Rosa Calzecchi Onesti CANE ARGO

Rosa Calzecchi Onesti CANE ARGO

Odissea, XVII, 290


Così tali parole fra loro dicevano:
e un cane, sdraiato là, rizzò muso e orecchie,
Argo, il cane del costante Odisseo, che un giorno
lo nutrì di sua mano (ma non doveva goderne), prima che per Ilio sacra
partisse; e in passato lo conducevano i giovani
a caccia di capre selvatiche, di cervi, di lepri;
ma ora giaceva là, trascurato, partito il padrone,
sul molto letame di muli e buoi, che davanti alle porte
ammucchiavano, perché poi lo portassero
i servi a concimare il grande terreno d’Odisseo;
là giaceva il cane Argo, pieno di zecche.
E allora, come sentì vicino Odisseo,
mosse la coda, abbassò le due orecchie,
ma non poté correre incontro al padrone.
E il padrone, voltandosi, si terse una lagrima,
facilmente sfuggendo a Eumeo; e subito con parole chiedeva:
«Eumeo, che meraviglia quel cane là sul letame!
Bello di corpo, ma non posso capire
se fu anche rapido a correre con questa bellezza,
oppure se fu soltanto come i cani da mensa dei principi,
per splendidezza i padroni li allevano».
E tu rispondendogli, Eumeo porcaio, dicevi:
«Purtroppo è il cane d’un uomo morto lontano.
Se per bellezza e vigore fosse rimasto
come partendo per Troia lo lasciava Odisseo,
t’incanteresti a vederne la snellezza e la forza.
Non gli sfuggiva, anche nel cupo di folta boscaglia,
qualunque animale vedesse, era bravissimo all’usta.
Ora è malconcio, sfinito: il suo padrone è morto lontano
dalla patria e le ancelle, infingarde, non se ne curano.
Perché i servi, quando i padroni non li governano,
non hanno voglia di far le cose a dovere;
metà del valore d’un uomo distrugge il tonante
Zeus, allorché schiavo giorno lo afferra».
Così detto, entrò nella comoda casa,
diritto andò per la sala fra i nobili pretendenti.
E Argo la Moira di nera morte afferrò
appena rivisto Odisseo, dopo vent’anni.