PROMESSI SPOSI RIASSUNTO CAPITOLO 2

PROMESSI SPOSI RIASSUNTO CAPITOLO 2


-La notte di don Abbondio. – Si racconta che il principe di Condè dormì profondamente la notte prima della battaglia di Rocroi; ma don Abbondio, che sapeva soltanto che l’indomani sarebbe stato giorno di battaglia, e non aveva meditato alcun piano, passò gran parte della notte in consulte angosciose. Dopo essersi molto rivoltato nel letto, gli parve alfine che il partito migliore fosse quello di guadagnar tempo, menando Renzo per le lunghe, tanto più che mancavano solo pochi giorni al tempo proibito per le nozze, e, se avesse potuto tenere a bada quel ragazzone, avrebbe poi avuto due mesi di respiro, e in due mesi possono nascere molte cose. Presa questa decisione, potè finalmente chiuder occhio: ma che sonno! che sogni! Bravi, don Rodrigo, Renzo, viottole, rupi, fughe, inseguimenti, grida, schioppettate.

Il colloquio tra Renzo e don Abbondio. – Il mattino seguente Lorenzo, o, come dicevan tutti, Renzo, appena gli parve ora da non esser giudicato indiscreto, si presentò a don Abbondio con la lieta furia di un uomo di vent’anni, che deve in quel giorno sposare la donna che ama. Era in gran gala, con penne di vario colore al cappello, con un bel pugnale nel taschino dei calzoni, con una cert’aria di festa e nello stesso tempo di braveria, comune allora anche agli uomini più quieti.

Don Abbondio l’accolse in modo incerto e misterioso. Renzo pensò che il curato avesse qualche pensiero per la testa, e gli chiese subito a quale ora gli faceva comodo che si trovassero in chiesa; ma don Abbondio prima finse di non ricordarsi che quello era il giorno fissato, poi protestò di non sentirsi bene, accennò a imbrogli, a ostacoli, a formalità non ancora compiute, numerando in latino, sulla punta delle dita, gli impedimenti dirimenti; infine chiese quindici giorni, una settimana almeno di tempo. Renzo dapprima si stupì, poi s’infuriò («che vuol ch’io faccia del suo latino-rum!»), ma poi, pur dichiarando che passata la settimana non si sarebbe più appagato di chiacchiere, finì col cedere.

Renzo fa parlare Perpetua. – Uscito dalla casa di don Abbondio, Renzo tornò con la mente su quel colloquio, e sempre più lo trovava strano. Stette in forse un momento di tornare indietro, ma, vedendo Perpetua dinanzi a lui, che entrava in un orticello, si fermò ad attaccare discorso, col proposito di avere qualche maggiore spiegazione. Perpetua, pur giurando di non saper niente, lasciò capire con mezze parole che in tutta quella faccenda il suo padrone non aveva nessuna colpa, ma che si trattava di prepotenti e di birboni, di uomini senza timor di Dio… Renzo, nascondendo a stento l’agitazione che gli cresceva nel cuore, tentò ancora di strapparle il nome di colui che si opponeva al suo matrimonio; ma Perpetua, ripentendo che essa non sapeva nulla, entrò in fretta nell’orto, chiudendo l’uscio.

Nuovo colloquio tra Renzo e don Abbondio. – Allora Renzo, confermato nei suoi sospetti, fu in un momento all’uscio di don Abbondio; si diresse difilato al salotto dove l’aveva lasciato, e con gli occhi stralunati gli chiese il nome del prepotente, che non voleva che egli sposasse Lucia. Don Abbondio, sorpreso e sbiancato come un cencio che esca dal bucato, spiccò un salto dal seggiolone per lanciarsi all’uscio; ma Renzo, che doveva aspettarsi quella mossa, vi balzò prima di lui, girò la chiave e se la mise in tasca. Poi, forse senza avvedersene, mise la mano sul manico del coltello, che gli usciva dal taschino, ed assunse un aspetto così minaccioso, che don Abbondio, come avesse in bocca la tenaglia del cavadenti, fu costretto a rivelargli il nome di don Rodrigo.

«Ah cane!» urlò Renzo. Il povero curato gli dipinse allora con colori terribili il brutto incontro, e lo rimproverò della bella prodezza di avergli voluto cavare di bocca ciò che egli nascondeva per prudenza e per suo bene.

