Perch’i no spero di tornar giammai parafrasi
Guido Cavalcanti
Perch’i’ no spero di tornar giammai,
ballatetta, in Toscana,
va’ tu, leggera e piana,
dritt’ a la donna mia,
che per sua cortesia
ti farà molto onore.
[vv. 1 – 6] Dal momento che io non spero di tornar mai in Toscana, oh piccola ballata, vai tu, agile e veloce, dritta dalla mia amata, la quale, in virtù della sua cortesia, ti farà molto onore.
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Tu porterai novelle di sospiri
piene di dogli’ e di molta paura;
ma guarda che persona non ti miri
che sia nemica di gentil natura:
[vv. 7 – 10] Tu porterai notizie di sospiri, piene di dolore e di molta paura; ma bada che non ti veda persona alcuna che sia nemica della nobiltà di cuore (e quindi dell’amore),
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ché certo per la mia disaventura
tu saresti contesa,
tanto da lei ripresa
che mi sarebbe angoscia;
dopo la morte, poscia,
pianto e novel dolore.
[vv. 11 – 16] perché di certo per la mia infelicità tu saresti avversata e criticata al punto che per me sarebbe fonte di angoscia; dopo la morte dunque, occasione di pianto e di nuovo dolore.
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Tu senti, ballatetta, che la morte
mi stringe sì, che vita m’abbandona;
e senti come ’l cor si sbatte forte
per quel che ciascun spirito ragiona.
[vv. 17 – 20] Tu sai, oh piccola ballata, che la morte mi afferra al punto che la vita è sul punto di abbandonarmi; e sai quanto fortemente il cuore si agiti a causa di ciò che ciascuno spirito dice.
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Tanto è distrutta già la mia persona,
ch’i’ non posso soffrire:
se tu mi vuoi servire,
mena l’anima teco
(molto di ciò ti preco)
quando uscirà del core.
[vv. 21 – 26] A tal punto è già distrutta la mia persona che io non posso resistere oltre: se tu vuoi rendermi un servizio, porta con te l’anima, te ne prego fortemente, quando uscirà dal cuore.
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Deh, ballatetta mia, a la tu’ amistate
quest’anima che trema raccomando:
menala teco, nella sua pietate,
a quella bella donna a cu’ ti mando.
[vv. 27 – 30] Deh, piccola ballata, raccomando alla tua amicizia quest’anima che trema; portala con te, nel suo stato di angoscia, a quella bella dona alla quale ti invio.
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Deh, ballatetta, dille sospirando,
quando le se’ presente:
«Questa vostra servente
vien per istar con voi,
partita da colui
che fu servo d’Amore».
[vv. 31 – 36] Deh, piccola ballata, dille sospirando quando sarai davanti a lei: “questa vostra fedele servitrice (riferito all’anima) viene per stare con voi, dopo essere divisa da colui che è stato uno schiavo dell’Amore”.
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Tu, voce sbigottita e deboletta
ch’esci piangendo de lo cor dolente,
coll’anima e con questa ballatetta
va’ ragionando della strutta mente.
[vv. 37 – 40] Tu, voce sbigottita e fioca che esci piangendo dal cuore sofferente, con l’anima e con questa piccola ballata parla continuamente della mia condizione angosciosa.
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Voi troverete una donna piacente,
di sì dolce intelletto
che vi sarà diletto
starle davanti ognora.
Anim’, e tu l’adora
sempre, nel su’ valore.
[vv. 41 – 46] Voi troverete una donna bellissima, dall’animo così dolce che sarà per voi un piacere stare in sua compagnia in ogni momento. E tu anima, adorala sempre per le sue virtù.
Analisi metrica
Perch’io non spero di tornar giammai risponde alla forma metrica della ballata. Il testo si compone di quattro strofe, ciascuna delle quali è formata da dieci versi. All’interno delle strofe i versi sono ripartiti in:
– una FRONTE di quattro endecasillabi, rimati secondo lo schema AB AB;
Tu porterai novelle di sospiri -IRI
piene di dogli’ e di molta paura; -URA
ma guarda che persona non ti miri -IRI
che sia nemica di gentil natura: -URA
– una SIRMA formata da un verso endecasillabo e cinque settenari, rimati secondo lo schema Bccddx.
ché certo per la mia disaventura -URA
tu saresti contesa, -ESA
tanto da lei ripresa -ESA
che mi sarebbe angoscia; -OSCIA
dopo la morte, poscia, -OSCIA
pianto e novel dolore. -ORE
Tutte le strofe terminano con una rima (x) in -ORE.
La ripresa o ritornello – di 6 versi – riproduce lo schema della sirma (endecasillabo + due settenari a rima baciata + due settenari a rima baciata + settenario rimato in -ORE ).
Perch’i’ no spero di tornar giammai,
ballatetta, in Toscana,
va’ tu, leggera e piana,
dritt’ a la donna mia,
che per sua cortesia
ti farà molto onore.
La struttura e il ruolo dell’apostrofe
Il testo si svolge in forma di colloquio tra il poeta e il componimento stesso.
Nell’ambito di questo colloquio, Cavalcanti, immaginando di trovarsi lontano dalla Toscana e dalla propria amata, affida alla ballata i messaggi da riferire alla donna, e, con questo espediente, riversa nella poesia i dettagli del proprio struggimento e della nostalgia che egli prova per il fatto di essere diviso da colei che ama.
