IL PASSERO SOLITARIO LEOPARDI

IL PASSERO SOLITARIO LEOPARDI

IL PASSERO SOLITARIO LEOPARDI


Commento:

La fase del pensiero di Leopardi del cosiddetto “pessimismo cosmico” ebbe avviò con l’ideazione della lirica Il passero solitario. La lirica è imperniata sul parallelismo tra la vita del passero solitario e la vita del poeta. Il passero solitario è un animale che ama trascorrere la sua vita da solo ed il poeta sente di assomigliargli perché anch’egli preferisce starsene in solitudine e non ama la compagnia dei suoi coetanei.

Tutta la poesia è incentrata su analogie, più o meno palesi, fra il passero solitario e la vita del poeta. L’analogia più evidente è senz’altro l’esclusione dal tempo felice della primavera: come il passero trascorre solitario la stagione più bella, spandendo il suo canto per la campagna, così cantando (scrivendo versi) il poeta passa in solitudine la stagione della sua gioventù.

La campagna diventa per entrambi il luogo del ritiro, dell’esclusione dalla vita festosa del paese nel clima primaverile. Anche se la situazione in cui si trovano è identica, andranno incontro ad un diverso destino: il passero arrivato alla fine della sua vita morirà senza rimpianti mentre al poeta rimarrà il rimpianto per ciò che non ha vissuto.

Il canto è diviso in tre strofe; la prima e la seconda in cui è posto il confronto fra il passero solitario ed il poeta, la terza che ne sottolinea una diversità. In particolare:

  1. I strofa: (vv.1 – 15) Descrive il comportamento del passero nel contesto e in rapporto agli altri animali, allo spazio della campagna, nel tempo della primavera che è la festa dell’anno. Il passero non ha bisogno di spassi, o di compagni. Canta. E quel canto si diffonde ovunque.

  2. II strofa: (vv.16 – 44) Descrive il comportamento del poeta nel contesto e in rapporto agli altri giovani, allo spazio del paese, nel tempo della giovinezza che è la festa della vita. Le due strofe sono dunque costruite simmetricamente rispetto al contenuto e si rapportano l’una all’altra sulla base di un confronto per uguaglianza.

  3. III strofa: (vv.45 – 49) Nella conclusione i due modi di esistere, del passero e del poeta, sono ancora messi a confronto, ma per disuguaglianza: tu “non ti dorrai”, “Ahi, pentirommi”; ovvero: tu vivi secondo la tua natura, io vivo contrariamente alla mia natura.

Forma metrica: Canzone libera di tre stanze rispettivamente di 16, 28 e 15 versi, di endecasillabi e settenari liberamente distribuiti. Le scelte linguistiche sono raffinate, classicheggianti e a volte ricorrono, in particolar modo nelle descrizioni, a termini della quotidianità.

Commento

Tutta la poesia Il passero solitario è costruita su una similitudine tra il comportamento del passero e quello del poeta: come il passero trascorre solitario la primavera, spandendo il suo canto per la campagna, cosi Leopardi trascorre, solo, incompreso e sentendosi estraneo nel suo luogo natale, la giovinezza. Ma il passero non avrà rimpianti, perché ha vissuto secondo natura, mentre il poeta sente che, se giungerà alla vecchiaia, rimpiangerà le gioie di cui non ha goduto. Anche la struttura della poesia è simmetrica: la prima strofa è dedicata al passero e alle sue abitudini di vita, la seconda al poeta, la cui condizione è assimilabile a quella del passero, mentre la terza svolge il confronto, opponendo la vecchiaia di entrambi: infatti, se per l’uccellino la vecchiaia è solo la parte finale della vita che il destino gli ha concesso, per il poeta, invece, è una “detestata soglia”, fonte di pentimenti e rimpianti.

Si tratta di una lirica che nasce dalle più profonde contraddizioni (pessimismo vs gioia di vivere, vecchiaia vs giovinezza, dolore e rifiuto della vita vs amore per l’esistenza, folla vs solitudine / (“ tutta vestita a festa/ la gioventù del loco” al v. 32 e, di contro, “Io solitario” al v. 36). Il tema principale, che è quello della lacerazione tra la gioia di vivere e l’angoscia generata dalla riflessione sulla realtà, si articola principalmente proprio attraverso il contrasto tra la vecchiaia , vissuta come “detestata soglia” (v. 51) ed il rimpianto della giovinezza, considerata “il tempo migliore” (v. 11) e come tale associata alla primavera ( “dell’anno e di tua vita il più bel fiore”, v. 16). Al rimpianto si aggiunge la nostalgia del tempo perduto, di una vita straordinariamente ricca di emozioni lasciate, non vissute e quindi rimpiante: “ Ogni diletto e gioco/Indugio in altro tempo” (vv. 38-39).

