PENSIERO DI EUGENIO MONTALE

PENSIERO DI EUGENIO MONTALE

PENSIERO DI EUGENIO MONTALE

Eugenio Montale (Genova, 12 ottobre 1896 – Milano, 12 settembre 1981) è stato un poeta e scrittore italiano, premio Nobel per la letteratura nel 1975.

Eugenio Montale nasce a Genova il 12/10/1896 figlio di un proprietario di una piccola ditta commerciale. Frequenta le scuole tecniche e ha una grande passione per la musica. Partecipa alla prima guerra mondiale e in seguito stringe rapporti di amicizia con i poeti liguri. In questo periodo frequenta la giovane Anna degli Uberti. Nel 22 esordisce come poeta sulla rivista Primo tempo e nel 25 pubblica il saggio Stile e tradizione, importante per capire i fondamenti della sua poesia. Montale rifiuta le esperienze di avanguardia ribadendo l’esigenza di uno sforzo verso la semplicità e la chiarezza. Nell’articolo omaggio a Italo Svevo egli segnala per la prima volta in Italia l’importanza dello scrittore triestino, fino ad allora ignorato. Nel 25 esce la prima raccolta di versi Ossi di Seppia e nello stesso anno firmo il manifesto degli intellettuali antifascisti. Collabora con importanti riviste e nel 1939 appare la sua seconda raccolta poetica Le occasioni. Avvia intanto per sopperire alle esigenze economiche un’intensa attività di traduttore. Dal 1939 vive con Drusilla Tanzi che diventerà sua moglie. Nel 43 esce la prima serie delle poesie di finisterre che confluiranno nella raccolta La bufera e altro nel 56. Si iscrive al partito d’azione e nel 45 fonda il quindicennale il Mondo che dura circa un anno. Nel 48 si trasferisce a Milano e inizia la sua attività di redattore per il Corriere della Sera. Nel 48 pubblica il Quaderno di traduzioni, in cui interpreta e traduce alcuni dei maggiori poeti antichi e moderni soprattutto inglesi. Nel 71 pubblica i versi di Satura che segnano una svolta nella sua poetica. Nel 75 riceve il nobel per la letteratura e muore nel 81.

Le poesie degli Ossi di Seppia si segnalano per il timbro di una risentita originalità che nasce da un intima rielaborazione. Al contrario di Ungaretti che muove dalla distruzione del verso tradizionale per riscoprire la forza autonoma della parola che è capace di attingere alle fonti dell’assoluto Montale dice che tra l’uomo e l’assoluto c’è una realtà ineliminabile che Ungaretti trascura. La parola per Montale non può aspirare a raggiungere direttamente l’assoluto, ma deve prima confrontarsi col reale, una barriera nella quale resta inevitabilmente impigliata e che tutta via costituisce il solo banco di priva consentito. Diventa cosi impossibile l’uso dell’analogia nel senso proposto dal Simbolismo. La parola di Montale indica con precisione oggetti definiti e concreti stabilendo fra questi una trama di relazioni complesse. La poetica di Montale è una poetica delle cose: si può vedere chiaramente quanto sia forte l’atteggiamento polemico nei confronti della tradizione poetica autentica.

La scelta di Montale cade sulle piccole cose, sugli elementi di una realtà povera e comune che l’uomo può in ogni momento trovare intorno a se, soprattutto nella natura. Ma Montale non guarda a questa natura con gli occhi ingenui del fanciullino.

Gli oggetti, le immagini e le voci della natura diventano per lui degli emblemi in cui è trascritto il destino dell’uomo, nelle sue rare gioie e speranze, ma soprattutto nell’infelicità di una condizione esistenziale. È un destino che l’uomo non può accettare, ma contro il quale non può nemmeno ribellarsi. In esso si riflette il senso di estraneità dell’uomo contemporaneo. Nonostante gli sforzi e le sollecitazioni dell’uomo, la natura conserva dentro di se la sua oscura ragione di essere. Alla poesia non resta che rispecchiare questa condizione di aridità. Anche per Montale le cose diventano simboli, ma di versi da quelli del Simbolismo. A differenza dell’analogia ungarettiana Montale usa il correlativo oggettivo, in quanto anche i concetti e i sentimenti più astratti trovano la loro definizione ed espressione in oggetti ben definiti e concreti. Il correlativo oggettivo è stato usato da Eliot, con cui la ricerca monta liana presenta convergenze significative a livello tematico e strutturale. Il simbolismo di M è una forma tutta nuova di allegoria, nella misura in cui gli elementi della natura rappresentano condizioni spirituali e morali. E’ questa la concezione medievale di Dante ( amato sia da M che da Eliot). Alla Provvidenza di un mondo che cerca sollievo ai dubbi e alle inquietudini in una fede religiosa, M sostituisce la sua divina indifferenza che resta passiva e insensibile di fronte alle gioie e ai dolori degli uomini. La poesia si apre a un tono discorsivo e colloquiale che presuppone la presenza del lettore quell’interlocutore spesso presente nel tu dei versi di M.

