RIASSUNTO CANTI INFERNO XXI XXII

RIASSUNTO CANTI INFERNO XXI XXII

RIASSUNTO CANTI INFERNO XXI XXII

Dante e Virgilio, giunti sulla sommità del ponte che sta sopra la quinta bolgia, si fermano per osservarla e la trovano terribilmente oscura. Come nell’arsenale dei Veneziani bolle d’inverno la pece per riparare le navi che hanno subito qualche guasto, così bolle nella quinta bolgia una densa pece, che ricopre di uno strato vischioso la riva. In essa stanno sommerse le anime dei barattieri. Mentre Dante osserva la pece che, bollendo, si gonfia e ricade giù come premuta dal suo peso, Virgilio lo scuote gridando:« Guarda, guarda! ». Dante si volge come l’uomo ansioso di vedere ciò che gli convien fuggire, e, mentre cerca di vedere, tenta di fuggire; ed ecco un diavolo nero, con le ali aperte, venire di corsa su per lo scoglio, portando sulla spalla alta e sporgente un peccatore, che tiene afferrato con le unghie. Dal ponte, dove si trovano i poeti, egli grida agli altri diavoli suoi compagni, chiamati Malebranche, di immergere nella pece quell’anima che appartiene a un «anzian di santa Zita », cioè a un magistrato di Lucca, aggiungendo che egli tornerà in quella città per prendere altre anime, poichè tutti sono barattieri, eccetto, dicendo ironicamente, Bonturo Dati.


Così dicendo, getta giù dal ponte quel dannato e corre via per lo scoglio, più veloce di un mastino sciolto dalla catena per inseguire un ladro. Il barattiere intanto viene immerso nella pece bollente, e riappare con la schiena piegata ad arco; ma i diavoli, che stanno sotto il ponte, gli gridano ironicamente: « Qui non s’adora il Santo Volto, come si fa in Lucca, e in questa pece si nuota diversamente che nel Serchioi »; poi l’ammoniscono a non uscir fuori dalla pece se non vuol essere ferito dai loro artigli, e, così dicendo, lo uncinano e lo spingono sotto, come i cuochi fanno immergere dai loro servi la carne nella caldaia perchè non venga a galla.
Virgilio esorta Dante a nascondersi dietro uno scoglio, mentre egli si recherà a parlare coi diavoli, e a non temere anche se questi tenteranno di recargli qualche offesa, poichè egli conosce il loro modo d’agire, poiché si era trovato unaltra volta trovato in una situazione simile. Virgilio attraversa quindi il ponte, ma, appena giunto sull’argine che divide la quinta bolgia dalla sesta, i diavoli escono minacciosi da sotto il ponte con i loro artigli, come i cani che si avventano contro il poverello che chiede l’elemosina.


Virgilio grida loro di non colpirlo prima che uno di essi gli si avvicini per ascoltarlo; e i demoni scelgono Malacoda, al quale egli espone il motivo del suo viaggio in quei luoghi e che comanda agli altri di non recare alcun male ai due. Virgilio allora richiama Dante, che esce dal nascondiglio e in gran fretta si porta accanto al Maestro; ma i diavoli si fanno tutti avanti minacciosi, così che Dante teme non mantengano la parola data, come i fanti pisani, che egli vide uscire dal castello di Caprona nonostante i patti della resa, temevano di essere uccisi dalla moltitudine dei nemici. I diavoli infatti si eccitano l’un l’aitro a colpire Dante coi loro uncini, ma Malacoda riesce a tenerli calmi.
Poi Malacoda gentilmente si rivolge ai due poeti per avvertirli che il ponte tra la quinta e la sesta bolgia è rotto da 1266 anni, cioè dalla morte del Redentore, per cui, se vogliono proseguire, devono camminare sull’argine fin quando troveranno il prossimo ponte; ed offre loro, come scorta, un drappello di dieci diavoli, che hanno pure l’incarico di osservare se qualche dannato esce dalla pece bollente. Questi sono Alichino, Calcabrina, Cagnazzo, Barbartccia (il capo), Libicocco, Draghignazzo, Ciriatto, Graffiacane, Farfarello e Rubicante. Dante, vedendo come essi digrignano i denti in modo minaccioso, è tutt’altro che tranquillo e preferirebbe andare solo, ma Virgilio lo rassicura. Intanto, a un segnale di Barbariccia, i dieci diavoli si mettono in cammino e i poeti li seguono.


