RIASSUNTO LA CRISI DEL TERZO SECOLO

RIASSUNTO LA CRISI DEL TERZO SECOLO


Crisi del III secolo è il nome comunemente utilizzato per indicare un’ epoca della storia dell’Impero romano, a cavallo tra il 235 ed il 284 d.C., al termine della dinastia dei Severi, durante la quale si manifestarono simultaneamente situazioni estremamente problematiche in diversi campi, come: l’aumento della pressione nemica sui confini, spesso accompagnata da secessioni (cfr. Impero delle Gallie e Regno di Palmira) e disordini interni (la qual cosa comporterà riforme strutturali della tradizionale unità militare romana, la legione), la crisi del tradizionale sistema economico e, soprattutto, la grave instabilità politica (“anarchia militare”).

La causa principale della crisi può essere ricercata nella fine dell’idea di Impero tipica delle dinastie giulio-claudia ed antonina basata sulla collaborazione tra l’imperatore, il potere militare e le forze politico-economiche interne. Nei primi due secoli dell’Impero la contrapposizione tra autorità politica e potere militare si era mantenuta, anche se pericolosamente (guerre civili), all’interno di un certo equilibrio, garantito anche dalle enormi ricchezze che affluivano allo Stato e ai privati tramite le campagne di conquista. Nel III secolo d.C., però, tutte le energie dello Stato venivano spese non per ampliare, ma per difendere i confini dalle invasioni barbare. Quindi, con l’esaurimento delle conquiste, il peso economico e l’energia politica delle legioni finirono per rovesciarsi all’interno dell’Impero invece che all’esterno, con il risultato che l’esercito, che era stato il fattore principale della potenza economica, finì per diventare un peso sempre più schiacciante, mentre la sua prepotenza politica diventava una fonte permanente di anarchia. La cosa più sorprendente di questa gravissima crisi è che l’Impero sia riuscito a superarla.


Analisi e periodo della crisi:

I cambiamenti nelle istituzioni, nella società, nella vita economica e, di conseguenza anche nel modo di pensare e nella religione furono così profondi e fondamentali, che la “crisi del III secolo” è sempre più vista come lo spartiacque che contrassegna la differenza fra il mondo classico e quello della tarda antichità, che già porta in sé i germi del Medioevo.

Durante i circa 50 anni della crisi più di una ventina di imperatori si succedettero sul trono, regnando a volte contemporaneamente su parti diverse del territorio. Si trattava in genere di comandanti militari che venivano proclamati imperatori dalle proprie legioni e riuscivano a mantenere il potere per una media di due o tre anni, prima di essere a loro volta assassinati dal loro successore.

La crisi si arrestò solo con una serie di imperatori che provenivano dai ranghi militari e dalla provincia della Dalmazia[2], i quali grazie alla loro abilità militare riuscirono a riunificare l’Impero e a difenderne efficacemente i confini, e con la drastica riforma imposta da Diocleziano nel 284, che permise la prosecuzione dell’Impero per quasi altri due secoli come “tardo impero romano”.


Crisi politico-militare: 

Il periodo si considera iniziare nel 235, quando l’imperatore Alessandro Severo fu assassinato dai soldati durante una campagna contro gli Alamanni lungo il fronte settentrionale, al ritorno dal fronte orientale dopo tre anni di campagne contro i Sassanidi della Persia. La pressione dei barbari alle frontiere e dei Sassanidi in Oriente si era intensificata a tal punto che molti degli imperatori che venivano via via proclamati dalle legioni non riuscirono nemmeno a mettere piede a Roma, né tanto meno a mettere mano a riforme interne durante i loro brevissimi regni, perché permanentemente occupati nelle lotte contro altri pretendenti al trono imperiale o a difesa del territorio contro i nemici esterni. Il punto più basso si raggiunse nel 260, quando l’imperatore Valeriano, sconfitto in battaglia, fu preso prigioniero dai Sassanidi e morì in cattività senza che fosse possibile intraprendere una spedizione per liberarlo. La vittoria di Claudio il Gotico contro i Goti nella battaglia di Naisso del 268 fu una significativa svolta nella crisi. Con lui e il suo successore Aureliano (270-276) furono ripresi l’impero delle Gallie e il regno di Palmira, che si erano staccati dall’Impero durante il Principato di Gallieno: l’impero romano era nuovamente riunito e le truppe di frontiera di nuovo al loro posto.

In conclusione, la crisi politico-militare fu caratterizzata almeno da tre conflitti: quello esterno, innescato dalle invasioni barbariche; quello interno, tra l’aristocrazia senatoria ed i comandanti militari; e quello nelle file dell’esercito tra generali, imperatori ed usurpatori.

