PIETRO NENNI

PIETRO NENNI


Nato a Faenza nel 1891 da una famiglia povera. Rimasto orfano di padre giovanissimo, la madre fu costretta a fare i lavori più umili per poter mantenerlo agli studi. Inizialmente aderì al movimento repubblicano.

E romagnolo indubbiamente fu. Fin quasi allo stereotipo. Per la passionalità, per il primato assegnato alla pratica rispetto alla teoria, per la capacità di adattarsi in permanenza al mutare degli scenari politici. Repubblicano nel 1908, contrario alla guerra di Libia nel 1911, protagonista nel 1914 della “settimana rossa” di Ancona, conobbe il carcere in compagnia di un altro romagnolo illustre: Benito Mussolini che all’epoca frequentava, anch’egli, gli ambienti dell’estrema sinistra e del movimento repubblicano.
Fu “interventista rivoluzionario” a fianco di Mussolini nella grande guerra, e nel 1919 fu tra i fondatori del primo fascio di combattimento a Bologna. Subito riconosciuta nel fascismo la reazione, nel 1920 lasciò il Pri e nel 1921 divenne socialista. Nel 1922 colse nella marcia su Roma il disvelamento della natura reazionaria della democrazia borghese. Si oppose però alla fusione dei massimalisti con il Pcd’I e si battè per l’unità con i riformisti di Turati.
Nel 1925 fondò con Rosselli la rivista Quarto Stato. Emigrò poi a Parigi. Durante il ventennio fascista fu uno dei massimi dirigenti del socialismo e dell’antifascismo italiano ed internazionale. Durante la guerra di Spagna nel 1936 fu commissario politico nelle Brigate Internazionali, e combatté al fianco di democratici provenienti da tutto il mondo. E’ proprio a partire dall’esperienza spagnola che vennero poste le basi dell’unità politica d’azione con i comunisti di Palmiro Togliatti.
Confinato a Ponza, dopo la caduta del Duce andò a Roma e nel periodo della Resistenza assunse, con Sandro Pertini, Giuseppe Saragat e Lelio Basso la guida del PSI finalmente riunificatosi con il nome di Partito Socialista di Unità Proletaria (PSIUP). Dopo la Liberazione, fu Ministro degli Esteri nei governi di unità nazionale, e divenne famoso per la sua agoralità – capacità oratoria – il che lo contrappose all’algido politicismo di Togliatti.
Guidò in prima persona la battaglia a favore della Repubblica. La rottura dell’unità nazionale antifascista nella primavera del 1947 segnò anche una nuova rottura nel Partito Socialista, con la scissione della destra riformista e socialdemocratica di Giuseppe Saragat che diede vita al PSLI, poi PSDI, che diventò partito di governo. Tra il 1946 e il 1948, tuttavia, con la politica di Fronte Popolare, al Pci diede il primato all’interno della sinistra italiana. Da allora, elettoralmente, il Partito comunista fu un grande partito e il Partito socialista un partito medio. Gli anni del frontismo si esaurirono solo dopo l’invasione sovietica dell’Ungheria (1956) quando si riavvicinò a Saragat, proponendo ed ottenendo la temporanea riunificazione tra le due diverse anime del socialismo italiano e, dopo aver intrapreso la via dell’autonomismo, giunse a collaborare con la DC di Fanfani e di Moro, con il PSDI di Saragat ed il PRI di Ugo La Malfa ed Oronzo Reale nei governi di centro-sinistra, diventando vice presidente del consiglio e poi ministro degli esteri.
Subì a sinistra la scissione del Psiup (1964) e promosse nel 1966 la riunificazione con il Psdi di Saragat, destinata a durare solo tre anni. L’ultimo suo significativo atto politico fu l’appoggio dato al fronte anti-divorzista nel referendum del 1974 voluto dalla DC di Fanfani e dal MSI di Almirante. Presidente del Psi nel 1972, fu considerato il padrino di Craxi. Morì il 1° gennaio del 1980.

/ 5
Grazie per aver votato!

Privacy Policy

Cookie Policy