PURGATORIO CANTO VII PARAFRASI

PURGATORIO CANTO VII PARAFRASI

FONTE:https://divinacommedia.weebly.com/purgatorio-canto-vii.html


opo che le felicitazioni furono ripetute varie volte, Sordello si tirò indietro e disse: «Voi chi siete?»

«Prima che le anime degne di salire a Dio fossero indirizzate a questo monte, le mie ossa furono sepolte per ordine di Ottaviano.

Io sono Virgilio e ho perso la salvezza per nessun’altra colpa se non quella di non aver avuto fede». Così gli rispose il mio maestro.

Come colui che vede d’improvviso davanti a sé una cosa che suscita la sua meraviglia, per cui crede e non crede, dicendo tra sé «è vero… non è vero…»,

così mi sembrò Sordello; poi abbassò gli occhi e con umiltà tornò verso Virgilio, abbracciandolo là dove suole farlo chi è inferiore.

Disse: «O gloria degli Italiani, attraverso il quale la nostra lingua mostrò le sue possibilità, o pregio eterno del luogo (Mantova) da cui sono originario,

per quale merito o grazia sei mostrato a me? Se io sono degno di udire le tue parole, dimmi se vieni dall’Inferno e da quale Cerchio».

Virgilio gli rispose: «Sono giunto qui attraverso tutti i Cerchi del regno del dolore; mi ha mosso una virtù scesa dal Cielo e vengo accompagnato da lei.

Ho perduto la possibilità di vedere l’alto Sole (Dio) che tu desideri, e che ho conosciuto troppo tardi, non per ciò che ho fatto, ma per ciò che non ho fatto.

Nell’Inferno c’è un luogo (il Limbo) non afflitto da pene ma solo avvolto dalle tenebre, dove i lamenti non risuonano come gemiti di dolore ma sono sospiri.

Qui io risiedo coi bambini innocenti che la morte ha portato via prima che fossero lavati dal peccato originale (col battesimo);

qui io risiedo con coloro che non conobbero le tre virtù teologali, e conobbero e seguirono senza colpa tutte le altre.

Me se tu ne sei al corrente e puoi farlo, dacci indicazioni per consentirci di giungere al più presto là dove il Purgatorio ha inizio».

Ci rispose: «Non ci è assegnato nessun luogo stabilito; mi è permesso andare qua e là; ti farò da guida fin dove posso spingermi.

Ma vedi come ormai il sole sta tramontando, e salire di notte è impossibile; dunque dovremo pensare dove trascorrere la notte.

Ci sono delle anime, separate qua sulla destra: se sei d’accordo, ti condurrò da loro e te le mostrerò non senza tua soddisfazione».

Virgilio gli rispose: «Come è possibile questo? Chi volesse salire di notte sarebbe impedito da qualcosa, o semplicemente non potrebbe farlo?»

E il buon Sordello tracciò una riga sul terreno, dicendo: «Vedi? dopo il tramonto non potresti varcare neppure questa linea:

non perché te lo impedirebbe altro, se non il buio della notte; è quello a impedire il tuo volere, generando l’impossibilità.

Al buio si potrebbe addirittura scendere in basso e camminare a questa stessa altezza, finché il sole è dietro l’orizzonte».

Allora il mio maestro, meravigliato, disse: «Portaci dunque là dove dici che si può soggiornare con diletto».

Ci eravamo allontanati di poco dal punto dove eravamo, quando mi accorsi che il monte era incavato, proprio come i valloni incavano i monti sulla Terra.

Quell’ombra (Sordello) disse: «Andremo là dove la parete si affossa formando un grembo; attenderemo là il nuovo giorno».

C’era un sentiero obliquo tra la parete del monte e la pianura, che ci condusse sul fianco dell’avvallamento, nel punto dove l’argine digradava di più di metà della sua altezza.

L’oro e l’argento fine, il carminio e il bianco di zinco, l’indaco (azzurro) e il legno lucido e levigato, lo smeraldo vivido come quando si spezza, tutti questi colori, posti dentro quella valletta, sarebbero vinti dall’erba e dai fiori, come il minore è vinto dal maggiore.

La natura lì non aveva solo dipinto, ma mescolava fra loro mille profumi soavi che formavano un odore impossibile da definire.

Da lì vidi delle anime che sedevano sull’erba e sui fiori, che cantavano a una voce ‘Salve, Regina’ e che dall’esterno della valle non erano visibili.

Il Mantovano che ci aveva condotti lì disse: «Prima che il sole, già basso, tramonti del tutto, non chiedetemi di portarvi giù tra quelle anime.

Voi vedrete meglio i gesti e i volti di tutti loro da questo argine, che non scendendo giù nell’avvallamento.

Colui che siede più in alto e mostra di aver trascurato il suo dovere, e che non partecipa al canto della preghiera, fu l’imperatore Rodolfo I, che avrebbe potuto risanare le piaghe che affliggono l’Italia, così che ora altri cercano tardivamente di fare lo stesso.

L’altro, che sembra confortarlo, governò la terra (Boemia) dove nasce l’acqua che la Moldava porta nell’Elba e che l’Elba porta fino al mare: ebbe nome Ottocaro II e da bambino fu assai migliore di suo figlio Venceslao II da adulto, che vive nell’ozio e nella lussuria.

E quello (Filippo III l’Ardito) dal piccolo naso, che sembra così unito all’altro dall’aspetto benevolo, morì in fuga e facendo sfiorire il giglio di Francia:

guardate là, come si batte il petto! E vedete l’altro (Enrico I di Navarra) che, tra i sospiri, appoggia la guancia sul palmo della sua mano.

Sono rispettivamente padre e suocero del male della Francia (Filippo il Bello): conoscono la sua vita piena di colpe e di vizi, e da qui proviene il dolore che li tormenta così.

Quello (Pietro III d’Aragona) che ha aspetto così robusto e che accorda il suo canto con quell’altro dal naso prominente (Carlo I d’Angiò) fu ripieno di ogni valore;

e se dopo di lui fosse rimasto quale suo successore il giovinetto che gli siede dietro, il valore si sarebbe trasmesso di padre in figlio, mentre questo non si può dire degli altri eredi; Giacomo e Federico hanno i suoi domini e nessuno dei due ha ereditato il valore dal padre.

Accade di rado che la virtù umana si trasmetta di padre in figlio, e questo è voluto da Dio che la concede, perché la si chieda a Lui.

Le mie parole sono rivolte anche al nasuto (Carlo I), non meno che all’altro, Pietro, che canta con lui, giacché il regno di Napoli e la Provenza già si dolgono del suo erede (Carlo II lo Zoppo).

La pianta è inferiore al suo seme, più di quanto Beatrice e Margherita non possono vantarsi del loro marito (Carlo I) rispetto a Costanza (moglie di Pietro III).

Vedete il re dalla vita semplice, Enrico III d’Inghilterra,che siede là in disparte: questi ha lasciato eredi migliori.

E quello che siede più in basso di tutti costoro, guardando in alto, è il marchese Guglielmo VII del Monferrato, per il quale Alessandria con la sua guerra fanno piangere il Monferrato e il Canavese».