RIASSUNTO L’IRA DI ACHILLE ILIADE

RIASSUNTO L’IRA DI ACHILLE ILIADE

-Il Dio Apollo lo colpisce con una pestilenza che invade il capo dei Greci e a quel punto Agamennone è costretto a restituire Criseide. Ma, per ricompensare la sua perdita, Agamennone sottrae ad Achille la sua schiava e questo scatena la famosa “Ira di Achille”


-Siamo nell’ultimo anno della guerra di Troia. Ad Agamennone viene assegnata come schiava Criseide, figlia di Crise, sacerdote di Apollo, mentre ad Achille viene assegnata Briseide. Crise offre ad Agamennone un riscatto in oro per riavere la figlia, ma Agamennone lo tratta con durezza, dichiarando che Criseide rimarrà prigioniera per sempre. Il vecchio si reca al tempio e chiede l’aiuto di Apollo. Il dio è furente. Una forte pestilenza invade il campo acheo. Gli achei consultano Calcante, questi risponde che è l’ira di Apollo. Agamennone cede e restituisce Criseide, ma chiede qualcosa in cambio: Briseide, la schiava di Achille. Da qui l’ira di Achille: se Agamennone non gli restituirà Briseide, lui si ritirerà, insieme ai suoi guerrieri, i Mirmidoni. Agamennone dichiara ad Achille che può benissimo tornarsene a casa e gli ordina di consegnarli Briseide. Achille furente consegna la sua schiava,Criseide raggiunge il padre e la pestilenza termina. Achille, infuriato, chiama sua madre Teti,e le chiede di pregare Zeus affinché intervenga a favore dei suoi nemici troiani. Achille si ritira nella sua tenda, dimostrando di non voler più combattere.

Agamennone raduna gli altri capi achei e rivela il suo piano, Nestore si dichiara d’accordo con lui: occorre radunare l’esercito ed attaccare Troia. Ma quando l’esercito acheo è radunato, Agamennone annuncia che Zeus l’ha abbandonato.

Nel ventiduesimo giorno gli eserciti si trovano faccia a faccia. Paride esce dalle file troiane e si offre di duellare con chiunque dei capi achei.
Il principe troiano, temerario, è un grande arciere ma alla sua sfida risponde Menelao. Paride è paralizzato dalla paura e decide di ritornare in fretta fra le file troiane. Ettore lo rimprovera aspramente. Paride ritorna in se e decide di affrontare Menelao. Il duello ha inizio, sembra che Menelao debba trionfare. Egli è più forte ed esperto e pensa di essere dalla parte del giusto.

Agamennone raduna le truppe achee, mentre i troiani avanzano in ordine di battaglia. Gli achei hanno la meglio. Atena torna sul campo di battaglia. Nel frattempo Ettore torna alla carica. Anche Enea ritorna in campo accompagnato da Ares. I troiani  respingono gli achei.
Atena ed Era  tentano di incitare gli achei. I troiani vedono sfuggire la vittoria, ma Ettore ed Enea contengono la controffensiva achea, mentre Nestore li esorta a massacrare tutti i troiani.

Ettore e Paride rafforzano il coraggio dei troiani, mentre Atena ritorna in campo a prestare soccorso agli achei. Qui incontra Apollo, che approva il suo suggerimento di uno scontro tra un campione di entrambe le parti. Il principe troiano si fa avanti, ma nessuno risponde alla sua sfida. È allora Menelao a proporsi, vergognandosi della mancanza di coraggio degli Achei.

Ma Agamennone convince il fratello a rinunciare. È Nestore che si rivolge agli achei, affinché scelgano un campione. Il designato è Aiace.Zeus ordina agli dei di non intervenire più. Solo Atena chiede di poter almeno dare consigli, Zeus glielo concede. Zeus, smentendo se stesso e ricordando le promesse fatte a Teti, interviene creando scompiglio in campo acheo.
I troiani inseguono il nemico fin nel suo campo. Era tormenta Agamennone affinché schieri nuovamente i suoi guerrieri.
Vedendo la ritirata dei loro protetti Era ed Atena sono pronte a scendere in campo, ma Zeus vede tutto e le richiama sull’Olimpo.

Agamennone convoca un consiglio di guerra. Egli annuncia che la causa è persa.Agamennone ammette i propri torti e promette di restituire Briseide affinché Achille possa porre  fine alla loro lite.Durante la terza battaglia  Patroclo va alla tenda di Nestore. Il vecchio re coglie l’occasione per intervenire: se Achille non vuole combattere, che almeno mandi Patroclo, alla testa dei Mirmidoni. Potrebbe persino indossare le armi di Achille, facendo credere ai troiani che sia tornato in battaglia.

Gli achei sono ormai schierati dietro il muro costruito a difesa.  Dal monte Ida, Zeus manda un forte vento, che solleva la polvere, spingendola verso gli achei e creando loro problemi nella visione.
Ettore guida l’attacco contro una porta del bastione. Ma l’azione distoglie parte delle forze achee, favorendo Ettore che abbatte una traversa della porta.
I troiani penetrano nell’accampamento e gli achei sono costretti a rifugiarsi sulle proprie navi.

