Quattro partigiani di Carmignano
Quattro partigiani di Carmignano
Alla stazione di Carmignano in provincia di Firenze Ma quattro furono massacrati dallo scoppio. Il pittore Faraoni e Ottone Rosai
di Franco TerreniÂ
articolo scritto in data 2009
Per quanto ci fosse la guerra e ci fosse l’abitudine ai bombardamenti e alle cannonate, l’esplosione fece pensare alla fine del mondo: dalla periferia di Firenze, fino a Empoli, dai dintorni di Pistoia alla Val d’Elsa, le case tremarono.
Intorno a Signa i vetri delle finestre andarono in pezzi, molti tetti vennero scoperchiati e in più di una abitazione i telai delle persiane furono divelti e finirono sui letti di quelli che dormivano. I bassorilievi in ceramica che ritraevano Santa Barbara (la protettrice di chi lavora con l’esplosivo) e che ogni operaio o operaia teneva affisso in casa, finirono sui pavimenti in mille pezzi. Un camion tedesco, distante alcune centi-naia di metri dal luogo dell’esplosione, venne proiettato verso il Masso della Gonfolina. Molti, intorno alle rive dell’Arno, nelle Signe, pensarono che lo stabilimento Nobel fosse saltato in aria. E invece era un treno carico di esplosivo, fermo sulle rotaie della stazione di Carmignano, vicino allo stabilimento, che era stato fatto esplodere dai partigiani.
Era un sabato, sabato 11 giugno 1944. Un sabato notte, con la fabbrica ormai deserta e i dipendenti chiusi nelle proprie case, tra Comeana, Carmignano, Signa e Lastra a Signa, paesi separati dal-
l’Arno. Erano centinaia che lavoravano in quello stabilimento. Vi si produceva-no esplosivi e si confezionavano ordigni e le maestranze sapevano che quel materiale aiutava la guerra dei nazisti contro gli alleati, che il 4 giugno avevano già liberato Roma e stavano risalendo la peni-sola. Ma cosa potevano fare? I nazisti controllavano tutto e non permettevano diserzioni né rallentamenti nella produzione. La cosa che alcuni facevano, d’accordo con la Resistenza, era di usare le pietanziere, ossia le gavette, che gli operai si portavano da casa: contenevano qualcosa da mangiare, all’arrivo, poi c’era la pausa per il pranzo ma gli avanzi – pochi, in verità , perché poco era il cibo – non venivano buttati. Nessuno dei sorveglianti sospettava che sotto a qualche crosta di formaggio o di pane, qualcuno nascondesse scaglie di tritolo da portare fuori della Nobel e che sarebbero servite a confezionare bombe da usare contro gli occupanti e, quella sera, a distrarre i nazisti dall’attentato al treno.
L’esplosione dell’11 giugno fu un evento clamoroso, trasmesso anche da Radio Londra, che il giorno seguente, dopo i consueti colpi di tamburo che richiamavano l’inizio della Quinta sinfonia di Beethoven, raccontò quello che era accaduto alla stazione di Carmignano. E cioè che un treno carico di torpedini da marina e tritolo era stato fatto saltare dai partigiani, distruggendo un notevole potenziale devastante destinato alla Werhmacht e alla guerra nazista. Parte di quel tritolo era probabilmente destinato ai ponti di Firenze, che comunque i nazisti fecero saltare nell’agosto successivo. Ma è indubbio che l’azione rappresentò un duro colpo per gli invasori. Soprattutto perché dimostrò, se ancora ce ne fosse stato bisogno, che i nazisti non erano in-vincibili e che potevano essere attaccati e indeboliti.
