PIETRO GIANNONE

PIETRO GIANNONE

PIETRO GIANNONE


Pietro Giannone, giurista storico e filosofo, sostenne l’assoluta necessità della separazione tra Stato e Chiesa: finché il regno di Napoli fosse rimasto sotto l’influenza della Curia romana, non avrebbe potuto progredire tra i massimi pensatori italiani. Giannone pagò un prezzo altissimo alla coerenza con cui difese la libertà di pensiero e le sue idee. Nacque ad Ischitella, vicino Foggia, nel 1676, Discendente da una famiglia di avvocati e a diciotto anni lasciò il paese natale, per intraprendere gli studi di giurisprudenza a Napoli. In questo periodo conseguì la laurea manifestando anche interessi filosofici: conobbe infatti le teorie di Cartesio, soprattutto attraverso la lettura di Vico e di Malebranche, e le teorie empiristiche di Gassendi e di Locke. Nel 1723 Giannone pubblicò la sua opera principale “Dell’istoria civile del regno di Napoli” in quattro volumi cui aveva dedicato 20 anni di lavoro. Un’opera storiografica moderna, che ricerca i problemi della società nel Medioevo, nelle lotte per il potere e nella corruzione dei ceti ecclesiastici, Giannone aveva infatti messo a nudo con precisi riferimenti giuridici i mali antichi del regno napoletano, e la vergognosa influenza della Chiesa che sperava, tra l’altro, «il rischiaramento delle nostre leggi patrie e dei nostri propri istituti e costumi» . Lo scopo dell’autore era di provare che il Regno di Napoli aveva diritto ad essere libero e sovrano, contro le intrusioni e le pretese politiche del clero e dei papi. “Quest’ampia, e possente parte d’Italia, che Regno di Napoli oggi s’appella, il qual circondato dall’uno, e dall’altro mare, superiore ed inferiore, non ha altro confine mediterraneo, che lo Stato della Chiesa di Roma…”. Giannone dichiarava di voler scrivere una storia “civile”, non basata sulla “confusione delle battaglie”; e infatti il suo racconto si concentrava sull’analisi del costume e delle istituzioni sociali, culturali e legislative. Egli opponeva nettamente lo Stato, custode della civiltà e garante del progresso, alla Chiesa conservatrice e retriva. Ricollegandosi alla tradizione storiografica del Machiavelli, ma soprattutto al Sarpi, il Giannone tendeva a interpretare i fatti sotto il profilo giuridico ed auspica appassionatamente il ritorno della Chiesa alla primitiva purezza. Mosso dal suo impegno morale e civile, egli non si faceva scrupoli filologici nella ricerca e nel controllo delle fonti, e poco si curava dello stile, proprio di persona impulsiva, e spesso sciatta. Egli pensava che fosse quindi necessario esaminare la condizione umana attraverso lo studio della storia; grazie a quest’ultima, infatti, possiamo acquistare la piena consapevolezza di tutti i soprusi che gli uomini hanno subito da parte di altri uomini. Giannone sperava che lo Stato laico avesse potuto finalmente esprimere in pieno il suo potere, sottomettendo il Papato alla sua autorità, dopo aver tolto al clero tutti i beni. Occorreva poi rilevare l’importanza che il filosofo attribuiva alla libertà: egli la intendeva come fondamento costitutivo di ogni etica giuridica e sociale. L’opera fu molto apprezzata in Inghilterra, Francia e Germania, dove fu tradotta, studiata e ripetutamente pubblicata, riscosse l’ammirazione degli intellettuali europei come Voltaire, Montesquieu e Gibbon .In patria, invece, costò a Giannone la messa al bando e l’esilio, e la chiesa avversò le tesi ponendo l’opera nell’Indice dei libri proibiti.
• La Storia civile del Regno di Napoli è un’ opera singolare ed utilissima, perché tende ad istruire i lettori nella parte filosofica della storia medesima, cioè nel governo, nelle leggi, nella religione, nei costumi, nello stato delle arti e delle scienze. (Giuseppe Maffei)
Costretto a ripararsi a Vienna presso la corte asburgica, ottenne protezione e sovvenzioni dall’imperatore Carlo VI, il che gli permise di proseguire indisturbato i suoi studi filosofici e storici. Il suo tentativo di rientrare in patria fu ostacolato dalla Chiesa, nonostante i buoni uffici dell’arcivescovo di Napoli, recatosi a Vienna per convincerlo a tornare a Napoli. Fu costretto a trasferirsi a Venezia dove, apprezzato dall’ambiente culturale della città, rifiutò sia la cattedra alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Padova, sia un posto di consulente giuridico presso la Serenissima. Nel 1735 il governo della Repubblica lo espulse, dopo averlo sottoposto a stretti controlli spionistici, per questioni legate alle sue idee