«Posso aver fallato», rispose Renzo, mentre apriva la porta. Don Abbondio, afferrandogli il braccio con la mano tremante, tentò di fargli giurare che avrebbe mantenuto il silenzio, ma il giovane, svincolandosi da lui, se ne partì con furia.

Don Abbondio rimprovera Perpetua. – Don Abbondio, dopo aver richiamato invano il fuggitivo, si mise a chiamare Perpetua; ma questa non rispondeva ed egli non sapeva più in che mondo si fosse. Affannato e balordo, si rispose sul suo seggiolone, cominciando a sentirsi qualche brivido nelle ossa, e chiamando di tempo in tempo, con voce tremolante e stizzosa, Perpetua. Finalmente essa venne, con un gran cavolo sotto il braccio e con la faccia tosta, come se nulla fosse accaduto. Tra i due si svolse un colloquio assai agitato, a base di «voi sola potete aver parlato» e «non ho parlato». Basti dire che don Abbondio ordinò a Perpetua di metter la stanga all’uscio, di non aprire a nessuno, e, se alcuno bussasse, rispondere dalla finestra che egli era andato a letto con la febbre. E si mise a letto davvero.

Renzo a casa di Lucia. – Renzo intanto camminava a passi infuriati verso la casa di Lucia, con la smania di vendicarsi di don Rodrigo. Avrebbe voluto correre alla casa di lui, o, poiché ciò era impossibile, prendere il suo schioppo, appiattarsi dietro una siepe, e, dopo avergli sparato, correre verso il confine e mettersi in salvo. Ma il ricordo di Lucia, scendendo ad un tratto fra quelle bieche fantasie, faceva subentrare al loro posto i migliori pensieri, a cui la sua mente era avvezza. Arrivò così alla casetta di Lucia, che era in fondo al villaggio, e che aveva dinanzi un piccolo cortile, cinto da un morettino.

Appena entrato nel cortile, sentì un ronzìo che veniva da una stanza di sopra. S’immaginò che fossero le amiche e le comari, venute a far corteggio alla sposa, e non volle mostrarsi con quella notizia sul volto. Una fanciulletta, Bettina, che si trovava nel cortile, gli corse incontro, gridando: «lo sposo! Lo sposo!»; ed egli la mandò ad avvertire in segreto Lucia che l’attendeva nella stanza terrena.

Lucia in abito da sposa. – Lucia usciva in quel momento tutta attillata dalle mani della madre. Le amiche se la rubavano, ed essa si andava schermendo con la modestia un po’ guerriera delle contadine. I suoi neri e giovanili capelli, spartiti sopra la fronte, si ravvolgevano dietro il capo in molteplici trecce, trapassati da lunghi spilli d’argento, a guisa d’aureola, come ancora usano le contadine nel Milanese. Intorno al collo aveva un vezzo di granati, alternati con bottoni d’oro a filigrana; portava un bel busto di broccato a fiori, con le maniche separate e allacciate da bei nastrini; una corta gonnella di seta, a pieghe fitte e riunite, due calze vermiglie, due pianelle di seta a ricami.

Colloquio tra Renzo e Lucia. – Lucia, avvertita da Bettina, scese in fretta, e, vedendo la faccia e il portamento di Renzo, gliene chiese la causa, con un presentimento di terrore. Il giovane le raccontò brevemente la storia di quella mattina; e quando essa udì il nome di don Rodrigo: «Ah! – esclamò, arrossendo e tremando, – fino a questo segno!». Renzo le chiese ansioso che cosa sapeva, ma essa lo pregò di non farla parlare prima di aver chiamata la madre e licenziato le donne. Intanto la madre Agnese, messa in sospetto dallo sparire della figlia, era discesa a vedere che cosa c’era di nuovo. Lucia la lasciò con Renzo e andò ad avvertire le donne che per quel giorno non si faceva nulla, perché il curato era ammalato. Le donne si sparsero a raccontare l’accaduto, due o tre andarono fino all’uscio del curato, per verificare se era ammalato davvero.

Perpetua rispose dalla finestra che aveva un febbrone, e così si troncarono le congetture, che già cominciavano a brulicare nei loro cervelli.