 1948 Quasimodo tenne la rubrica teatrale sul settimanale “omnibus” (nel 1950, sempre come titolare della stessa rubrica, passò al settimanale il “tempo”). Nel 1949 uscì presso la Mondadori La vita non è sogno, ancora ispirato, anche se un po’ stancamente, al clima resistenziale. Nel 1950 Quasimodo ricevette il premio San Babila e nel 1953 l’Etna-Taormina insieme a Dylan Thomas. Nel 1954 uscì per la casa editrice Schwarz Il falso e vero verde; un libro di crisi, con cui inizia una terza fase della poesia di Quasimodo, che rispecchia un mutato clima politico. Dalle tematiche prebelliche e postbelliche si passa a poco a poco a quelle del consumismo, della tecnologia, del neocapitalismo, tipiche di quella “civiltà dell’atomo” che il poeta denuncia mentre si ripiega su se stesso e muta ancora una volta la sua strumentazione poetica. Il linguaggio ridiventa complesso, più scabro; Quasimodo media lessemi anche dalla cronaca, il ritmo si fa più secco, suscitando perplessità in quanti vorrebbero il poeta sempre uguale a se stesso. Seguì nel 1958 La terra impareggiabile (Mondadori, Milano), premio Viareggio. Ancora nel 1958 Quasimodo mise a punto l’antologia Poesia italiana del dopoguerra; nello stesso anno compì un viaggio in Unione Sovietica, nel corso del quale venne colpito da infarto, cui seguì una lunga degenza all’ospedale Botkin di Mosca. Il 10 dicembre 1959, a Stoccolma, Salvatore Quasimodo ricevette il Premio Nobel per la letteratu
ra e lesse il discorso Il poeta e il politico, il quale venne pubblicato l’anno dopo nell’omonimo volume (Schwarz, Milano 1960) che raccoglie i principali scritti critici di Quasimodo. Al Nobel seguirono moltissimi scritti e articoli sulla sua opera, con un ulteriore incremento delle traduzioni. Nel 1960, dall’Università di Messina gli venne conferita la laurea honoris causa; inoltre fu insignito della cittadinanza di Messina. Sempre nel 1960 sul settimanale “Le Ore” gli venne affidata una rubrica di “colloqui coi lettori”, che tenne fino al 1964, quando passò al “tempo” con una rubrica simile. Nel 1966 Quasimodo pubblicò il suo ultimo libro, Dare e avere; un titolo emblematico per una raccolta che è un bilancio di vita, quasi un testamento spirituale (il poeta infatti sarebbe morto appena due anni dopo). Nel 1967 l’Università di Oxford gli conferì la laurea honoris causa. Colpito da ictus il 14 giugno 1968 a Napoli, dove si trovava per presiedere un premio di poesia, morì sull’autoambulanza che lo trasportava in ospedale.

Il poeta e lo scrittore

La prima raccolta di Quasimodo, Acque e terre (1930), è incentrata sul tema della Sicilia, terra natale dell’autore che la lasciò già nel 1919: l’isola diviene l’emblema di una felicità perduta cui si contrappone l’asprezza della condizione presente, dell’esilio in cui il poeta è costretto a vivere (così in una delle liriche più celebri del libro, Vento a Tindari). Dalla rievocazione del tempo passato emerge spesso un’angoscia esistenziale che, nella forzata lontananza, si fa sentire in tutta la sua pena. Questa condizione di dolore insopprimibile assume particolare rilievo quando il ricordo è legato ad una figura femminile, come nella poesia Antico inverno. Se in questa prima raccolta Quasimodo appare legato a modelli abbastanza riconoscibili (soprattutto D’Annunzio, del quale viene ripresa la tendenza all’identificazione con la natura), in Oboe sommerso (1932) ed Erato e Apollion (1936) il poeta raggiunge la piena maturità espressiva.

La ricerca della pace interiore è affidata ad un rapporto col divino che è, e resterà successivamente, tormentato anche se animato da un anelito sincero, mentre la Sicilia si configura come terra del mito, terra depositaria della cultura greca: non a caso Quasimodo pubblicherà, nel 1940, una notissima traduzione dei Lirici greci. In particolare, nel libro del ’36 vengono celebrati Apollo – il dio del sole ma anche il dio cui sono legate le Muse, e quindi la stessa creazione poetica che è resa dolorosa dalla distanza fisica dell’isola – ed Ulisse, l’esule per eccellenza. E’ in queste raccolte che si può cogliere appieno la suggestione dell’ermetismo, di un linguaggio che ricorre spesso all’analogia e tende ad abolire i nessi logici tra le parole: importante è in questo senso l’uso frequente dell’articolo indeterminativo e degli spazi bianchi che, all’interno della lirica, sembrano rimandare continuamente a una serie di significati nascosti che non possono trovare una piena espressione.

