RIASSUNTO CANTO X LA MAGA CIRCE E I PORCI

RIASSUNTO CANTO X LA MAGA CIRCE E I PORCI

Arrivammo all’isola di Ea. Qui abitava Circe riccioluta, la tremenda dea che ha voce umana. Era sorella di Aeta dai propositi di distruzione: tutti e due erano nati dal Sole che fa luce ai mortali, e dalla madre Perse, figlia di Oceano. Allora divisi tutti i compagni in due schiere e assegnai un capo ad entrambe. Degli uni ero io il comandante, degli altri Euriloco. Subito dentro un elmo di bronzo tirammo a sorte chi dovesse esplorare l’isola: balzò fuori il nome di Euriloco. Si mosse per andare e con lui partivano i ventidue compagni. Trovarono nelle valli il palazzo di Circe, costruito con pietre lisce, in un luogo isolato. Si fermarono nell’atrio della dea dalle belle chiome. Sentivano Circe cantare dentro con voce soave, mentre tesseva una tela grande, immortale, come sono i lavori delle dee, sottili e splendenti e pieni di grazia. Ed essi con un grido la chiamavano. Ella ben presto uscì aprendo i lucidi battenti della porta e li invitava dentro.

Ed essi tutti insieme nella loro semplicità la seguivano. Ma Euriloco non si mosse, ebbe il sospetto che ci fosse un inganno. Li faceva entrare. Li mise a sedere sulle sedie e sugli altri seggi. E per loro mescolava formaggio e farina d’orzo e miele verde con vino di Pramno, e univa a quel cibo droghe malefiche: voleva che si scordassero completamente della patria. E dopo che glielo diede ed essi l’ebbero bevuto, subito poi li colpiva con la sua verga e li chiudeva nei porcili. Ed essi avevano, dei maiali, le teste e la voce, le setole e l’aspetto, ma la mente era immutata, come prima.

Euriloco giunse ben presto alla nave a dire la novità riguardo i compagni e l’amaro destino che era loro toccato. Così raccontò. Ed io mi cinsi all’omero la spada dalle borchie d’argento e mi misi l’arco in spalla. E a lui ordinai di condurmi indietro per la stessa strada. Lui per la paura rimase alla nave ma io non potevo lasciare la i miei compagni. Armato dunque come per andare in battaglia, mi avviai verso la casa della strega; ed incontrai un bellissimo giovane, nel quale riconobbi Mercurio, un dio che mi è sempre stato favorevole. Mi disse di stare attento che l’incantesimo avrebbe travolto anche me se non appena Circe avrebbe offerto da bere io non avessi sguainato la spada e minacciata di morte la maga. Ciò detto, Mercurio, scomparve, ed io raggiunsi la casa di Circe: mi vennero incontro, mansueti come cagnolini, dei leoni, dei lupi, che altro non erano che uomini trasformati in bestie dalla maga. Circe mi venne incontro: era di bellezza risplendente e con un sorriso mi accolse e mi fece portare del vino da una ancella. Presi il bicchiere che mi porgeva: ma invece di portarlo alle labbra, lo gettai a terra e trassi la spada, afferrando Circe per un braccio, minacciandola di morte. Ella pallidissima gridò “ Chi sei tu? Perché non hai bevuto? Perché non ti sei trasformato in un porco? Perché hai resistito ai miei incantesimi? Sei forse Ulisse? Io so, infatti, che Ulisse dovrà venire qui…” “ Circe, sì, sono Ulisse e se vuoi salva la vita, ridammi i miei compagni!” “ Li avrai – rispose- perché non voglio contrastare la volontà degli dei!”. Infatti si recò nel porcile e aprì le porte del porcile e li fece uscire: erano simili a dei maiali ingrassati di nove anni. Le si fermarono di fronte: e lei passava in mezzo ad essi e li ungeva uno per uno con un farmaco diverso. E dalle loro membra cadevano setole che prima aveva fatto spuntare la droga malefica: gliel’aveva data lei stessa, Circe sovrana. E uomini tornarono di nuovo, più giovani che non fossero prima, e molto più belli e più grandi di statura a vedersi. Mi riconobbero essi e mi strinsero le mani uno dopo l’altro. E in tutti sorse un dolce pianto: all’intorno la casa ne risuonava grandemente. La dea aveva compassione anche lei. Restammo ospiti di Circe per circa un anno; decidemmo infine di partire.

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