Mentre i poeti seguono il drappello dei diavoli sull’argine del lago di pece, Dante, ripensando allo strano segnale di Barbariccia, ricorda i vari segnali che egli già vide, fatti con trombe o con campane o con tamburi o con fumate dai castelli o con altri strumenti nostrani e forestieri; ma egli non vide mai usare un segnale così strano come quello di Barbariccia per mettere in moto cavalieri o pedoni o navi. Tuttavia, ormai rassegnato alla poco piacevole compagnia dei dieci diavoli, egli sposta la sua attenzione al lago di pece, dove osserva i peccatori che, per cercare sollievo alla pena, mettono fuori o il dorso come i delfini quando danno segno di prossima burrasca, o il viso come i ranocchi quando stanno sull’orlo di un fosso. Ma appena Barbariccia appare, si ritraggono subito sotto la pece. Uno dei dannati, rimasto fuori col capo, non fa a tempo a ritrarsi che Graffiacane, un demone, lo prende per i capelli e lo tira su da sembrare una lontra; mentre gli altri diavoli esortano Rubicante a scorticarlo coi suoi unghioni, Virgilio, sotto richiesta da Dante, si avvicina a quel dannato e gli chiede chi sia; questo dichiara di essere Ciampòlo di Navarra, figlio di uno scialacquatore e suicida, e di essere stato dalla madre posto a servizio dapprima di un signore e poi del re Tebaldo di Navarra, presso il quale si macchiò del peccato di baratteria. Mentre il barattiere parla, Ciriatto lo colpisce con una delle sue zanne, ma Barbariccia lo protegge tra le sue braccia ordinando ai compagni di stare lontano, in modo che Virgilio possa continuare a interrogarlo. Virgilio allora gli chiede se, sotto la pece, vi siano degli Italiani, ma Ciampòlo, quando inizia a rispondere, Libicocco, altro demone, gli strappa una parte del braccio, e Draghignazzo lo colpisce alle gambe. Barbariccia, minacciosamente, riesce a calmare i diavoli, e a far riprendere il discorso al dannato. Questo fa sapere a Virgilio che tra gli Italiani, immersi nella pece, si trova frate Gomita di Gallura, che per baratteria liberò senza processo i nemici del suo padrone, e Michele Zanche di Logodoro. Egli sarebbe disposto a dire altre cose, ma, vedendo Farfarello che digrigna i denti, tace per la paura, e Barbariccia è costretto nuovamente a intervenire per salvare il dannato. Ciampòlo, che vede i diavoli impazienti di colpirlo, escogita un inganno per sottrarsi ai loro artigli: se i diavoli si scosteranno un poco, egli dichiara che con un fischio farà uscire dalla pegola altri dannati. Cagnazzo si accorge dell’astuzia, ma Alichino assicura che prenderebbe il dannato se egli tentasse di gettarsi nella pece. I diavoli infatti si ritirano dal ciglio dell’argine, ma Ciampòlo, cogliendo il momento opportuno, spicca un salto e scompare sotto la pece. I diavoli sentono rimorso per aver lasciato scappare Ciampòlo, e più di tutti Alichino, che è stato causa dell’inganno e che si lancia a volo dietro al dannato senza riuscire ad acciuffarlo, poichè quello si è tuffato rapidamente nella pece, come l’anitra nell’acqua all’avvicinarsi del falcone. Calcabrina allora, adirato contro Alichino, gli si avventa addosso con gli artigli, e ne segue una zuffa, per la quale i due diavoli finiscono col cadere nello stagno bollente, da dove non si possono sollevare, avendo le ali invischiate di pece. Barbariccia, dolente per l’accaduto, ordina a quattro diavoli di volare sull’altra riva per afferrare i compagni sommersi dalla pece, ma, prima ancora che arrivassero, questi erano già spariti sotto il lago bollente. Nel frattempo i due poeti, vedendo i diavoli così imbarazzati, ne approfittano per allontanarsi.

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