L’anarchia militare durata 50 anni dimostrò la maggiore importanza dell’elemento militare che doveva difendere l’Impero rispetto al Senato che aveva ormai perso non solo autorità, ma anche autorevolezza. Gli imperatori ormai non provenivano più dai ranghi del Senato, ma erano i generali che avevano fatto carriera nell’esercito ed erano stati proclamati dai soldati, ottenendo il potere dopo aver combattuto contro altri comandanti. Con la riforma dell’esercito operata da Gallieno (260-268) il Senato di Roma finì per essere escluso non solo sostanzialmente, ma anche ufficialmente dal comando militare, in quanto l’imperatore decretò che le legioni potessero essere guidate anche da praefecti di rango equestre (in precedenza il comando delle legioni era monopolio di legati di classe senatoria).


Crisi Demografica:

Dopo il primo assalto avvenuto durante l’epoca di Marco Aurelio, un’altra pesantissima e ancor più devastante epidemia di peste colpì i territori dell’Impero nel ventennio 250-270. Si è calcolato che il morbo abbia mietuto milioni di vittime e che alla fine la popolazione dell’Impero fosse ridotta del 30 per cento, da 70 a 50 milioni di abitanti.

Crisi economica e commerciale:

L’economia dell’impero romano nei primi due secoli si era basata sulla conquista militare di nuovi territori e sullo sfruttamento schiavistico delle campagne: in mancanza di nuove conquiste e dei bottini di guerra le spese dello stato, sempre più impellenti per poter far fronte alle pressioni esterne, furono coperte con un progressivo aumento delle tassazioni, proprio quando la diminuzione del numero di schiavi minava le possibilità economiche dei cittadini. La pressione fiscale divenne insostenibile per molti piccoli proprietari, costretti a indebitarsi e quindi a vendere le proprie terre, per andare a lavorare in condizioni di semischiavitù sotto i grandi proprietari (colonato). Per questo fenomeno e per il calo demografico determinato dalle perdite umane nei numerosi conflitti, molte terre furono abbandonate e cessarono di essere produttive. Le difficoltà di comunicazione in seguito ai numerosi conflitti avevano in diversi casi reso indispensabile la riscossione diretta delle tasse da parte dello stesso esercito, causando abusi e trasformandosi a volte in un vero e proprio diritto di saccheggio.

La crisi era aggravata dall’iperinflazione causata da anni di svalutazione della moneta. Questa si era resa necessaria già sotto gli imperatori della dinastia dei Severi, che per far fronte alle necessità militari avevano ampliato l’esercito di un quarto e raddoppiata la paga base. Gli imperatori successivi, il cui potere dipendeva interamente dall’esercito, erano costretti a continue nuove emissioni per pagare i soldati ed effettuare i tradizionali donativi: il metallo effettivamente presente nelle monete si ridusse progressivamente, pur conservando queste lo stesso valore teorico. Ciò ebbe l’effetto prevedibile di causare un’inflazione galoppante e quando Diocleziano arrivò al potere il sistema monetario era quasi al collasso: persino lo stato pretendeva il pagamento delle tasse in natura invece che in moneta e il denario, la tradizionale moneta d’argento, usata per più di 300 anni, era poco apprezzata.

Inoltre, l’instabilità politica ebbe pesantissimi effetti anche sui traffici commerciali. Ecco come lo storico Henry Moss descrive la situazione dei trasporti e della rete commerciale dell’Impero prima della crisi:
« Attraverso queste strade passava un traffico sempre crescente, non soltanto di truppe e funzionari, ma di commercianti, mercanzie e perfino di turisti. Lo scambio di merci fra le varie province si era sviluppato rapidamente, e presto raggiunse una scala senza precedenti nella storia, che non si ripeté fino a pochi secoli fa. I metalli estratti nelle regioni montagnose dell’Europa occidentale, pelli, panni e bestiame dai distretti pastorali della Britannia, Spagna e dai mercati del Mar Nero, vino ed olio dalla Provenza e dall’Aquitania, legname, pece e cera dalla Russia meridionale e dal nord dell’Anatolia, frutta secca dalla Siria, marmo dai litorali egei e – il più importante di tutti – grano dai distretti dell’Africa del nord, dell’Egitto e della valle del Danubio per i bisogni delle grandi città; tutti questi prodotti, sotto l’influenza di un sistema altamente organizzato di trasporto e vendita, si muovevano liberamente da un angolo all’altro dell’Impero. »

Con la crisi del III secolo questa ampia rete commerciale fu rotta. L’agitazione civile e i conflitti la resero non più sufficientemente sicura per permettere ai commercianti di viaggiare come prima e la crisi monetaria rese gli scambi molto difficili. Ciò produsse profondi cambiamenti che proseguirono fino all’età medioevale. I grandi latifondisti, non più in grado di esportare con successo i loro raccolti sulle lunghe distanze, cominciarono a produrre cibi per la sussistenza e per il baratto locale. Piuttosto che importare i prodotti, cominciarono a produrre molti beni localmente, spesso sulle loro stesse proprietà di campagna, dove tendevano a rifugiarsi per sfuggire alle imposizioni dello Stato a carico dei cittadini. Nacque in tal modo una “economia domestica” autosufficiente che sarebbe diventata ordinaria nei secoli successivi, raggiungendo la sua forma finale in età medioevale.