Nelle Nuove poesie (pubblicate insieme alle raccolte precedenti nel volume Ed è subito sera del 1942 e scritte a partire dal 1936) il ritmo diventa più disteso grazie anche all’uso più frequente dell’endecasillabo: il ricordo della Sicilia è ancora vivissimo ma si avverte nel poeta un’inquietudine nuova, la voglia di uscire dalla sua solitudine e confrontarsi con i luoghi e le persone della sua vita attuale. In alcune liriche compare infatti il paesaggio lombardo, esemplificato dalla «dolce collina d’Ardenno» che porta all’orecchio del poeta «un fremere di passi umani» (La dolce collina). Questa volontà di dialogo si fa evidente nelle raccolte successive, segnate da un forte impegno civile e politico sollecitato dalla tragedia della guerra; la poesia rarefatta degli anni giovanili lascia il posto un linguaggio più comprensibile, dai ritmi più ampi e distesi. Così avviene in Giorno dopo giorno (1947) dove le vicende belliche costituiscono il tema dominante. La voce del poeta, annichilita di fronte alla barbarie («anche le nostre cetre erano appese», afferma in Alle fronde dei salici), non può che contemplare la miseria della città bombardata, o soffermarsi sul dolore dei soldati impegnati al fronte, mentre affiorano alla memoria delicate figure femminili, struggenti simboli di un’armonia ormai perduta (S’ode ancora il mare). L’unica speranza di riscatto è allora costituita dalla pietà umana (Forse il cuore). In La vita non è sogno (1949) il Sud è cantato come luogo di ingiustizia e di sofferenza dove il sangue continua a macchiare le strade (Lamento per il Sud); il rapporto con Dio si configura come un dialogo serrato sul tema del dolore e della solitudine umana. Il poeta sente l’esigenza di confrontarsi con i propri affetti, con la madre che ha lasciato quand’era ancora un ragazzo e che continua a vivere la sua vita semplice ed ignara dell’angoscia del figlio ormai adulto, o col ricordo della prima moglie Bice Donetti. Nella raccolta Il falso e vero verde (1956) dove lo stesso titolo è indicativo di un’estrema incertezza esistenziale, un’intera sezione è dedicata alla Sicilia, ma nel volume trova posto anche una sofferta meditazione sui campi di concentramento che esprime «un no alla morte, morta ad Auschwitz» (Auschwitz).

La terra impareggiabile (1958) mostra un linguaggio più vicino alla cronaca, legato alla rappresentazione della Milano simbolo di quella «civiltà dell’atomo» che porta ad una condizione di devastante solitudine e conferma nel poeta la voglia di dialogare con gli altri uomini, fratelli di dolore. L’isola natìa è luogo mitizzato, «terra impareggiabile» appunto, ma è anche memoria di eventi tragici come il terremoto di Messina del 1908 (Al padre).

L’ultima raccolta di Quasimodo, Dare e avere, risale al 1966 e costituisce una sorta di bilancio della propria esperienza poetica ed umana: accanto ad impressioni di viaggio e riflessioni esistenziali molti testi affrontano, in modo più o meno esplicito, il tema della morte, con accenti di notevole intensità lirica.

Gli studi

A Messina frequentò l’Istituto tecnico matematico-fisico che dava la possibilità di accedere alla Facoltà di Ingegneria e nel 1919 conseguì il diploma. Durante la permanenza in questa città conobbe il noto giurista Salvatore Pugliatti e Giorgio La Pira, futuro sindaco di Firenze, con i quali strinse una duratura amicizia.

Nel 1917 fondò il “Nuovo giornale letterario”, un mensile che ebbe breve vita e sul quale pubblicò le sue prime poesie. Nel 1919 si trasferì a Roma dove pensava di terminare gli studi di Ingegneria ma, subentrate precarie condizioni economiche, dovette abbandonarli per impiegarsi come disegnatore tecnico presso un’impresa edile e in seguito presso un grande magazzino.
Nel frattempo collaborò ad alcuni periodici e iniziò lo studio del greco e del latino con la guida di monsignore Rampolla del Tindaro dedicandosi ai classici destinati a divenire per lui fonte di schietta ispirazione.

A Firenze

Nel 1929, in seguito all’invito di Elio Vittorini che aveva sposato sua sorella e viveva a Firenze decise di trasferirsi in quella città. Qui conobbe diversi letterati appartenenti all’ambiente letterario fiorentino tra i quali Alessandro Bonsanti e Eugenio Montale e con l’ambiente della rivista letteraria Solaria.

A Reggio Calabria

Nel 1930, assunto come “geometra straordinario” dal Ministero dei Lavori Pubblici, venne assegnato al Genio Civile di Reggio Calabria. Qui strinse amicizia con i fratelli Enzo Misefari e Bruno Misefari, entrambi esponenti (il primo è comunista, il secondo è anarchico) del movimento antifascista di Reggio Calabria, che lo invogliarono a ritornare a scrivere.

Così maturò e affinò il suo gusto ermetico, cominciando a dare consistenza alla raccolta Acque e terre che pubblicò quello stesso anno per le edizioni di Solaria.

Nel periodo di Reggio Calabria nacque la mirabile Vento a Tindari.

