RIASSUNTO DEI MOTI MAZZINIANI

RIASSUNTO DEI MOTI MAZZINIANI

RIASSUNTO DEI MOTI MAZZINIANI


Il primo moto, Mazzini lo organizzò da Marsiglia, avrebbe dovuto scoppiare in Piemonte, dove aveva svolto una grande azione di propaganda fra le truppe anche attraverso il giornale La Giovine Italia. A causa di una rissa avvenuta fra i soldati in Savoia, la polizia arrestò molti dei congiurati, fra cui tanti ufficiali, i fratelli Giovanni e Jacopo Ruffini, l’avvocato Andrea Vochieri e l’abate torinese Vincenzo Gioberti. Tutti subirono un processo dal tribunale militare, e dodici furono condannati a morte, fra questi anche il Vochieri, mentre Jacopo Ruffini pur di non tradire si uccise in carcere, altri riuscirono a salvarsi con la fuga.

Il fallimento del primo moto, non fermò Mazzini, convinto che era tempo e che il popolo lo avrebbe seguito. Si trovava a Ginevra, quando assieme ad altri italiani e alcuni polacchi, organizzava un’azione militare contro lo stato dei Savoia. A capo della rivolta aveva messo il Generale Ramorino, che aveva già preso parte ai moti del 1821, questa scelta però si rivelò un fallimento, perchè il Ramorino si giocò i soldi raccolti per l’insurrezione e di conseguenza rimandava continuamente la spedizione, tanto che quando il 2 febbraio 1834, passò con le sue truppe il confine con la Savoia, la polizia ormai allertata da tempo, disperse i volontari con molta facilità.
In contemporanea doveva scoppiare una rivolta a Genova, sotto la guida di Giuseppe Garibaldi, che si era arruolato nella marina da guerra sarda per svolgere propaganda rivoluzionaria tra gli equipaggi. Quando giunse sul luogo dove avrebbe dovuto iniziare l’insurrezione però, non trovò nessuno, e così rimasto solo, dovette scappare, ce la fece appena in tempo a salvarsi salendo su una nave in partenza per l’America del Sud, intanto a Genova veniva condannato a morte. Mazzini invece, poiché aveva personalmente preso parte alla spedizione con Ramorino, fu espulso dalla Svizzera e dovette cercare rifugio in Inghilterra. Lì fece discorsi, lettere e scritti su giornali e riviste, aiutando a distanza, gli italiani, a mantenere il desiderio di unità e indipendenza. Anche se l’insuccesso dei moti fu assoluto, dopo questi fatti, il comportamento di Carlo Alberto migliorò, temendo che reazioni eccessive potessero diventare pericolose per la monarchia.


La riflessione circa i fallimenti dei moti carbonari aveva convinto Mazzini a elaborare una strategia insurrezionale basata su una visione “messianica” e fortemente fideistica del processo risorgimentale. Il popolo doveva essere coinvolto, essere educato a una riforma morale che lo preparasse a non avere padroni, a gestire se stesso in una repubblica indipendente e unitaria: solo così avrebbe potuto rispettare la missione che Dio stesso gli aveva preparato. I moti non dovevano più, quindi, essere testimonianza della passione patriottica di alcuni “illuminati”, bensì una manifestazione pubblica di un ideale politico popolare e repubblicano. Niente più struttura settaria, nessun codice misterioso condiviso soltanto da pochi adepti, nessuna segretezza circa obiettivi e scopi perseguiti: bisognava ricercare il coinvolgimento popolare, occorreva che fosse il popolo a conquistare l’Unità. 

“Dio e popolo”, erano questi i due punti di riferimento che animavano pensieri e azioni di Mazzini e degli affiliati alla Giovine Italia. E questo fu al contempo uno dei più diffusi motti del Risorgimento. 

Tra la fine degli anni Trenta e i primi anni Quaranta le azioni insurrezionali vennero, di fatto, monopolizzate dai mazziniani, anche se non sempre si svolsero sotto la sua diretta organizzazione (e, a volte, non ebbero neppure la sua approvazione). Lo Stato pontificio, oltre al Regno delle Due Sicilie, era tra i principali obiettivi degli insorti. 

Improntata al mazzinianesimo fu, ad esempio, la tentata insurrezione emiliano-romagnola, scoperta e sventata prima di poter essere realizzata, del 1843. O, ancora, la sfortunata esperienza di Attilio ed Emilio Bandiera, due fratelli veneziani ufficiali della Marina austriaca che, dopo aver disertato, nel 1844 si recarono in Calabria, nella speranza di riuscire a innescare un moto di rivolta contro il malgoverno borbonico. Ma il popolo non li comprese: scambiati per briganti, braccati dalla polizia e dalla popolazione locale, traditi da un compagno, i due fratelli e lo sparuto drappello di insorti vennero infine fucilati. 

Altro episodio fu quello di Rimini nel 1845, quando, dopo aver preso possesso della città, gli insorti redassero un proclama, steso da Luigi Carlo Farini, meglio conosciuto come Manifesto di Rimini. Nel proclama si poteva leggere una sferzante critica allo Stato pontificio, le cui leggi e istituzioni erano additate come esempio di malgoverno. 

Tutti questi fallimenti gettarono discredito sulle reali possibilità del mazzinianesimo politico di condurre una lotta vincente al fine della liberazione dell’Italia dallo straniero e della sua indipendenza. 

Nuovi protagonisti avrebbero ben presto criticato e messo in discussione l’opzione mazziniana e repubblicana del Risorgimento, elaborando e facendo circolare nuove teorie e, infine, passando all’azione. Ma Mazzini e i suoi ideali non sarebbero scomparsi, anzi avrebbero ancora recitato una parte fondamentale sulla strada per l’Unità….

RIASSUNTO DEI MOTI MAZZINIANI

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