Egli rifiuta l’immagine tradizionale del poeta vate e ogni concezione della poesia come fonte di educazione e di elevazione spirituale.

Di fronte all’impossibilità di sciogliere il mistero della vita, Montale non può che proporre una poesia come forma di conoscenza in negativo, priva di certezze e di ipotesi propositive. La funzione della poesia è quella di indagare la condizione dell’uomo novecentesco assumendo il valore di una insostituibile testimonianza. M non si abbandona a cedimenti vittimistici o a suggestioni irrazionali. Pur senza speranza resta intatta in lui una vigile fiducia nella ragione. In questo senso la sua poesia riacquista una preciso significato morale.

Montale resta fedele a una nozione di stile che si identifica con la lucidità della ragione e con la dignità dell’uomo: egli concede ampi spazi ai metri tradizionali e il linguaggio comune può facilmente elevarsi. Il rigore e l’equilibrio cercati da M rappresentano l’esigenza di un controllo dell’intelligenza contro l’irruzione del caos.

Gli ossi di seppia del primo volume simboleggiano l’aridità dell’universo montaliano, di ciò che resta dopo l’azione di erosione e di logoramento della natura. Essi alludono anche al carattere povero dell’ispirazione che appare per lo più concentrata su brevi momenti dell’esistenza. Le cose rinviano a una incessante vicenda di vita e di morte, di gioia e di dolore che costantemente ritorna e lascia come unico conforto una speranza di felicità. Neppure la memoria, oscurata e cancellata dall’inesorabile scorrere del tempo, riesce a recare conforto.

Ne le occasioni il titolo allude all’accadere di eventi di un particolare rilievo, in quanto potrebbero mutare il corso uniforme e monotono dell’esistenza; ma il miracolo non può compiersi per il poeta il quale affida a enigmatiche figure femminili la sua speranza.

Il titolo La bufera e altro allude allo sconvolgimento della prima guerra mondiale che reca una tragica conferma al pessimismo montaliano nei confronti della storia. Privo di ogni fiducia nella storia il poeta non crede che essa possa recare speranze di salvezza. Nelle due ultime raccolte si complica la sintassi e il significato degli oggetti. L’oggetto può cosi trasformarsi in un talismano cui è affiato il compito di mediare il rapporto tra il mondo sensibile e l’inconoscibile.

Al tu di un generico interlocutore si sostituisce la presenza di una figura femminile che diventa il destinatario privilegiato all’interno del testo. Queste figure corrispondono a persone realmente vissute care al poeta. Ma il riferimento biografico è privo di ogni connotazione realistica e riveste unicamente una funzione emblematica. Le donne sono cantate solo dopo la loro scomparsa: la donna in Montale diventa cosi una specie di Beatrice che accompagna il poeta nel suo viaggio tra il conoscibile e l’inconoscibile. Anche quello di Montale può essere considerato come una specie di viaggio fra la storia e l’aldilà, tra il mondo sensibile e quello ultraterreno. Per M non esiste una spiegazione o giustificazione di natura ultraterrena che di un senso al rapporto fra l’uomo e la realtà; alla causalità garantita da una persona superiore si sostituisce la casualità con confonde le intenzioni umane; quindi ne la storia ne la religione possono offrire certezze.

Con le ultime raccolte mutano radicalmente le prospettive del suo discorso poetico. I contenuti restano legati al piano della storia, nei confronti della quale Montale conferma e accentua il suo pessimismo. Ma l’obbiettivo polemico è costituito dal presente; dalla polemica nei confronti della società dei consumi che ha perso i valori fondamentali.

Entra in gioco cosi una componente satirica che si risolve in una sottile ironia che si fa impietosa e sprezzante raggiungendo le punte del feroce sarcasmo. Lo stile risulta di conseguenza aforistico e epigrammatico e nello stesso tempo irridente e sentenzioso.