Anche Era osserva la battaglia. I due Aiace massacrano i troiani intorno alla breccia creata da Ettore.I troiani sono abbattuti e ricacciati al di là della breccia.

Achille vede i bagliori dell’incendio. Patroclo gli chiede di poter indossare le sue armi e di partecipare alla battaglia. Achille lo lascia andare, purché si limiti a difendere le navi. L’apparizione di un eroe che assomiglia ad Achille, è sufficiente a capovolgere la situazione. Gli achei cacciano i troiani, Patroclo, dimenticando la promessa fatta, insegue il nemico fino al campo di battaglia.
Patroclo sente la vittoria vicina, si apre un varco verso le mura di Troia. Apollo ritorna sul campo di battaglia e  colpisce violentemente Patroclo sul dorso che cade tramortito. Egli tenta di riunirsi ai Mirmidoni, viene colpito da euforbo poi Ettore lo uccide, ma prima di morire, Patroclo, predice la morte a Ettore, per mano di Achille. Ettore si impossessa delle armi che erano di Achille e le indossa. Ma quando cerca di impossessarsi del corpo, Aiace il grande gli sbarra la strada. Nel frattempo, il corpo di Patroclo è difeso da Menelao, Aiace ed i loro soldati. Viene mandato un messaggero ad Achille, affinché abbia la notizia della morte del suo amico.

Appresa la perdita di Patroclo, in Achille nasce un nuovo e più fiero dolore. I lamenti di Achille attirano la madre Teti. Alla madre dichiara di desiderare una sola cosa: la morte di Ettore. Era dice ad Achille anche se non può combattere, Achille deve mostrarsi in battaglia, affinché i suoi amici possano contare sulla sua presenza, rafforzandone lo spirito.
Achille ritorna in battaglia, rivestito da Atena con un manto splendente. Si alza sopra ad un vallo ed emette un triplice urlo. Gli achei approfittano della confusione respingendo i troiani. Ettore, vista la presenza di Achille, decide di ritornare all’interno delle mura.

Intanto Achille e Agamennone si sono riconciliati. Apollo si avvicina ad Enea e gli ricorda che è figlio di Afrodite e parla anche a Ettore, raccomandandogli di non affrontare Achille, che in questo momento è più forte di lui. Poi si precipita verso Achille e lo sfida. Ettore gli lancia contro il giavellotto, ma Atena ne devia la traiettoria mortale. Achille si getta su di lui, ma Apollo lo afferra, lasciando al suo posto una nube opaca.

Ettore, riconoscendo il suo destino, decide di battersi con Achille che lo insegue a lungo e lo strema a terra. Achille insulta Ettore in fin di vita, giurando che non permetterà che i troiani rendano gli onori funebri alla sua salma. Nell’ultimo respiro, Ettore avverte Achille, anche la sua ora sta per arrivare. Achille trafigge i talloni di Ettore, lega i piedi e attacca la corda alla propria biga. Vi sale sopra e trascina il corpo del principe lungo tutte le mura di Troia.

Priamo, consigliato dagi dei, decide di offrire un riscatto per riavere il corpo di suo figlioe si incammina verso la tenda di Achille. Colpito dal coraggio del vecchio re, Achille lo tratta con rispetto. Poiché Teti glielo ha chiesto, renderà il cadavere al padre.
Viene preparato il rogo funebre per Ettore.
Il poema finisce con i funerali di Ettore nella città di Troia.


