RIME di VITTORIA COLONNA

RIME di VITTORIA COLONNA

Vittoria Colonna fu la scrittrice italiana più famosa del Cinquecento. Visse tra il 1490 e il 1547: un periodo in cui le donne iniziarono a emergere nell’ambito artistico. Stimata nella società dell’epoca, si muoveva tra ambienti religiosi e intellettuali frequentando la cerchia di Michelangelo e dei più grandi artisti del momento.

Ariosto la definì “donna nata fra le vittorie” e nel ventesimo canto dell’Orlando Furioso la paragonò ad un uomo valorizzandone il personaggio. Lo stesso Michelangelo, le dedicò alcuni versi rappresentandola come avvolta da un’aura divina: “ Un uomo in una donna, anzi un dio per la sua bocca parla […] “.

Tutti i più grandi artisti del tempo la presero come esempio e modello.

Nata dall’unione di Fabrizio Colonna e di Agnese da Montefeltro, promessa sposa di Francesco Ferrante d’Avalos, nel 1509  divenne marchesa di Pescara.

Dopo sedici anni dal matrimonio Vittoria Colonna rimase vedova e senza figli ed è proprio da questo momento che cominciò a dedicarsi alla letteratura. La maggior parte delle Rime, suddivise in eroiche e spirituali, sono un elogio alla figura eroica del marito defunto. Di ispirazione prettamente religiosa e morale soprattutto nella prima sezione del libero, le poesie sono dedicate a Francesco Ferrante.

Quest’ultimo è protagonista anche nella seconda parte, in cui hanno più spazio temi quali la fede e la meditazione.


I SONETTO (Rime)

Il primo sonetto delle Rime sintetizza quello il tema principale dell’intero libro.

Vittoria Colonna esprime il dolore provato per l’improvvisa scomparsa del marito. La Marchesa di Pescara chiede che la memoria di Francesco Ferrante continui nel tempo.

Scrivo sol per sfogar l’interna doglia,
   Ch’al cor mandar le luci al mondo sole;
   E non per giunger luce al mio bel Sole(1),
   Al chiaro spirto, all’ onorata spoglia.
Giusta cagione a lamentar m’invoglia,
   Ch’io scemi la sua gloria assai mi dole;
   Per altra voce e più saggi parole,
   Convien ch’a Morte il gran nome si toglia.
La pura fè, l’ardor, l’intensa pena
   Mi scusi appo ciascun, che ’l grave pianto
   E’ tal, che tempo, nè ragion l’affrena.
Amaro lagrimar, non dolce canto,
   Foschi sospiri, e non voce serena,
   Di stil no, ma di duol mi danno il vanto.

PARAFRASI:

Scrivo solo per esternare la mia sofferenza,

che il cuore è desideroso di far conoscere al mondo;

E non per aggiungere meriti al già valoroso Francesco Ferrante,

al famoso spirito, alla venerata spoglia.

Una valida motivazione mi induce a lamentarmi,

poiché mi provoca un immenso dolore sminuire il suo onore;

Con un linguaggio più alto e con parole più ricercate,

è meglio sottrarre alla Morte un uomo così in vista.

Mi scusino molto la pura fede, l’intensità dell’amore,

la sofferente pena, poiché sono così disperata.

che non vi è alcuna ragione che riesca a frenare le mie lacrime.

Un pianto amaro, un canto straziante,

faticosi respiri, e voce smozzata

per lo stile no, ma per il dolore mi fanno vantare.

NOTE:

(1)     Sole: nome metaforico utilizzato per Francesco Ferrante


IV SONETTO (Rime)

Vittoria Colonna non voleva aver nulla a che fare con gli altri corteggiatori, in particolare con un nobile Cavaliere che dopo la morte del marito l’ha chiesta in moglie.

Il soggetto del sonetto è Amore che riuscì ad incantare anche l’audace Vittoria. Amore, qui visto come una divinità greca, Cupido, ferì al cuore la poetessa una volta e Colonna ribadisce che non riuscirà mai più a centrare il suo cuore nobile. La prima “freccia” le ha procurato una ferita così profonda che nessun’altra “freccia” potrà mai cancellare la potenza della prima.

De cossì nobil fiamma Amor mi cinse

ch’essendo morta in me vive l’ardore; (1)

né temo novo caldo, ch’il vigore

del primo fuoco mio tuct’altri estinse.

Ricco legame al bel giogo m’avinse

sì che disdegna umil catena il core; (2)

non più speranza vol, non più timore:

l’arse un incendio, un sol nodo lo strinse.

Scelto dardo pungente il pecto offese,

ond’ei riserba la piaga immortale

per schermo contra ogn’amoroso impaccio.

Per me la face spense ove l’accese,

l’arco spezò ne l’aventar d’un strale,

sciolse i soi nodi in l’annodar d’un laccio.

PARAFRASI

Una fiamma intensa di Amore si diffuse in me

così potente che risveglia il mio ardore;

non attendo una nuova passione, poiché la grandezza

del mio primo amore fece scomparire tutti gli altri.

Fui legata (a F. Ferrante) da un così forte legame

che il mio cuore non potrà mai più appartenere a nessun altro;

non vuole più speranza, o timore (il cuore):

si innamorò una volta, e appartenne a un solo uomo.

Scelta una freccia appuntita mi attraversò il petto,

per cui questo ( il petto) conserva una ferita incancellabile

come difesa contro ogni fastidio amoroso.

(Amore) dove accese la passione la fece spegnere,

spezzò l’arco nello scagliare una freccia,

(Amore) perse il suo potere dopo avermi legata al mio amato.

NOTE:

(1)     Ch’essendo…l’ardore: la morte dello sposo ha provocato anche la morte dell’anima di Vittoria, dicendo che l’unica cosa che la fa ancora vivere è l’amore che prova per lo sposo defunto.

(2)     Ricco legame… il core: in questi due versi si può notare una metafora e l’opposizione tra il termine “…ricco legame…”  che definisce il vero e duraturo amore provato per lo sposo con “…umil catena…” , utilizzato per qualunque altro voglia provare a unirsi a lei.

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