All’interno di questa struttura svolgono un ruolo determinante le apostrofi al componimento, ossia i momenti in cui il poeta si rivolge direttamente alla ballata. Queste apostrofi, collocate regolarmente in apertura di strofa, assolvono alla funzione di far ripartire ogni volta il discorso e di
vivacizzarlo, risultando in definitiva i principali strumenti organizzativi del
testo. Sono casi di apostrofe:
Rit.: …ballatetta, va’ tu
Strofa 1: Tu porterai…
Strofa 2: Tu senti, ballatetta…
Strofa 3: Deh, ballatetta mia…
Strofa 4: Tu voce sbigottita e deboletta…
Riassunto delle strofe
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RITORNELLO
Il ritornello ripropone, dopo ciascuna strofa, l’invito che l’autore rivolge alla ballata, a recarsi presso la donna amata, in Toscana.
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PRIMA STROFA
Nella prima strofa l’autore istruisce la ballata su quali notizie riferire e a quale pubblico rivolgersi.
Le notizie dovranno riguardare essenzialmente il triste stato dell’autore sopraffatto dalla nostalgia; il pubblico di destinazione dovrà essere quello selezionato degli animi nobili (evitando gli animi volgari che non perderebbero l’occasione per ferire la sensibilità dell’autore). Queste due indicazioni adombrano due informazioni tipicamente proemiali (l’enunciazione del tema e l’individuazione del pubblico), per cui la prima strofa può essere letta come “proemio” del testo.
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SECONDA STROFA
Nella seconda strofa il poeta descrive quali stati d’animo e sconvolgimenti emotivi la lontananza dell’amata procura in lui.
Cavalcanti, fingendo di confidare alla ballata i dettagli della propria condizione interiore, procede ad un’accurata autoanalisi, nella quale si attribuisce tutti i sintomi canonici dell’amore doloroso (palpitazioni, angoscia, presentimento della morte, sbigottimento, ecc.). Come di consueto gli effetti dell’amore vengono presentati dall’autore in chiave pseudo-scientifica, attraverso il richiamo alla teoria medievale degli spiriti del corpo umano (v. 20).
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TERZA STROFA
Nella terza strofa il poeta, sviluppando lo spunto del presentimento della propria morte contenuto nella strofa precedente, incarica la ballata di farsi testimone, dopo il suo trapasso, degli stati d’animo affannosi che egli si è trovato ad affrontare, affinché l’amata ne venga a conoscenza.
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QUARTA STROFA
Nell’ultima strofa Cavalcanti, cambia interlocutore e si indirizza direttamente all’emozione dolorosa (la voce sbigottita e deboletta) che nella ballata ha trovato espressione. A questa “voce sbigottita” il poeta chiede di raggiungere l’amata e darle conto dello stato di tormento in
cui egli vive. All’invio, Cavalcanti accompagna la celebrazione delle qualità cortesi della donna, con la quale si chiude il testo.
Il ruolo della donna
Come spesso accade nelle liriche di Cavalcanti, anche in questo testo la donna appare poco più che un pretesto per giustificare una poesia essenzialmente introspettiva, che al proprio centro non ha l’amata, ma la descrizione degli stati d’animo del poeta.
Un tratto specifico di questo testo risiede però nel fatto che Cavalcanti riceve lo spunto per cantare il suo dolore unicamente dal motivo della distanza, e non da quello consueto, dell’indifferenza della donna amata. Ne risulta l’evocazione di una figura femminile assai poco ricorrente in questo autore: una creatura affettuosa e complice, lontana dalla donna spietata e sorda al dolore del poeta che compare nella maggior parte della poesia di Cavalcanti.
Il lessico dell’interiorità
All’interno del testo si manifesta in maniera evidente quella tendenza
all’indagine interiore caratteristica di Cavalcanti. La posizione dominante,
che l’aspetto auto-analitico assume nel componimento, si riflette
significativamente nella ricorrenza dei termini afferenti ai campi semantici
degli stati d’animo e della fenomenologia amorosa. La casistica è
vastissima:
VERSO 7: sospiri
VERSO 8: dogli
VERSO 8: molta paura
VERSO 14: angoscia
VERSO 16: pianto e novel dolore
VERSO 19: cor
VERSO 20: spirto
VERSO 24: anima
VERSO 26: core
VERSO 28: anima che trema
VERSO 37: voce sbigottita e deboletta, piangendo
VERSO 38: cor dolente
VERSO 40: strutta mente.
I caratteri formali
Altamente significativi sono gli aggettivi “leggera e piana” (= sobria e lineare) ai quali l’autore ricorre apostrofando la ballata. La scelta di questi aggettivi – che sono aggettivi “chiave” della poetica Stilnovista – testimonia che Cavalcanti si muove in perfetta sintonia con l’ideale formale del nuovo stile.
Ciò che infatti, sul piano della forma, distingue con più evidenza i poeti
Stilnovisti dai loro predecessori, è il rifiuto delle difficoltà e dei
virtuosismi di maniera siculo-toscana, in favore di un dettato più comprensibile e sobrio, che viene connotato come “dolce”. A questo ideale di “dolcezza” si conforma il testo, caratterizzato da una sintassi rifinita ma lineare, un lessico limpido, piano, chiaro e una evidente semplificazione metrico-retorica.