sul diritto marittimo, nonostante la sua autodifesa con il trattato “Lettera intorno al dominio del Mare Adriatico”. Dopo aver vagato per Ferrara, Modena, Milano e Torino, giunse a Ginevra, patria del calvinismo, dove compose un altro lavoro dalla forte idea laicista “Il Triregno ”. Quest’ultimo fu scritto in tre libri, nel quale l’autore si scaglia con violenza contro l’abbandono dei princìpi evangelici prodotto dalle ambizioni temporali della Chiesa. Egli suddivise la storia della religione cristiana in tre momenti; durante il “regno terreno” degli Ebrei, essa è stata dominata da interessi materiali; durante il “regno celeste”, è stata segnata dal sacrificio di Cristo, che ha restituito agli uomini la vera fede e la speranza nella vita eterna, perdute con il peccato originale; infine, durante il “regno papale” le mire temporali del clero ne hanno causato la degenerazione morale. Il superamento del male che lo Stato Pontificio rappresentava, si poteva realizzare soltanto attraverso un cambiamento di rotta deciso, mediante la consapevolezza del valore dell’uomo raggiunta attraverso la Storia.. Giannone teorizzava dunque uno Stato laico in grado di sottomettere l’istituzione papale, anche mediante un’espropriazione dei beni materiali del clero. La Chiesa, secondo il filosofo, portava avanti una forma di negazione di quella libertà individuale che deve essere posta come fondamento giuridico e sociale. L’opera gli costò nuovamente la persecuzione degli alti ambienti ecclesiastici . I religiosi non lo perdevano d’occhio e gli tersero un tranello: lo attirarono con un inganno in territorio sabaudo, venne arrestato e internato, nel giorno di Pasqua, in un villaggio della Savoia.
“…non solo i corpi, ma, quel che è più, anche le anime, i cuori e gli spiriti de’ sudditi si sottopose a’ suoi piedi e strinse fra ceppi e catene”.
Rimasto nelle prigioni sabaude per molti anni, fu costretto a firmare un atto di abiura (1738) che non gli valse tuttavia la libertà. Infatti, dal dicembre 1738 fu tenuto prigioniero nella fortezza di Ceva, dove scrisse alcuni dei suoi componimenti più famosi; Nei sei anni di prigionia terminò i “Discorsi sopra gli Annali di Tito Livio” e scrisse altre opere: “L’Europa fra Illuminismo e Restaurazione”,”Studi in onore di Furio Diaz”, “Ragguaglio del ratto” “L’ape ingegnosa” ma soprattutto ne “l’Apologia de’ teologi scolastici” l’autorità dei Padri della Chiesa era sottoposta a una vera e propria demolizione e ne “l’Istoria del pontificato di s. Gregorio Magno” riaffioravano molti temi del “Triregno”, Quest’ ultima, inizialmente concepita come conclusione dell’’Apologia”, era una vera e propria prosecuzione del Triregno, nel cui Regno papale una vasta parte doveva essere dedicata a tale pontefice. In questo periodo fu autore anche dell’ “Autobiografia di Pietro Giannone” L’idea di comporre un’autobiografia nasce, come informa l’autore stesso, dal desiderio di rendere meno noiosa la detenzione; sebbene lo scritto circolasse già nel Settecento, esso è stato pubblicato integralmente solo nel 1890. Giannone raccontava in dettaglio la sua vita fino al 1737 e in seguito aggiunge alcune annotazioni sparse fino al 1741. L’opera descriveva i lunghi anni trascorsi in carcere e sottolineava con fermezza e dignità l’atroce ingiustizia subita in nome e in difesa delle proprie idee.
Nel Capitolo settimo della “Storia della colonna infame”, Alessandro Manzoni dedicò a Pietro Giannone un ampio spazio elencandone i numerosissimi plagi e gli errori che anche Voltaire gli rimproverò. Iniziò paragonandolo a Lodovico Muratori e indicandolo come “scrittore più rinomato di lui” , poi aggiunse un lungo elenco delle opere plagiate e degli autori, tra cui Giovan Battista Nani, Paolo Sarpi, Domenico Parrino, il Bufferio, il Costanzo e il Summonte: “…e chissà quali altri furti non osservati di costui potrebbe scoprire chi ne facesse ricerca”. E concluse che se non si sa se fosse “pigrizia o sterilità di mente”, fu certo “raro il coraggio”.
Il desiderio di Giannone, formulato in una lettera all’Ormea nel marzo 1741, che sulla sua tomba fosse posta un’iscrizione da lui appositamente composta, non fu esaudito: il suo corpo fu sepolto nella fossa comune dei prigionieri della chiesa di S. Barbara, all’interno della cittadella. La chiesa fu distrutta intorno al 1860.
Al filosofo sono intestati vari istituti scolastici, tra cui lo storico Liceo classico Pietro Giannone di Benevento, fondato nel 1810.

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