A Imperia e a Genova

Nel 1931 venne trasferito presso il Genio Civile di Imperia e in seguito presso quello di Genova.

In questa città conobbe Camillo Sbarbaro e le personalità di spicco che gravitavano intorno alla rivista Circoli, con la quale il poeta iniziò una proficua collaborazione pubblicando, nel 1932, per le edizioni della stessa, la sua seconda raccolta Oboe sommerso nella quale sono raccolte tutte le poesie scritte tra il 1930 e il 1932 e dove comincia a delinearsi con maggior chiarezza la sua adesione all’ermetismo.

A Milano

Ottenuto il trasferimento a Milano nel 1934, venne destinato da un capoufficio che non sopportava i poeti alla sede di Sondrio, da dove prendeva ogni giorno il treno per il capoluogo lombardo. Qui si dedicò a una varia attività pubblicistica entrando in contatto con un ricco ambiente culturale .

Nel 1938 lasciò il Genio Civile per dedicarsi alla letteratura ed alla poesia e iniziò a lavorare per Cesare Zavattini in una impresa di editoria e soprattutto si dedicò alla collaborazione con Letteratura, la rivista ufficiale dell’Ermetismo.

Nel 1938 pubblicò a Milano,con una introduzione del critico Oreste Macrì una raccolta antologica intitolata Poesie e nel 1939, mentre collaborava a Il Tempo, iniziò la traduzione dei Lirici greci, opera che verrà pubblicata nel 1940 a Milano con una prefazione di Luciano Anceschi e che susciterà grande consenso.

Nel 1941 venne nominato, per chiara fama, professore di Letteratura italiana presso il Conservatorio di musica “G. Verdi” di Milano , incarico che mantenne fino alla fine del 1968.

Nel 1942 uscirà nella collezione Lo specchio della Mondadori, a Milano, l’opera Ed è subito sera che inglobava anche le Nuove poesie scritte tra il 1936 e il 1942.

Pur professando chiare idee antifasciste, non partecipò attivamente alla Resistenza e in quegli anni si diede alla traduzione del Vangelo secondo Giovanni, di alcuni Canti di Catullo e di episodi dell’Odissea che verranno pubblicati solamente dopo la Liberazione.

Nel 1945 si iscrisse al Partito comunista e l’anno seguente pubblicò la nuova raccolta dal titolo Con il piede straniero sopra il cuore ristampata nel 1947 con il nuovo titolo Giorno dopo giorno testimonianza dell’impegno morale dell’autore che continuerà, in modo sempre più profondo, nelle successive raccolte come La vita non è sogno, Il falso e il vero verde, La terra impareggiabile che si pongono, con il loro tono epico, come esempio di limpida poesia civile.

Durante questi anni il poeta continuò a dedicarsi con appassionato fervore all’opera di traduttore sia di autori classici che moderni e svolse una continua e fervida attività giornalistica, per periodici e quotidiani, dando il suo contributo soprattutto con articoli di critica teatrale.

Nel 1950 il poeta ottenne il Premio San Babila, nel 1953 il premio Etna-Taormina, nel 1958 il premio Viareggio e nel 1959 gli fu assegnato il premio Nobel per la letteratura che gli fece raggiungere una definitiva fama e gli fece ottenere le lauree honoris causa dalla Università di Messina nel 1960 e da quella di Oxford nel 1967.

Il poeta trascorse gli ultimi anni di vita compiendo numerosi viaggi in Europa e in America per tenere conferenze e letture pubbliche delle sue liriche che nel frattempo erano state tradotte in diverse lingue.

Nel giugno del 1968, mentre il poeta si trovava ad Amalfi, venne colpito da un ictus che lo condurrà alla morte dopo pochi giorni all’ospedale di Napoli. Il suo corpo sarà trasportato a Milano e seppellito nel Cimitero Monumentale.

Opere

* Acque e terre, Edizioni di “Solaria”, Firenze 1930
* Oboe sommerso, Edizioni di “Circoli”, Genova 1932
* Erato e Apòllìon, pref. di S.Solmi, Scheiwiller, Milano 1938
* Poesie, Edizioni “Primi Piani”, Milano 1938
* Lirici Greci, pref. di L. Anceschi, Edizioni di Corrente, Milano 1940
* Ed è subito sera, Mondadori, “Lo Specchio”, Milano 1942
* Con il piede straniero sopra il cuore(Alle fronde dei salici), Edizioni di “Costume”, Milano 1946
* Giorno dopo giorno, Mondadori, Milano 1947
* La vita non è sogno, Mondadori, Milano 1949
* Il falso e vero verde, Schwarz, Milano 1954
* Il fiore delle “Georgiche”, Mondadori 1957
* La terra impareggiabile 1958
* Il poeta e il politico e altri saggi, Schwarz, Milano 1960
* Dare e avere, Schwarz, Milano 1966
* Componimento Poetico “Ma dov’è la pace?”
* Uomo del mio tempo
* Alle Fronde dei Salici

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