Ira di Achille

Lo guatò bieco Achille, e gli rispose:
Anima invereconda, anima avara,
chi fia tra i figli degli Achei sì vile
che obbedisca al tuo cenno, o trar la spada
in agguati convegna o in ria battaglia?
Per odio de’ Troiani io qua non venni
a portar l’armi, io no; ché meco ei sono
d’ogni colpa innocenti. Essi né mandre
né destrier mi rapiro; essi le biade
della feconda popolosa Ftia
non saccheggiâr; ché molti gioghi ombrosi
ne son frapposti e il pelago sonoro.
Ma sol per tuo profitto, o svergognato,
e per l’onor di Menelao, pel tuo,
pel tuo medesmo, o brutal ceffo, a Troia
ti seguitammo alla vendetta. Ed oggi
tu ne disprezzi ingrato, e ne calpesti,
e a me medesmo di rapir minacci
de’ miei sudori bellicosi il frutto,
l’unico premio che l’Acheo mi diede.
Né pari al tuo d’averlo io già mi spero
quel dì che i Greci l’opulenta Troia
conquisteran; ché mio dell’aspra guerra
certo è il carco maggior; ma quando in mezzo
si dividon le spoglie, è tua la prima,
ed ultima la mia, di cui m’è forza
tornar contento alla mia nave, e stanco
di battaglia e di sangue. Or dunque a Ftia,
a Ftia si rieda; ché d’assai fia meglio
al paterno terren volger la prora,
che vilipeso adunator qui starmi
di ricchezze e d’onori a chi m’offende.
Fuggi dunque, riprese Agamennóne,
fuggi pur, se t’aggrada. Io non ti prego
di rimanerti. Al fianco mio si stanno
ben altri eroi, che a mia regal persona
onor daranno, e il giusto Giove in prima.
Di quanti ei nudre regnatori abborro
te più ch’altri; sì, te che le contese
sempre agogni e le zuffe e le battaglie.
Se fortissimo sei, d’un Dio fu dono
la tua fortezza. Or va, sciogli le navi,
fa co’ tuoi prodi al patrio suol ritorno,
ai Mirmìdoni impera; io non ti curo,
e l’ire tue derido; anzi m’ascolta.
Poiché Apollo Crisëide mi toglie,
parta. D’un mio naviglio, e da’ miei fidi
io la rimando accompagnata, e cedo.
Ma nel tuo padiglione ad involarti
verrò la figlia di Brisèo, la bella
tua prigioniera io stesso onde t’avvegga
quant’io t’avanzo di possanza, e quindi
altri meco uguagliarsi e cozzar tema.
Di furore infiammâr l’alma d’Achille
queste parole. Due pensier gli fêro
terribile tenzon nell’irto petto,
se dal fianco tirando il ferro acuto
la via s’aprisse tra la calca, e in seno
l’immergesse all’Atride; o se domasse
l’ira, e chetasse il tempestoso core.
Fra lo sdegno ondeggiando e la ragione
l’agitato pensier, corse la mano
sovra la spada, e dalla gran vagina
traendo la venìa; quando veloce
dal ciel Minerva accorse, a lui spedita
dalla diva Giunon, che d’ambo i duci
egual cura ed amor nudrìa nel petto.
Gli venne a tergo, e per la bionda chioma
prese il fiero Pelìde, a tutti occulta,
a lui sol manifesta. Stupefatto
si scosse Achille, si rivolse, e tosto
riconobbe la Diva a cui dagli occhi
uscìan due fiamme di terribil luce,
e la chiamò per nome, e in ratti accenti,
Figlia, disse, di Giove, a che ne vieni?
Forse d’Atride a veder l’onte? Aperto
io tel protesto, e avran miei detti effetto:
ei col suo superbir cerca la morte,
e la morte si avrà. – Frena lo sdegno,
la Dea rispose dalle luci azzurre:
io qui dal ciel discesi ad acchetarti,
se obbedirmi vorrai. Giuno spedimmi,
Giuno ch’entrambi vi difende ed ama.
Or via, ti calma, né trar brando, e solo
di parole contendi. Io tel predìco,
e andrà pieno il mio detto: verrà tempo
che tre volte maggior, per doni eletti,
avrai riparo dell’ingiusta offesa.
Tu reprimi la furia, ed obbedisci.
E Achille a lei: Seguir m’è forza, o Diva,
benché d’ira il cor arda, il tuo consiglio.
Questo fia lo miglior. Ai numi è caro
chi de’ numi al voler piega la fronte.
Disse; e rattenne su l’argenteo pomo
la poderosa mano, e il grande acciaro
nel fodero respinse, alle parole
docile di Minerva. Ed ella intanto
all’auree sedi dell’Egìoco padre
sul cielo risalì fra gli altri Eterni.
Achille allora con acerbi detti
rinfrescando la lite, assalse Atride:
Ebbro! cane agli sguardi e cervo al core!
Tu non osi giammai nelle battaglie
dar dentro colla turba; o negli agguati
perigliarti co’ primi infra gli Achei,
ché ogni rischio t’è morte. Assai per certo
meglio ti torna di ciascun che franco
nella grand’oste achea contro ti dica,
gli avuti doni in securtà rapire.
Ma se questa non fosse, a cui comandi,
spregiata gente e vil, tu non saresti
del popol tuo divorator tiranno,
e l’ultimo de’ torti avresti or fatto.
Ma ben t’annunzio, ed altamente il giuro
per questo scettro (che diviso un giorno
dal montano suo tronco unqua né ramo
né fronda metterà, né mai virgulto
germoglierà, poiché gli tolse il ferro
con la scorza le chiome, ed ora in pugno
sel portano gli Achei che posti sono
del giusto a guardia e delle sante leggi
ricevute dal ciel), per questo io giuro,
e invïolato sacramento il tieni:
stagion verrà che negli Achei si svegli
desiderio d’Achille, e tu salvarli
misero! non potrai, quando la spada
dell’omicida Ettòr farà vermigli
di larga strage i campi: e allor di rabbia
il cor ti roderai, ché sì villana
al più forte de’ Greci onta facesti.
Disse; e gittò lo scettro a terra, adorno
d’aurei chiovi, e s’assise.

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