Plotino e il neoplatonismo

Plotino e il neoplatonismo

Plotino e il neoplatonismo


Plotino è uno degli autori con i quali la nascente filosofia cristiana dialoga di più, anche perché essa per la sua natura trascendente aveva più punti di contatto con una filosofia metafisica che non con una materialistica. Il filosofo di Licopoli, dove nacque nel 205, vive in un periodo in cui si sta affermando la filosofia cristiana e rappresenta l’ultimo grande rappresentante della cultura greca “classica”, visto che riprende la strada tracciata da Platone e Aristotele e recupera la tradizione arcaica. Questo filosofo nel 245, dopo un’esperienza a seguito della fallimentare spedizione dell’imperatore Gordiano in Persia, giunse a Roma, dove aprì una sua scuola filosofica. Dopo anni di insegnamento orale, cominciò a scrivere trattati nel 253 che vennero raccolti da Porfirio in 54 Enneadi. Era legato da rapporti di amicizia all’imperatore Galeno, che gli avrebbe permesso di realizzare il suo progetto di una città di filosofi, in Campania, se non fossero sorte delle gelosie di corte. Morì nel 270, e le sue ultime parole furono “Cercate di congiungere il divino che è in voi al divino che è nell’universo”.

Il sistema metafisico di Plotino: l’Uno
Plotino costruisce il suo sistema metafisico a partire dal mondo sensibile. Esso è costituito da una molteplicità di enti , eppure né il singolo nella sua individualità, né la molteplicità stessa degli enti nella loro totalità sarebbero concepibili e comprensibili se non ci fosse l’unità. Tolta l’unità è tolto l’ente; ci sono inoltre vari livelli di unità, ma tutti suppongono un principio estremo di unità, che Plotino definisce “l’Uno”.
L’Uno è concepito da Plotino come infinito, e, come tale, a lui non si addice alcuna determinazione del finito, pertanto esso è ineffabile, cioè non si può dire ciò che è, ma ciò che non è, perché esso è al di là dell’essere. Questo tipo di comportamento di fronte alla divinità è definito teologia negativa. Quando vediamo l’essere, infatti, vuol dire che si è già compiuta l’emanazione, ma come definisce Plotino questo fenomeno?

L’emanazione
L’Uno, essendo infinito, emana sostanza da sé stesso. Ma esso, come dice Plotino non perde la sua potenza, come il sole, che irraggia l’universo con i suoi raggi di sole senza perdere potenza. Stessa cosa vale per l’Uno, che non risulta sminuito dal processo di emanazione. Dobbiamo immaginare questo processo come appunto il sole, in questo caso l’Uno, che emana raggi di luce, cioè sostanza. L’Uno emana non per volontà ma per necessità, visto che la sostanza trabocca da esso, pertanto non c’è nessun creazionismo.
L’Uno è la prima ipostasi della materia, dove ipostasi è per Plotino lo stato della sostanza nel momento in cui si trasforma in altro rispetto a quello da cui deriva. Essendo il processo di emanazione un processo di decadimento, altrimenti l’Uno emanerebbe sé stesso, non esiste ipostasi più perfetta dell’Uno stesso. Allora cosa succede alla sostanza emanata? Man mano che si allontana dall’Uno passa per la seconda e la terza ipostasi, fino a diventare materia. Quindi queste ultime due ipostasi sono le mediatrici tra il principio originatore e la materia, l’essere.
La seconda ipostasi è l’intelletto, che pensa a sé stesso e nello stesso tempo è pensato, e rappresenta quindi una unificazione del motore primo immobile di Aristotele (atto puro) e il mondo delle idee platonico.
La terza ipostasi è l’anima, che, come il demiurgo platonico, guarda all’Uno e all’intelletto da una parte, dall’altra plasma la materia a somiglianza di quelle. In particolare, essa partecipa alla materia e richiama quindi richiama il logos degli stoici, che penetra nella materia, principio passivo, dandole forma e governando il mondo.
Alla fine di questo processo di emanazione c’è la materia, che è il venir meno della potenza generatrice dell’essere. Pertanto essa rappresenta il male, che, al contrario Platone, non era una semplice di assenza di bene.

Plotino e la Gnosi
All’epoca in cui scriveva Plotino c’era la setta cristiana degli gnostici, che affermavano che il mondo in quanto tale fosse il frutto di una creazione di un dio minore e malvagio, e che pertanto rappresentava l’errore di Dio. Vedevano inoltre Gesù Cristo come il salvatore di questo mondo rifiutato dagli uomini. I padri della Chiesa si opposero a questa visione del mondo, impugnando il libro della Genesi, nel quale emerge una visione positiva del cosmo e del creato. Anche Plotino, essendo comunque un greco, scrive contro gli gnositici in una Enneade nella quale difende la bellezza del cosmo, pur affermando egli che la materia è il male. Questo rimane un punto controverso della filosofia di Plotino, che sembra quasi affermare sia una cosa sia il suo contrario.
Ma la filosofia di Plotino ritorna anche nella filosofia moderna, infatti Liebenitz, affrontando il tema della teodicea, afferma che Dio non può creare un cosmo perfetto perché altrimenti creerebbe sé stesso, e quindi ha creato il miglior cosmo possibile, che è bello nel complesso anche se esiste il male.

L’uomo in Plotino
Secondo Plotino l’anima dell’uomo è incarcerata nel corpo a causa di una colpa originale, anche se essa è di natura divina. Pertanto se l’uomo vuole elevare la sua anima all’Uno deve uscire da sé stesso (estasi). Come il processo di emanazione è una “via all’ingiù” così il processo di elevazione è una “via all’insù”, e ambedue sono le medesime, come dice Plotino citando Eraclito. Quindi bisogna risalire al contrario la via che dall’Uno porta alla materia. Ma in che modo? Plotino indica che è possibile farlo praticando la virtù, contemplando la bellezza e studiando la filosofia. Infatti la virtù ci purifica, la contemplazione della bellezza ci permette di cogliere la manifestazione dell’uno e la filosofia ci permette di “vedere” il mondo intelligibile. Pertanto per avvicinarsi all’Uno, non bisogna credere ma comprendere. Ecco che qui emerge il contrasto tra le fede e la conoscenza. Seguendo queste indicazioni alla fine l’uomo riesce a raggiungere l’estasi.
Inoltre in Plotino vengono reintrodotte le antiche divinità olimpiche, che però non intervengono ad aiutare l’uomo, ma guidano ugualmente i suoi passi, come frammenti visibili di quella luce alla quale l’uomo aspira, l’Uno.