Ma chi fu a compiere l’azione? La storia di quell’impresa generosa non è ancora del tutto scritta, ma comincia dal bando Graziani per l’arruolamento dei giovani nell’esercito repubblichino di Salò. Si racconta che molti ragazzi, su consiglio
elle forze della Resistenza, nella quale comunisti e cattolici erano la parte più attiva, si recassero al di-stretto, prendessero i soldi del biglietto per raggiungere Salò e poi si rendessero irreperibili e raggiungessero le forze partigiane che agi-vano sul Montalbano. Erano forze fresche, ancora poco organizzate, scampate alle retate naziste più per fortuna che per capacità militare. Ma seppero poi organizzarsi e for-se con l’aiuto di alcuni operai del-le vicine cave di pietra serena che usavano gli esplosivi ogni giorno, eccoli preparare e portare a termi-ne l’attentato al treno
Pare che il commando fosse com-posto di otto uomini, ma sarebbe più giusto dire otto ragazzi, diret-ti da un poeta-partigiano, Bogar-do Buricchi. Una carica di esplosivo venne posta sul pianale di un
vagone che fu facilmente aperto. Era una bomba primitiva, quasi una bomba carta, e la lunghezza della miccia doveva assicurare la fuga degli attentatori. Invece l’esplosione avvenne prima del previsto e soprattutto si propagò immediatamente al resto del treno, con risultati che forse il commando non aveva calcolato. Fu una esplo-sione terribile, che raggiunse e in-vestì direttamente quattro parti-giani: Bogardo Buricchi, il fratello Alighiero, Bruno Spinelli e Ario-dante Nardi.
Il pittore Enzo Faraoni venne rag-giunto da un rottame che lo ferì gravemente ad una gamba, ma ri-uscì a raggiungere la propria abita-zione. Un altro partigiano, Ruffo Del Guerra, fu più tardi sorpreso dai nazisti con evidenti ferite fresche, ma raccontò in maniera convincente di essersi ferito lavorando con l’aratro e se la cavò. Mario Barni e Lido Sarti riuscirono a nascondersi grazie all’aiuto dei cittadini delle Signe. Enzo Faraoni, il pittore, raggiunse Firenze qualche giorno dopo, grazie ad un curioso stratagemma: l’amico Ottone Rosai, cioè, gli inviò un carro mortuario nel quale prese posto, che i nazisti si guardarono bene dal fermare e controllare. Rosai, che era stato un fascista della prima ora, aveva col tempo preso le distanze dal regime, aiutando infine la Resistenza, nascondendo in casa propria persino il partigiano gappista Bruno Fanciullacci.
Il treno non era sorvegliato e que-sto probabilmente grazie all’azione diversiva che i partigiani aveva-no compiuto all’Olmo, vicino a Firenze, ai danni di una caserma fascista che fu fatta saltare con un ordigno confezionato probabilmente con le scaglie di tritolo fatte uscire proprio dalla Nobel, che impiegava allora 4.000 operai e che dopo l’episodio dell’attentato venne chiusa, togliendo il lavoro a tanti operai che però, a quanto risulta, mai si lamentarono, coscienti che la lotta antifascista era sacro-santa e avrebbe portato alla Liberazione di lì a due mesi.
C’è ancora un testimone vivente di quell’evento: si chiama Renzo Rimediotti, ha 88 anni e all’epoca abitava vicinissimo al luogo dell’esplosione. Ricorda lucidamente i fatti ma l’emozione spesso lo frena e lo inonda di lacrime.
L’ho intervistato e la cosa che più ricorda sono i cipressi di un viale, con il tronco tanto largo «che in tre non si abbracciavano». Quei cipressi furono spazzati via dall’esplosione del treno come fuscelli, «con le barbe e tutto… Purtroppo trovammo il Nardi sbriciolato: la sua mamma lo riconobbe dai denti…».
A Poggio alla Malva, vicino al luogo dell’attentato, un cippo ricorda il sacrificio di quei ragazzi, con la scritta «Una preghiera faccio al viandante/ al visitatore di questi luoghi/ fate sì che non manchi/ mai almeno un fiore/ sul loro monumento/ perché dal loro sacrificio/ è dipesa la nostra libertà ». Un fiore… Il fiore del partigiano
patria indipendente 28 giugno 2009Â