Leopardi, in questo suo efficace autoritratto giovanile, non attribuisce la sua infelicità alla natura o alla società, ma alla sua insicurezza e al suo senso di impotenza che gli impedivano di rapportarsi con gli altri e di partecipare alle gioie della vita. La giovinezza non è vista attraverso il filtro del ricordo, come in altri idilli, ma rivissuta (si noti l’uso dell’indicativo presente) come se fosse ancora attuale.

Anche in questo componimento sono molte le immagini “vaghe e indefinite”tanto care a Leopardi, perché permettono di evocare vastità e lontananze che stimolano l’immaginazione: i complementi di luogo indeterminati “alla campagna” e “per lo seren”, la “torre antica” (“l’antico produce l’idea di un tempo indeterminato dove l’anima si perde” leggiamo nello Zibaldone), il passero “solitario”, la campagna “rimota”.

Silvia è una figura immaginaria, simbolo dell’adolescenza, della primavera della vita, sotto questo nome pare che il Leopardi voglia ricordare Teresa Fattorini, figlia del cocchiere di casa, morta di tisi, il 30 settembre 1818 all’età di 21 anni. Silvia è nel regno dei morti, e il poeta si rivolge a lei e le chiede se ricorda la sua adolescenza e quando era viva fra gli uomini. I suoi occhi a quel tempo scintillavano di gioia e evitavano gli sguardi altrui. Mentre varcava la soglia della giovinezza la sua Letizia era frenata da pensieri onesti e forse da un’indistinto presentimento della sorte a lei riservata. Il suo canto che sembrava non finire mai, risuonava per le stanze e le vie del borgo mentre faceva i lavori domestici e immaginava vagamente il suo futuro. Proprio così ella trascorse la sua adolescenza serenamente e felicemente. Il poeta mentre studiava consumava la sua giovinezza e le energie più fresche e più vive nello studio perché in quello ritrovava il piacere di vivere, sentiva sin dal palazzo paterno il suono del suo canto giungere come una dolce melodia che emetteva lavorava al telaio. Mentre ammirava il ciel sereno, e le strade illuminate dal caldo sole di maggio, cioè della vita, e tutto altro che mari e monti. Nessuno poteva spiegare i sentimenti del poeta erano indescrivibili dovuti all’affetto e alla gioia di vivere.

Era proprio che in quel tempo lontano la vita appariva al poeta l’età dei sogni e delle speranze, ma dopo speranze così grandi viene oppresso da un sentimento doloroso e inconsolabili, che si ravviva nel rimpianto del bene perduto. Quindi si rivolge alla natura e le domanda perché non mantiene le promesse fatte agli uomini nell’età della loro giovinezza. Dopo l’ardente sfogo contro la natura ingannatrice, il poeta riprende il suo immaginario colloquio con Silvia e le dice che prima dell’arrivo dell’inverno cioè della maturità la fanciulla era stata affetta da una malattia incurabile e dopo un’inutile lotta periva quella poveretta. Ella essendo morta ancora adolescente non giunse a vedere la giovinezza, ora è morta, niente più potrà rallegrarla né i complimenti che la facevano per la sua bella voce né per i suoi capelli neri, nessuno la guarderà più e non potrà divertirsi con le campagna in cerca d’amore . Con la morte di Silvia muore anche la voglia di vivere del poeta perché poco dopo essere entrata nell’età giovanile vide cadere la sua speranza allo stesso modo della ragazza delusa dalla morte prematura: tutta colpa del destino crudele. Quindi il poeta rimpiange gli anni giovanili quando aveva perso la speranza, considerata compagna perché gli dava la forza di andare avanti. E proprio vero: il mondo che si rivela nella sua realtà alla ragione, non è quello intravisto e vagheggiato attraverso le speranze della bella età, ma è un luogo di infelicità e delusioni. Il poeta rivolgendosi alla speranza non può fare a meno di ricordare Silvia, che del resto è la speranza personificata. Il Leopardi si chiude se questa è la sorte degli uomini, ma non può fare a meno di continuarsi a ripetere che la vita quando si mostra come è davvero, la speranza cade e l’unica meta che ormai può raggiungere è la morte, con essa finisce tutto, come è successo per Silvia che ora giace in una squallida tomba, dove tutti un giorno o l’altro andranno a finire, ma il poeta si sente che la raggiungerà presto.