PIETRO BEMBO VITA

PIETRO BEMBO VITA

PIETRO BEMBO VITA


Nacque a Venezia nel 1470. Fin dalla fanciullezza il padre lo educò alle lettere. Importante per la sua formazione letteraria fu il periodo trascorso a Ferrara, perché alla corte estense egli affinò la sua vocazione di letterato e d’artista, visse la brillante vita di corte e conobbe numerosi letterati, fra i quali l’Ariosto.

Nel 1506 si recò alla corte d’Urbino, un’altra splendida corte rinascimentale, e vi rimase fino al 1511. In questo periodo conobbe il Castiglione e Giovanni de’ Medici che, divenuto papa nel 1512 con il nome di Leone X, lo chiamò a Roma, a far parte della Segreteria pontificia. Il Bembo rimase a Roma fino al 1519 e compose in questi anni epistole in nome dei papa, in un latino elegantissimo.

Nel 1519 le tristi condizioni fisiche e le ristrettezze finanziarie gli fecero sentire stanchezza della vita cortigiana e un desiderio vivissimo di pace e di solitudine. Si ritirò a Padova, dove scrisse il suo libro più importante: “Prose della volgar lingua”, e si dedicò allo studio del Petrarca.

Il Bembo è importante perché fissò alcuni principi fondamentali del Rinascimento. Cominciò la sua carriera letteraria come poeta e prosatore latino, imponendo l’imitazione di Cicerone nella prosa e di Virgilio nella poesia. La sua prima opera importante è il dialogo ” Gli Asolani”, in tre libri, sul tema dell’amore platonico.

L’autore immagina che nella villa d’Asolo s’incontrino tre giovani e tre gentildonne a parlare dell’amore, dei suoi pregi e dei suoi difetti. Nel primo libro si afferma che chi ha la sventura di cadere servo dell’amore riceve solo amarezze e dolori, per cui l’amore è radice d’ogni male. Nel secondo libro si afferma che se a volte l’amore procura affanno, più spesso è fonte di soavi dolcezze, non solo per i sensi ma anche per l’anima. Nel terzo libro si afferma che l’amore vero è quello che superando i desideri dei sensi, diventa contemplazione, cioè ascesa dell’anima a Dio.

Il dialogo è un’esaltazione della ragione che consente all’uomo di giungere alla perfezione consistente nel dominio delle passioni. L’opera più importante del Bembo è le “Prose della volgar lingua”, del 1525 scritta in forma dialogica in tre libri.

Nel primo si afferma la dignità del volgare, capace anch’esso come il latino, di regolarità ed eccellenza espressiva. Passando poi al problema di quali dei numerosi volgari italiani sia degno di essere usato dagli scrittori, il Bembo sostiene che deve essere usato il toscano, ma non quello comunemente parlato, ma la lingua letteraria fissata dai grandi scrittori Dante, Petrarca e Boccaccio. Veri modelli sono però Petrarca e Boccaccio, il primo per la poesia, il secondo per la prosa.

Il secondo libro espone le ragioni della loro eccellenza, che consiste per il Bembo, non tanto nel contenuto, quanto nei pregi dello stile, cioè nell’elezione o scelta delle parole, nella disposizione delle parole, e nella concordia tra argomento trattato e stile.

Nel terzo libro è delineata una grammatica italiana. Le “Prose” furono per decenni il codice degli scrittori italiani.

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