Crisi sociale:

La crisi economica aveva comportato una diversa suddivisione della società: dalle tre classi tradizionali dei senatori, dei cavalieri e dei plebei: senatori e cavalieri (grandi proprietari terrieri e militari, che disponevano della proprietà terriera e delle riserve di monete d’oro) erano confluiti nella classe privilegiata degli honestiores, mentre artigiani e piccoli commercianti, toccati dalle difficoltà economiche e dalla svalutazione della moneta d’argento, erano confluiti nella classe degli humiliores che andava man mano perdendo i propri diritti. Benché anche nei secoli precedenti fossero presenti profonde diseguaglianze economiche tra la popolazione dell’Impero, la peculiarità della crisi sociale del III secolo risiede nella legittimazione giuridica di questa situazione: pene diverse erano previste per honestiores e humiliores, e le possibilità di scalata sociale erano fortemente ridotte.

Sempre più spesso gli humiliores rinunciavano volontariamente alle proprie libertà per affidarsi alla protezione dei grandi proprietari terrieri ed evitare inoltre l’arruolamento forzato nell’esercito. I piccoli artigiani e i commercianti liberi delle città, cominciarono a spostarsi verso le grandi proprietà della campagna, alla ricerca di cibo e di protezione. Molti di questi ex abitanti della città, così come molti piccoli coltivatori, furono costretti a rinunciare ai diritti basilari per ricevere la protezione dai grandi proprietari terrieri. Diventarono così una classe di cittadini semi-liberi noti come coloni , legati alla terra e, grazie alle successive riforme imperiali, la loro posizione divenne ereditaria. Ciò fornì un primo modello per la servitù della gleba, che avrebbe costituito la base della società feudale medioevale.


Crisi urbana :

L’insicurezza del territorio comportò anche un cambiamento nel carattere delle città: queste si erano ovunque sviluppate nei primi due secoli dell’impero e non avevano particolari esigenze difensive, mentre a partire dal III secolo si iniziò il cambiamento graduale e discontinuo che avrebbe portato dalle grandi città aperte dell’antichità alle più piccole città cinte da mura, comuni nel medioevo. Particolarmente significativa fu la nuova cinta muraria che l’imperatore Aureliano fece costruire intorno alla stessa Roma, che dopo molti secoli era nuovamente minacciata dalle incursioni dei barbari. La stessa diminuzione del commercio indirizzava inoltre le città verso un sempre crescente isolamento.

I grandi centri videro diminuire la propria popolazione: molti grandi proprietari si erano spostati nei loro possedimenti in campagna, diventati in larga misura autosufficienti e che tendevano a sfuggire al controllo dell’autorità centrale; la crisi aveva attratto, come si è visto, verso questi nuovi centri economici anche coloro che precedentemente trovavano la propria sussistenza nell’economia cittadina. La pressione fiscale aveva inoltre quasi del tutto cancellato quel ceto di funzionari cittadini, i decurioni, che ne garantivano l’amministrazione ed il legame con Roma.

Conseguenze:

Le riforme volute da Diocleziano e i successi militari ottenuti, consentirono di ridare pace e sicurezza all’impero, che continuò in Occidente per altri due secoli e ancora per un millennio in Oriente. La tetrarchia tentò di introdurre un sistema di successione al trono imperiale che evitasse le lotte per la successione: vennero creati quattro imperatori, due “augusti” e due “cesari”, destinati a succedere ai primi come augusti e a scegliere quindi a loro volta i propri successori nominando dei nuovi cesari. La suddivisione dell’impero e lo spostamento delle sedi imperiali, trasferite da Roma in centri più vicini ai confini da difendere, e la riorganizzazione dell’esercito resero più efficaci le difese.

I provvedimenti adottati in campo economico presero atto delle trasformazioni avvenute e permisero di arrestare la crisi: il sistema fiscale fu razionalizzato eliminando antiche esenzioni e privilegi, l’amministrazione civile, a cui venne affidata la riscossione delle imposte, venne riorganizzata, con nuove suddivisioni amministrative, e nettamente separata da quella militare.

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